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sabato 3 gennaio 2009

Ancora su Facebook

Approfitto degli ultimi scampoli di feste per ringraziare quanti si sono presi la briga di rispondere al mio post su Facebook, e per provare a dare qualche riposta.

Andrea Tarabbia dice:

>…per come imposti il discorso sembra che cose tipo MySpace o Splinder siano orpelli da intellettuali…

Mi limitavo a constatare che mentre MySpace e Splinder, in Italia, hanno avuto un accesso sostanzialmente limitato, per una serie di ragioni in buona parte a me misteriose Fb è esploso a fenomeno di massa. Su MySpace ci trovo i cugini della mia compagna, che fanno musica etnica, e molti miei studenti che si occupano di arte in generale, scrivono, o cantano, o in qualche misura proiettano una parte consistente della loro identità nella dimensione estetica. Sui blog tanto meglio: ci trovo colleghi, scrittori, intellettuali o wannabe intellettuali.

Il punto, per me, è che su Facebook ci trovo la mia ex delle medie che ha aperto una boutique e che fino a due anni fa mi diceva che lei "di computer non ci capisce niente". Ci trovo qualche mio ex studente più votato a seguire la Sambenedettese in trasferta che non i blog miei o tuoi. Possiamo fare finta che non sia così, ma resta il fatto che la fauna di Facebook è molto più variegata, in chiave strettamente sociologica, di quanto non siano le faune dei precedenti modelli di social networking. Non ho ovviamente altri dati che non la mia lista di "amici" e quello che osservo standoci dentro, ma mi sento di scommettere che lo spettro sociale (in termini di grado di istruzione, livello occupazionale e – per indicare una caratteristica sociologica che ritengo molto rilevante in questi casi, avendone appreso la rilevanza da Pierre Bourdieu – il livello di scolarizzazione dei genitori) è enormemente più vasto tra gli utenti di Fb che non tra quelli di MySpace o tra i possessori di un blog personale.

>la seconda è che io francamente non ci vedo nulla di punk in fb, a meno che tu non intenda la deriva parapubblicitaria che ha travolto il punk dagli anni ottanta in poi.

Sì, certo, pensavo proprio a quello: al fatto che il punk è sempre stato a cavallo tra "espressione spontanea" e più bieco sfruttamento commerciale, proprio perché gli utenti (nel duplice senso di gruppi e di ascoltatori) provenivano in maggioranza dalle classi sociali meno "scafate" dal punto di vista intellettuale, e quindi da un lato più disposte ad esprimersi senza eccessivi filtri intellettuali, ma dall'altro particolarmente manipolabili. A me pare che, in questo senso, il paragone regga, per quanto mi rendo conto possa irritare, soprattutto a quelli come me, che hanno vissuto il punk da "giovani salmoni del trash", direbbe Tommaso
Labranca, vale a dire come esterni affascinati da un fenomeno che li attraeva esteticamente pur non condividendone, per pura anagrafe, la matrice sociale. Che Fb sia sottoposto a una pressante azione di mercificazione (maggiore che non su Splinder o Blogger, mi pare evidente) è per me un ulteriore sintomo dell'apertura a utenze probabilmente assuefatte alle "interruzioni pubblicitarie".

Quel che però rimane non discusso è lo stridente contrasto tra questo tipo di descrizioni di Facebook che ho cercato di analizzare nel mio post precedente (Fb come luogo della vacuità, del nulla estetico, politico, esistenziale) e il fatto di pura cronaca che invece Fb è stato e viene ancora sistematicamente usato come strumento di pressione politica. Anche questo ci può non piacere, se siamo convinti che lo spazio della politica sia altrove, sia nelle sedi dei partiti, nelle "istituzioni" o anche solo nelle piazze convocate con i volantini ciclostilati, ma non cambia la natura del fenomeno.

