2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

giovedì 25 marzo 2021

Intellettuali in ristrettezze

 

In un mondo in cui le
risorse disponibili sono oggettivamente scarse o comunque percepite tali, una delle cose peggiori che si possa fare è sprecarle. Così, nelle società dominate culturalmente da questo principio, vengono sempre visti con sospetto coloro che spiccano, che si vantano delle loro capacità di raccolta o produzione, e ogni azione che potrebbe avere l’effetto di far risaltare in suo autore viene sistematicamente sminuita con l’indifferenza, la derisione e addirittura la reprimenda pubblica. Non c’è trippa per gatti, sembra dire il senso comune in questi contesti, e se ti atteggi a re della foresta poi finisce che qui la fame la facciamo tutti per colpa tua, che te ne vai in giro a raccogliere, e quindi sprecare più del dovuto, le risorse che invece dovrebbero essere per tutti.

Tra gli antropologi è rimasta famosa la storia di Richard Lee, che negli anni Sessanta fece una ricerca tra i !Kung, cacciatori e raccoglitori del Kalahari, e quindi avvezzi a un mondo di risorse limitate. Per ingraziarseli, l’antropologo Lee aveva regalato al gruppo !Kung con cui stava lavorando un grosso bue, ma l’accoglienza per il dono fu piuttosto tiepida: “Ovviamente lo mangeremo – dissero – ma non ci sazierà, lo mangeremo e torneremo a casa a dormire con lo stomaco che brontola” (citato nel Manuale di Antropologia culturale di Marvin Harris, p. 112).

Il modo in cui vengono recepite le riflessioni di alcuni intellettuali italiani dai colleghi (e wannabe colleghi, se posso permettermi una punzecchiata in anticipo) somiglia molto alla reazione !kung di fronte al grasso bue di Richard Lee: invece di festeggiare il dono, o eventualmente commentare criticamente con “preferisco il montone”, si sminuisce il dono (a meno che non sia stato presentato da un compare di clan) e si fa di tutto per svalutare le qualità morali di colui che l’ha offerto.

Questa strategia è veramente comune nel mondo intellettuale italiano e dipende, ne sono convinto, da una versione immateriale della “cultura della povertà” che considera perfino il mondo delle idee una risorsa a disponibilità limitata, versione che si concretizza in gelosie e penose rivalità, che puntano sempre al gioco al ribasso, fine ultimo delle economie basate sulla concezione limitata dei beni (Il mondo anglosassone ragiona invece sulla possibilità di intensificare la portata ambientale del campo culturale, cosa che invoglia tutti a lanciarsi in ipotesi anche azzardate, che possono essere confrontate e produrre ricchezza culturale; ma questa pista di riflessione deve essere interrotta qui per ragioni di spaziotempo).

Se scrivo ALESSANDRO BARICCO in lettere maiuscole è proprio per spingere chi legge a riflettere sulla sua prima reazione alla vista di questa sequenza di lettere: spocchioso, ammerda, snob, marchettaro, seevabbè, saccente, borghese, élitario, piemontesi falsi e cortesi, e potrei andare avanti per ore. Questo giudizio, si badi bene, è correlato direttamente alle presunte qualità intellettuali e livello culturale di colui che giudica (tengo il maschile perché poi c’è un tono evidente di machismo competitivo, che però, anche in questo caso, non posso approfondire), per cui più è elevato il senso di sé e delle proprie qualità intellettuali (più, insomma, ci si sente un competitor di Baricco in qualità di cacciatore e raccoglitore di idee, e non ci si considera semplicemente uno del villaggio che trae vantaggio dal lavoro dei cacciatori che tornano dalla battuta e spartiscono la preda) e più sarà pesante l’azione di diminuzione della bariccata in corso.

Prendiamo la recente collaborazione di Baricco al Post (il quotidiano online diretto da Luca Sofri, assieme a Avvenire l’unico giornale in lingua italiana che ancora valga la pena di essere letto) e le reazioni che ha suscitato.

