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giovedì 30 ottobre 2008

La rivoluzione è un pranzo di gala (anche: facinorosi visti da vicino)


Questa settimana, a Tor Vergata, ci sono una serie di iniziative di protesta per testimoniare il dissenso dell'Ateneo nei confronti dei tagli previsti dal decreto 133. Una parte della protesta prevede l'organizzazione di attività didattica alternativa da tenere nelle ore serali, dalle 20 alle 23. Lunedì mi sono reso disponibile già per la sera stessa. Sono arrivato alle sette e mezzo nell'aula occupata e ho cercato di capire se e dove dovessi insegnare. Avevo preparato una lezione su "gli usi della diversità", una lezione per me classica, che tengo da anni per tutti gli studenti del mio modulo di introduzione all'antropologia, e che consiste nella lettura guidata di un bellissimo saggio di Clifford Geertz dallo stesso titolo. In realtà l'organizzazione della didattica era ancora in corso, non si sapeva se avrei insegnato quella sera o quella successiva, e io ho detto che potevo aspettare, che per me andava bene anche fare lezione quella sera e farne un'altra il martedì. Mentre aspettavo, mi sono messo a fare quello che un antropologo fa spesso all'inizio del lavoro di campo, e cioè mi sono messo a osservare limitando le mie interazioni a quanti si rivolgevano a me, ma senza intenzionalmente interferire con il movimento del gruppo.

Ho visto un gruppo di ragazzi che cercava di mantenere un clima sereno pur se intenzionati ad essere battaglieri. Sono rimasto colpito quando mi sono reso conto che uscivano dall'aula per andare a fumare! Mi sono tornate in mente le fasi calde della Pantera, quando Lettere alla Sapienza era occupata, e ho visto un altro tono, un altro stile, decisamente.

Al mattino c'era stato un pacifissimo corteo che aveva sfilato dentro l'Ateneo. Alla sera, mentre i ragazzi aspettavano le pizze (una solo al pomodoro per il vegano del gruppo) hanno letto su qualche sito internet un comunicato rilasciato dagli studenti vicini ad AN, in cui si denunciavano inesistenti danneggiamenti ad automobili e a beni dell'università durante il corteo. Tra l'amareggiato e lo stupito, gli studenti leggevano pezzi di questo comunicato ad alta voce, fino a quando qualcuno ha detto: "Fuori ci sono i poliziotti di ronda. C'erano anche stamattina al corteo, andiamo a chiedere loro cosa ne pensano di questo comunicato". Sono entrati credo quattro poliziotti in borghese, che hanno ascoltato con attenzione il comunicato che parlava di danni e tafferugli durante il corteo. Si sono messi a ridere, confermando che si trattava di una panzana, e poi sono arrivati a dire che ci sarebbero stati gli estremi per una denuncia per calunnia, dato che nulla di quello che il comunicato dichiarava corrispondeva a verità.

Io, devo ammettere, ero estasiato. Pensavo a Pasolini a Valle Giulia, quando lui disse che stava dalla parte dei poliziotti, "figli dei poveri", e non da quella degli studenti, borghesucci viziati, "figli di papà". Ora poliziotti e studenti si parlavano e, udite udite, sembrava stessero dalla stessa parte! Certo, ho pensato, la provenienza sociale dei poliziotti, in questi trent'anni, è mutata di poco, ma di sicuro gli studenti universitari non sono più quelli del Sessantotto, e neppure del Settantasette. I dati statistici ci confermano che sono molti di più di un tempo quelli che hanno i genitori NON laureati. Sono i primi ad affacciarsi all'educazione di terzo livello nelle loro famiglie, e quindi la distanza sociale con i poliziotti è molto minore oggi.

Durante la lezione (che poi ho fatto su un altro tema, vale a dire le forme elementari dell'interazione sociale, con l'intento di far riflettere gli studenti se il loro rapporto con i docenti fosse improntato alla competizione o alla collaborazione, in questa fase) un'altra bella sorpresa: hanno bussato alla porta, e i poliziotti sono entrati portando in regalo un intera scatola di cornetti vari, che sono stati presi d'assalto non appena è finita la discussione.

Penso alla distanza che c'è tra i modelli con cui inscatoliamo la realtà che ci risulta difficile da comprendere o potenzialmente ostile ("la sinistra" "i facinorosi") e la bellezza delle facce di quei ragazzi, la loro voglia di vivere in una società migliore, la loro gioia, la loro curiosità, la loro capacità di credere ancora in qualcosa. Penso che valga la pena di dare loro una mano, perché se lo meritano, forse più di quanto ce lo meritavamo noi alla loro età. Loro lo sanno che non sono convinto del tutto che i docenti e gli studenti abbiano gli stessi obiettivi, contestando il decreto 133, ma proprio per questo credo che valga la pena di starli ad ascoltare. Indicare solo tagli, senza dire dove e come andranno fatti, è un brutto segnale, un bruttissimo segnale. Indica mancanza di attenzione, pressapochismo, paternalismo autoritario. Anche se le intenzioni del ministro Gelmini fossero le migliori (e io aspetto le sue proposte effettive per l'Università, dato che finora ci ha detto che ci saranno meno soldi, ma non ha detto per chi e per come), il modo in cui si è posta è tecnicamente idiota, tutto centrato su se stesso, senza nessun interesse per farsi capire dall'altro, o per provare a capirlo. Che gli studenti si siano incazzati mi pare un bellissimo segnale.