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domenica 5 ottobre 2008

Ottusi



Sono sempre meno ottimista sullo stato morale della società attuale. Le mie letture di antropologia della globalizzazione per anni mi hanno fatto sperare che la diffusione dei segni, per così dire, potesse imprimere un’accelerazione alla democratizzazione dei significati. In parte resto convinto che la cultura di massa sia una buona occasione per “l’ingresso nella storia”, soprattutto in contesti di forte repressione politica. Ma nelle democrazie compiute sono sempre più sospettoso dell’utilità di certe forme di liberalizzazione del diritto di espressione.
Leggendo Antropologia e filosofia di Clifford Geertz, ho trovato una frase che sintetizza il mio critico stato d’animo attuale. Geertz ci sta raccontando (in un capitolo titolato “Una vita di studio”) i suoi anni di studente universitario alla fine della seconda guerra mondiale. Come molti suoi coetanei che avevano partecipato alla guerra durante gli anni che altrimenti avrebbe speso a studiare, Geertz usufruì di una legge speciale che consentiva ai reduci che lo volessero di frequentare l’università senza alcuna spesa. Lui ne approfittò, per fortuna nostra oltre che sua, studiando in un piccolo college dell’Ohio meridionale, l’Antioch College.
Come altri ex combattenti, aveva scelto di studiare non per perdere tempo, ma per recuperarlo, e aveva un’esperienza diretta della vita che lo rendeva refrattario a molta della fuffa che si vende all’università. Il suo stato d’animo generale, e quello della sua generazione, è sintetizzato in modo perfettamente chiaro:
Si poteva essere smarriti o disperati, o tormentati da ansia ontologica; ma ci si doveva sforzare almeno di non essere ottusi (p. 19).

I nostri tempi, invece, hanno sdoganato l’ottusità. Essere cocciutamente stupidi di fronte all’evidenza del reale non è più un limite, ma di fatto un vanto, un segno di tetragona resistenza al mondo. Domina su scala planetaria un sistema politico, economico e mediatico in cui è evidente che il tratto che porta al successo è sempre più l’ottusità mentale, la chiusura, non solo l’incapacità ma anche la mancanza di desiderio di conoscere qualcosa di strano, di diverso, di anomalo. Siamo dentro una forma di vita che ha fatto dell’ottusità il suo blasone, che dice “pace” quando fa la guerra, che chiama riforme quelle che sono devastazioni culturali, che dice che “gli italiani non sono razzisti” quando è così evidente che lo siamo in misura spaventosa, e che pretende che in tutto questo squallore sia rinvenibile ancora una qualche parvenza di “superiorità”.
No, non sono più ottimista come una volta.