La mia domanda, quindi, è semplice e diretta: come mai molti "utenti esperti" di Internet italiani (quelli che ho riportato sono i commenti probabilmente più intelligenti e belli, tra quelli che ho letto, ma lo spirito di distaccato disprezzo verso Fb aleggia in molti altri post) hanno puntato il dito sulla "vacuità" di Fb e nessuno non dico ne la colto le "potenzialità politiche", ma ha registrato il fatto che Fb è efficacemente usato come strumento di pressione politica? Da dove viene questo silenzio provinciale nell'analisi di un fenomeno sociale di dimensioni mondiali?

Diego e Lara Gregori (che ringrazio per essersi rivelata uno dei due "disiscritti" di cui parlavo) pongono la questione in termini ulteriori, cercando di evidenziare i meccanismi psicologici e antropologici di adesione/allontanamento. Mi pare importante quel che dice Diego sulla rinuncia all'identità contestuale:

>ma, su fb, gli altri, altre persone che sono altri contesti di interazione, con cui nella vita sociale adotto registri linguistici e codici comportamentali diversi, mi guardano tutti - virtualmente - allo stesso momento.
questo forza ad essere "uguali a se stessi", condizione a cui gli umani sono estranei! 

Mi sembra interessante questa prospettiva: in Fb siamo "costretti" ad adottare un'identità uniforme. La cosa funziona bene sul piano teorico (gli stati nazionali cercano di farci adottare identità fisse da circa duecento anni) ma sul piano empirico non sono sicuro che regga: se fosse vissuta come una costrizione, l'adesione a Fb non sarebbe così massiccia, suppongo.

Le riflessioni autobiografiche di Lara Gregori sembrano rimandare a una forma diversa di identità: Lara ha apprezzato la possibilità di intrecciare nuove relazioni, ma teme che il meccanismo commerciale di Fb sia deleterio:

>Ma il potere di usare internet come strumento di aggregazione reale è un potere da conquistare, e non per essere conquistati come invece sta avvenendo. 

Concordo, ma questo è un problema che riguarda "tutto internet", come segnalava bene Andrea Tarabbia nel suo post, e non solo Facebook. Da quando esistono i cookies sappiamo tutti che il semplice accesso alla rete è una forma di consapevole violazione della privacy, e dobbiamo decidere che farci. Ma vale la pena di ricordare che anche quando compriamo i nostri ponderosi saggi e romanzi alla Feltrinelli con la nostra carta punti stiamo accettando una transazione commerciale (io ti do un po' di informazioni su di me come consumatore, tu mi dai un po' di sconto) e questo vale per ogni cavolo di tessera che abbiamo in tasca, da quella del supermercato a quella del videonoleggio. La dimensione mercantile delle relazioni umane non è un "di più" imposto dalla decadente società multimediale, e neppure un frutto deformato del capitalismo: è dentro le relazioni umane, da sempre. E questo lo posso dire con la mia expertise di antropologo. Basta leggersi il Marcel Mauss del Saggio sul dono, o il Malinowski degli Argonauti del Pacifico Occidentale, e proprio su questo blog ricordavo molto tempo fa che l'immagine oleografica del buon selvaggio che non pratica alcuna transazione economica è stata una delle armi migliori del dominio coloniale.

Se i padroni di Facebook ci propongono una dimensione malevola, bigotta e biecamente commerciale del loro sito, abbiamo tutta la possibilità di imporre loro un cambiamento. La recente questione delle foto di donne che allattano è un buon esempio: se siamo abbastanza, possiamo fare in modo che quella regola assurda venga eliminata.

A Sergio Garufi, infine, che ha detto che la mia analisi "è banale, non è da me" posso solo rispondere che "da me" è quel che scrivo, sempre. E non ho standard di riferimento. Non parlavo di opposizione elite-massa come fossero due gruppi oggettivamente esistenti dentro Fb. Dicevo piuttosto che c'è un gruppo di utenti che vuole costituirsi (spesso inconsapevolmente, e tra questi ci sono anche io) come elite, vuole distinguersi dagli altri, e dentro Fb trova perfettamente quegli altri da cui distinguersi. E così non si iscrive a Fb per poter ribadire la sua diversità, la sua peculiarità. Esattamente come Sergio Garufi, che su Fb non c'è.