Ho più tempo per cucinare che per aggiornare il blog, di questi tempi.
Ecco allora qualche arretrato delle mie composizioni per patate e wurstel (la cena di mercoledì di Rebecca)
Iniziamo con un'astronave aliena
E questi sono invece gli omini spaziali che stavano nell'astronave
Per finire la composizione di questa sera, la barchetta in mezzo al mare
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
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mercoledì 25 febbraio 2009
mercoledì 11 febbraio 2009
Ufficio Stampa
Siccome capita di rado che i recensori leggano il libro che devono commentare; siccome non capita spesso che capiscano quel che devono recensire; siccome i due eventi (aver letto il libro e averlo capito) è ancora più raro che si presentino assieme, ho avuto particolare godimento a leggere questa recensione di Tito Vagni del mio libro Identità catodiche.
A margine. C'è un commento bellissimo di Elena alle mie tirate su Facebook che aspetta una risposta decente perché mi ha fatto tana su tante cose. Intanto, siccome Elena crede di avermi capito bene (e in parte ha ragione) anticipo un frammento della mia risposta citando proprio dalla recensione di Tito Vagni:
la dicotomia tra cultura alta e cultura di massa è, per Piero Vereni, una non questione. L’autore scrive dando per acquisito, e per un antropologo non potrebbe essere altrimenti, che qualsiasi artefatto culturale fa parte a pieno titolo della cultura di una comunità, e come tale, degno di essere analizzato.
la dicotomia tra cultura alta e cultura di massa è, per Piero Vereni, una non questione. L’autore scrive dando per acquisito, e per un antropologo non potrebbe essere altrimenti, che qualsiasi artefatto culturale fa parte a pieno titolo della cultura di una comunità, e come tale, degno di essere analizzato.
martedì 10 febbraio 2009
Il carattere nazionale
Per capire la follia di questo paese si deve partire da una sorta di assioma generale: il Parlamento italiano è veramente l'espressione di questo paese, lo rappresenta perfettamente nella sua cultura e nei suoi sistemi di valori. NOn si deve cioè fingere che questo paese sia retto da un governo delegittimato e autoritario, o che il parlamento sia espressione della "casta": il governo e il parlamento italiani sono pienamente legittimi e legittimati, e sono la più compiuta espressione della volontà popolare e del carattere nazionale. Solo se partiamo da questa premessa possiamo capire quel che è successo questa settimana.
Non parlerò di quello di cui tutti, questa mattina, stanno parlando. Ho espresso il mio dubbioso e sofferto parere all'epoca di Terry Schiavo, e non sarà il passaporto italiano della nuova vittima a farmi cambiare opinione. Ma voglio parlare invece di quel che ha fatto il Parlamento, il luogo dove si esercita la sovranità popolare, il luogo principe per capire gli italiani.
La settimana scorsa ha votato un emendamento della Lega Nord associato al "pacchetto sicurezza" che di fatto rende le cure mediche improponibili a centinaia di migliaia di persone residenti sul nostro territorio. La possibilità per i medici di denunciare alle autorità un immigrato irregolare che si sia presentato in ospedale per farsi curare è una barbarie immensa, una vergogna politica il cui solo similare in Italia sono le leggi razziali del 1938. Eppure è passata, ed è passata perché la maggioranza degli italiani è d'accordo.
La corsa per fare una legge "anti Peppino Englaro" è finita, ma non è finito lo "spirito" che l'ha animata: gli italiani hanno veramente "sofferto" pensando a Eluana, e io sono sicuro che veramente Berlusconi sia stato malissimo pensando a quella povera ragazza in stato vegetativo, e al pensiero che l'interruzione dell'alimentazione forzata l'avrebbe fatta spegnere come un piccolo animale abbandonato. Leggete Bossi oggi su Repubblica: "chi non l'ha provato non può capire". Ed è lo stesso Bossi che ha imposto l'emendamento che costringerà migliaia di clandestini a morire senza cure mediche. Ma "i clandestini" sono un'entità astratta anche se li vediamo tutti i giorni, anche se lavorano per noi, puliscono i culi dei nostri nonni e anche i nostri bagni, portano fuori il cane e l'immondizia, riparano i nostri impianti elettrici e ristrutturano le nostre case, ci procurano la coca e certi servizi sessuali particolari, cucinano nei nostri ristoranti e mangiamo il pane e la pizza fatti da loro. Ma continuano a essere invisibili. Invece Eluana è presente nella sua sofferenza di fronte agli occhi degli italiani, anche se non l'abbiamo (per fortuna e grazie al buon senso del padre) mai vista. Eluana, non so se vi siete resi conto, è un nome, un flatus vocis attorno al quale ci siamo stretti addolorati.
