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giovedì 8 gennaio 2009

La mia teoria su Mario

Ringrazio Vincenzo per avermi rinfrescato la memoria sull’origine di Facebook. Sapevo che il nome deriva da un vero Facebook, vale a dire uno di quei libri che le università americane danno alle matricole con le foto dei “personaggi” del campus perché si possano ambientare, e sapevo che era nato a Harvard, ma non avevo idea che fosse circolato prima nella Ivy League.
Pensa un po’ che provinciale che sono, non sapevo neppure cosa fosse la Ivi League e me lo sono dovuto cercare! Ora ho scoperto che con questo nome si raggruppano otto università degli Stati Uniti Nord-orientale, che il “free dictionary” che ho consultato definisce “high in academic and social prestige”. Insomma, ci dice Vincenzo:

Nota che quando era chiuso su Harvard o sulla Ivy League NON era un mezzo di distinzione (fra ivy leaguers e studenti normali), perché gli utenti erano _solo_ ivy leaguers.


A me pare esattamente l’opposto, vale a dire la conferma perfetta della mia “teoria”. Stiamo parlando di una cosa che nasce a Harvard, vale a dire una delle più prestigiose università americane, e si diffonde nella Ivy League, che è una specie di associazione delle università più fighe degli Stati Uniti. Ergo, al suo nascere Facebook non era una cosa da fighi, ma da superfighi. Usare Fb al suo inizio vuol dire fare parte di una cerchia ristretta, molto molto elitaria e quindi, ipso facto, distinguersi da quanti non lo usano.
Ma, ancora una volta, mi pare che non si colga il punto della mia argomentazione: e cioè che qualunque oggetto che produca aggregazione automaticamente produce distinzione tra quanti lo usano e quanti no. E uscire dal Fb di massa è (ok, evitiamo determinismi che possono irritare: può essere) un ulteriore tentativo di distinguersi. Spero che un nuovo esempio chiarisca la mia prospettiva.
Mario è stato invitato a una festa: gli hanno detto che è una festa dove ci sono tutti quelli che veramente contano, e quindi decide di andarci. Effettivamente alla festa c’è un sacco di gente figa, ma poco alla volta Mario si rende conto che ci sono e continuano ad arrivare anche un sacco di persone che non gli piacciono, e che lui considera tipacci, di buzzurri e coattoni. Mario allora, per la sua specifica storia, per il suo carattere, per come è fatto, decide che non gli piace stare lì, e se ne torna a casa. LA MIA E’ UNA TEORIA SU MARIO, NON UNA TEORIA DEL PERCHÉ ESISTE LA FESTA, ARGOMENTO SUL QUALE NON HO DETTO NULLA.

Nestore Pellicano invece mi rimprovera:
a partire da quale etnografia parte per le sue affermazioni riguardo le origini di facebook, riguardo il perché la gente vi si iscrive e soprattutto riguardo la perdita di esclusività e sicurezza che qualcuno ha lamentato data la massiccia partecipazione a questo social network? Non crede di essere troppo azzardato nelle sue conclusioni?

Un momento: io sto cui a scrivere sul mio blog perché mi va, non sto lavorando, e non è che faccio la spesa o la doccia “a partire da qualche etnografia”. Ci sono, per fortuna, anche cose che faccio e dico così, senza pretendere di avere ponderato esattamente tutto come se dovessi pubblicare sulla rivista ufficiale degli antropologi europei!
Premesso questo: le etnografie si fanno perché uno ha un problema teorico da risolvere, una questione che non gli è chiara, un dubbio anche solo metodologico. Ergo le etnografie vengono dopo che si è formulata qualche ipotesi di lavoro, non prima, e le ipotesi si elaborano a partire dalle proprie conoscenze e proprie esperienze.
Quel che ho detto su Fb (ANZI, LA MIA TEORIA SU MARIO, SENNÒ RICOMINCIAMO) deriva da tre fonti:
1. quel che ho sperimentato come utente di Fb;
2. quel che ho letto come lettore di alcune mail e di alcuni post online;
3. e quel che ho letto da reportage sull’uso politico di Facebook.
La prima fonte mi aveva fatto notare come in poche settimane fossi entrato in contatto con persone molto lontane dal mio circolo ordinario, persone con le quali sentivo di avere pochi punti di contatto per diverse ragioni. Non tutti “amici”, ma spesso “amici di amici di amici”, e mi rendevo conto che quelle persone continuavano ad apparire nel “mio profilo”, e che quindi chi mi cercava su Fb mi vedeva nel prisma riflesso di quel caos sociale per me – lo ammetto – a volte imbarazzante.
La seconda fonte mi raccontava di persone uscite da Fb con sdegno, come fosse un luogo di appestati o totalmente vuoto di contenuti. Facebook veniva abbandonato come si lascia un’amante traditrice, una zoccola stronza che ci ha illuso ma non ci ha dato quel che speravamo.
La terza fonte, infine, mi parlava di Facebook come luogo dell’impegno politico, della lotta dura contro regimi autocratici,come dicevo fin dal primo post di questa saga.
La cecità della seconda fonte nei confronti della terza mi ha spinto a pensare che il disagio che avevo riscontrato con la prima fosse un sintomo, e ho provato a trarre le mie conclusioni che, per rispondere a Nestore, NON riguardano perché “la gente vi si iscrive” (perché hanno deciso di fare la festa, usando la mia metafora di prima) ma perché “Mario se ne è andato via” (e non ritorna più, proprio come il Marco della Pausini).

Non ho fatto etnografia di Facebook, se per questo si intende stare un anno collegato, imparare la lingua delle diverse tribù che lo abitano, fare interviste, spedire regali virtuali a persone che conosco poco o nulla, provare a mimetizzarmi da squadrista razzista e poi da fan di Gattuso e infine di Guttuso. Per ora mi pagano per fare altri tipi di ricerca e mi accontento.
Del resto, Nestore, non è che quando incontri il dentista al supermercato pretendi che vada in giro con il trapano in mano, giusto?