"Domenica 23 ottobre si svolgerà a Pietralata la I° edizione di "Bicinchiesta: prendiamo a pedalate i problemi del quartiere". L'iniziativa, organizzata dalla Rete Ti.Pi. attivi di Pietralata-Tiburtina, con la collaborazione dell'equipe di Mediazione Sociale, sarà all'impronta dell'ecologia, con una simpatica biciclettata che partirà alle ore 10 dal Parco di Via Meda, con arrivo previsto, due ore dopo, al Parco Lanciani. Il tragitto, lungo circa 4 km, attraverserà alcuni luoghi simbolo del degrado del quartiere per denunciarne, simbolicamente, il degrado e l'incuria. Divertimento e aggregazione dunque, ma anche impegno sociale per sensibilizzare residenti e Istituzioni rispetto ai problemi ambientali e urbanistici: questo l'obiettivo dichiarato della manifestazione cui è invitata tutta la cittadinanza."
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
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mercoledì 19 ottobre 2011
lunedì 10 ottobre 2011
Lezioni contro la crisi
Mercoledì 12 sarò al Scienze di Tor Vergata, via della Ricerca Scientifica, per parlare insieme a molti ospiti della crisi e di cosa possiamo dire/fare (eventualmente anche baciare) noi intellettuali a riguardo. Ci troviamo alle 14, ora impegnativa, ma l'argomento lo è altrettanto e vale veramente la pena di tenere il cervello acceso. Noi ci proviamo, e vi aspettiamo numerosissimi, anche in vista della manifestazione del 15 ottobre.
Se volete i dettagli degli interventi cliccate sull'immagine della locandina.
Se volete i dettagli degli interventi cliccate sull'immagine della locandina.
sabato 8 ottobre 2011
giovedì 6 ottobre 2011
Il corpo di Steve
La morte di Steve Jobs ha rimesso in
circolazione un filmato di qualche anno fa, quando tenne la prolusione per la laurea del 2005
all’Università di Stanford. Ho rivisto Jobs raccontare la sua
storia di bambino dato in adozione, la sua storia di licenziato dalla
Apple, il racconto di come gli diagnosticarono il tumore al pancreas
e c’era qualcosa di molto americano in quel che vedevo, come in
quel che ascoltavo. Ho già notato come gli americani siano in grado
di fare discorsi che noi italiani ce li sogniamo. Anzi, non ce li
sogniamo proprio. Lo spazio pubblico del discorso qui da noi è tutto
relegato alla fredda comunicazione, non c’è alcuna conoscenza
profonda che venga tramandata nei nostri discorsi, non ci sono sfide
alte da affrontare, ma sempre la pedanteria delle piccole cose. Siano
numeri o concetti, se ne parla, da qui, dall’Italia (ma ho il
sospetto sia una tendenza europea, il che potrebbe spiegare alcune
cose sul declino del nostro continente) sempre con un po’ di
sopracciglio sollevato, sempre un po’ distaccati (quando non del
tutto distaccati), sul filo tra ironia e noia. Steve Jobs (che dicono
avesse poi un pessimo carattere sul lavoro) invece no, in quel
discorso ci ha messo un sacco di passione, di energia, di ingenua
sincerità. Robe americane, viene da dire, ma poi sono quelle robe
lì, se ce l’hai, che ti fanno inventare il MacIntosh, l’iMac,
l’iPod, l’iPhone, l’iPad. Se non sei un pazzo visionario, un
esaltato che vede attraverso
il mondo per trasformarlo con la tua testa, allora non puoi né fare
quei discorsi (Stay hungry! Stay foolish!,
ce li vedete Marchionne, Della Valle, Montezemolo?) né inventare
quelle cose.
Ma è
il corpo che mi ha colpito più di tutto. Perché, uno pensa di primo
acchito, il corpo non manca certo nella sfera pubblica italiana:
siamo letteralmente invasi dai corpi, da quello volgarmente
conturbante della Minetti a quello raccapricciante di Emilio Fede,
per non parlare ovviamente del corpo di Lui, abbronzato,
liposucchiato, botulinato, trapiantato, ferito, naylonato, in tutte
le salse.
Ma è
proprio questo il punto. Quando parla Obama o quando parla Seve Jobs
(ce l’avete presente l’immagine filiforme di questi ultimi anni
nelle presentazioni allo Yerba Buena Center di San Francisco, con il maglione nero girocollo e i
jeans sempre più larghi) vedete dei corpi tutti dentro quello che
fanno, in totale contatto armonico con le parole e il significato di
quelle parole, mentre la comunicazione pubblica italiana è del tutto
schizofrenica, il corpo tracima nelle notti di Arcore da un Reale
Politico che invece lo indoppiopetta, lo imbrillantina, lo sfina nei
gessati verticali. Non so come dire, anzi lo so come dire: quelli
sono dei pupazzi, delle marionette che con la voce chioccia dicono
parole senz’anima, e tali rimangono, pupazzi, anche quando se ne
fanno otto in una sera (solo un pinocchio gonfio di viagra può
mettere in scena il sesso ridotto a fordismo), e poi nei discorsi
pubblici non c’è una parola, un gesto, un’espressione facciale
che non suonino false, e l’unico modo per conquistare l’uditorio
è raccontare patetiche barzellette zozze, mentre Steve Jobs che
prende la bottiglietta d’acqua da mezzo per bere tra una frase e
l’altra, ed è evidente che lo deve fare perché si sta
emozionando, è un essere umano, cioè un corpo vivo che dice parole
vive.
Ancora
oggi è molto più vivo quel suo discorso di sei anni fa di tutto il
ciarpame senz’anima della parola pubblica italiota.