Come era successo con Alfredino Rampi, esattamente allo stesso modo, con Berlusconi a fare la parte che allora fu di Sandro Pertini. Perché Eluana è FIGLIA, com'era Alfredino, mentre i "clandestini" non sono un cazzo, per dire le cose come stanno.
Siamo italiani perché abbiamo bisogno di un "rapporto umano", non siamo in grado di pensare per principi astratti (cure mediche, assistenza, diritti, doveri) e abbiamo invece bisogno di incarnare tutto nella rete di quel che conosciamo, altrimenti qualunque cosa sia ci resta sostanzialmente incomprensibile e soprattutto moralmente irrilevante. Se si tratta di Alfredino o di Eluana, del loro essere "figli", allora il cuore ci si inonda, ci sentiamo stroncati da questo amore infinito (perfino "duri" come Umberto Bossi e Giuliano Ferrara, che hanno sempre fatto del pelo sullo stomaco la loro principale arma politica, perfino loro, capite?) e reagiamo. Notate ancora il carattere nazionale: non abbiamo fatto qualcosa per chiudere i pozzi artesiani italiani, no. Ma ci abbiamo ficcato dentro un nano e sondini e telecamere e presidenti piangenti non appena si è presentata l'emergenza Alfredino. E non abbiamo fatto una legge con calma quando la Cassazione ha dato ragione al papà di Eluana, più di un anno fa. No, abbiamo scatenato l'inferno legale cinque giorni prima che morisse, ci siamo inventati il disegno di legge sotto l'urgenza della tragedia, l'unica cosa che ci faccia smuovere il nostro culo di pietra. Una legge da discutere con la massima urgenza, ma ovviamente non il sabato e la domenica, ci dovesse andare di traverso il Campionato di calcio.
Siamo italiani perché tutto questo ci appartiene, non possiamo veramente chiamarci fuori, e dire che ci vergogniamo di questo presidente del consiglio o del ministro Sacconi. Siamo italiani perché non possiamo fare a meno di andare in fibrillazione se una povera ragazza in coma viene condotta (secondo la sua volontà) a liberarsi definitivamente da quello stato e la identifichiamo con nostra sorella, o figlia, o mamma, o persona cara. Mentre le centinaia di clandestini che moriranno di tubercolosi perché non possono andare in ospedale ci passano sopra come acqua fresca, perché sono lontani, diversi, e proprio non ce la facciamo a identificarci con loro.
Siamo italiani perché siamo infantili, narcisisti patologici, e facciamo piuttosto schifo.
Non parlerò di quello di cui tutti, questa mattina, stanno parlando. Ho espresso il mio dubbioso e sofferto parere all'epoca di Terry Schiavo, e non sarà il passaporto italiano della nuova vittima a farmi cambiare opinione. Ma voglio parlare invece di quel che ha fatto il Parlamento, il luogo dove si esercita la sovranità popolare, il luogo principe per capire gli italiani.
La settimana scorsa ha votato un emendamento della Lega Nord associato al "pacchetto sicurezza" che di fatto rende le cure mediche improponibili a centinaia di migliaia di persone residenti sul nostro territorio. La possibilità per i medici di denunciare alle autorità un immigrato irregolare che si sia presentato in ospedale per farsi curare è una barbarie immensa, una vergogna politica il cui solo similare in Italia sono le leggi razziali del 1938. Eppure è passata, ed è passata perché la maggioranza degli italiani è d'accordo.
La corsa per fare una legge "anti Peppino Englaro" è finita, ma non è finito lo "spirito" che l'ha animata: gli italiani hanno veramente "sofferto" pensando a Eluana, e io sono sicuro che veramente Berlusconi sia stato malissimo pensando a quella povera ragazza in stato vegetativo, e al pensiero che l'interruzione dell'alimentazione forzata l'avrebbe fatta spegnere come un piccolo animale abbandonato. Leggete Bossi oggi su Repubblica: "chi non l'ha provato non può capire". Ed è lo stesso Bossi che ha imposto l'emendamento che costringerà migliaia di clandestini a morire senza cure mediche. Ma "i clandestini" sono un'entità astratta anche se li vediamo tutti i giorni, anche se lavorano per noi, puliscono i culi dei nostri nonni e anche i nostri bagni, portano fuori il cane e l'immondizia, riparano i nostri impianti elettrici e ristrutturano le nostre case, ci procurano la coca e certi servizi sessuali particolari, cucinano nei nostri ristoranti e mangiamo il pane e la pizza fatti da loro. Ma continuano a essere invisibili. Invece Eluana è presente nella sua sofferenza di fronte agli occhi degli italiani, anche se non l'abbiamo (per fortuna e grazie al buon senso del padre) mai vista. Eluana, non so se vi siete resi conto, è un nome, un flatus vocis attorno al quale ci siamo stretti addolorati.
Come era successo con Alfredino Rampi, esattamente allo stesso modo, con Berlusconi a fare la parte che allora fu di Sandro Pertini. Perché Eluana è FIGLIA, com'era Alfredino, mentre i "clandestini" non sono un cazzo, per dire le cose come stanno.
Siamo italiani perché abbiamo bisogno di un "rapporto umano", non siamo in grado di pensare per principi astratti (cure mediche, assistenza, diritti, doveri) e abbiamo invece bisogno di incarnare tutto nella rete di quel che conosciamo, altrimenti qualunque cosa sia ci resta sostanzialmente incomprensibile e soprattutto moralmente irrilevante. Se si tratta di Alfredino o di Eluana, del loro essere "figli", allora il cuore ci si inonda, ci sentiamo stroncati da questo amore infinito (perfino "duri" come Umberto Bossi e Giuliano Ferrara, che hanno sempre fatto del pelo sullo stomaco la loro principale arma politica, perfino loro, capite?) e reagiamo. Notate ancora il carattere nazionale: non abbiamo fatto qualcosa per chiudere i pozzi artesiani italiani, no. Ma ci abbiamo ficcato dentro un nano e sondini e telecamere e presidenti piangenti non appena si è presentata l'emergenza Alfredino. E non abbiamo fatto una legge con calma quando la Cassazione ha dato ragione al papà di Eluana, più di un anno fa. No, abbiamo scatenato l'inferno legale cinque giorni prima che morisse, ci siamo inventati il disegno di legge sotto l'urgenza della tragedia, l'unica cosa che ci faccia smuovere il nostro culo di pietra. Una legge da discutere con la massima urgenza, ma ovviamente non il sabato e la domenica, ci dovesse andare di traverso il Campionato di calcio.
Siamo italiani perché tutto questo ci appartiene, non possiamo veramente chiamarci fuori, e dire che ci vergogniamo di questo presidente del consiglio o del ministro Sacconi. Siamo italiani perché non possiamo fare a meno di andare in fibrillazione se una povera ragazza in coma viene condotta (secondo la sua volontà) a liberarsi definitivamente da quello stato e la identifichiamo con nostra sorella, o figlia, o mamma, o persona cara. Mentre le centinaia di clandestini che moriranno di tubercolosi perché non possono andare in ospedale ci passano sopra come acqua fresca, perché sono lontani, diversi, e proprio non ce la facciamo a identificarci con loro.
Siamo italiani perché siamo infantili, narcisisti patologici, e facciamo piuttosto schifo.