Baricco dice che il sapere odierno (che lui da anni etichetta come Novecentesco) è inflessibile, specialistico, stanziale e razionale. Non ho motivo di entrare nel merito delle riflessioni di Baricco, ma quel che mi interessa sono due punti, e cioè (1) il contenuto di quel che dice, la sua idea di fondo; e (2) la comune reazione degli intellettuali alla pubblicazione del suo testo sul Post.


(1)
Baricco sostiene che il sistema della conoscenza che abbiamo ereditato (filosofia di qua, matematica di là, letteratura di sopra, epigenetica di sotto, arte da una parte, fisica teorica dell'altra) non ce la fa più a spiegare il mondo in cui viviamo e prova a descrivere questa insoddisfazione di fondo per un sistema della conoscenza sempre più inadeguato. Novecentesco, per Baricco, è il rifugiarsi nei compartimenti già predisposti, che per esempio vorrebbero ancora le “scienze umanistiche” fare le mosche nocchiere delle scienze dure come nel peggior crocianesimo. E non si tratta di riflessioni per epistemologi disoccupati, ma per genitori con figli in età scolare, che sempre più perplessi si chiedono se la divisione elementari-medie-superiori si possa trascinare in questo modo, e se il sistema dei “licei” e degli “istituti tecnici” abbia alcun senso quando l’informatica (non parlo di usare Word o Chrome, ma di avere dimestichezza almeno con un linguaggio di programmazione) è ancora relegata in qualche istituto tecnico, e la capacità di usare i Big Data non è neppure concepita tra le cose che un adolescente dovrebbe studiare a scuola. Non tocco poi l’Università, perché lì le fossilizzazioni disciplinari sono talmente rigide e strutturate (guardate che fine fanno nei concorsi di abilitazione tutti i transdisciplinari e gli indisciplinati in generale) che non coltivo alcuna speranza per le prossime tre generazioni. Baricco insomma dice che non ha molto senso chiedere alla tradizione (sempiternamente composta di un lignaggio chiuso di maschi bianchi, barbuti e morti) di farci capire il mondo in cui viviamo. Che non è solo il mondo di internet (signora mia), ma anche quello della biologia evoluzionista (che sta devastando le scienze sociali, almeno quelle che provano a dialogarci); un mondo che non solo ha creato Facebook (orrore) ma sta squassando con l'epigenetica il nostro modo di concepire il rapporto mente/corpo e il dilemma nature/nurture; un mondo in cui non solo ci stanno gli influencer (oddio che schifo) ma anche i Big Data e gli archivi aperti che non sappiamo come insegnare a usare. Veramente pensiamo che saranno "lo specialismo" e "le scienze umane" a farci capire il mondo in cui viviamo? Veramente, mentre i fisici teorici diventano filosofi e citano Nagarjuna, oppure diventano antropologi e provano a raccontare l’origine dell’universo come fosse un mitologia per laici, pensiamo che valga la pena di mettere i sacchi di sabbia sulle mura delle nostre torri d’avorio?

(2) Parlo di torri d’avorio perché, purtroppo, questa è stata la risposta più puntuta e diretta alle sollecitazioni di Baricco. Invece di guardare il bue, di farci festa, il coro generale è stato: ma dai, Baricco, la scuola Holden, che palle, che assurdo, che schifo, che noia. Baricco è snob (e allora contestiamolo con lo snobismo dei “saperi tradizionali” da difendere; poi ditemi se questa tattica ci porterà mai da qualche parte, intellettualmente), si fanno le pulci al concetto di “razionalità” (guarda che il bue che ci regali ha le corna storte, tra l’altro), lo si accusa di essere borghese (e già questo basta a capire da che cantuccio del proprio tinello si guarda a un mondo in subbuglio totale).

Dagli al Baricco, al cacciatore che si vanta, che torna a casa e pretende di darci da mangiare le cose che ha cacciato lui. Poi finisce che non resta più nulla da cacciare per noialtri cacciatori, se questo continua a fare il gradasso in questo modo e a pretendere di occupare spazi che non gli competono. Ci siamo già noi insegnanti, filosofi, antropologi, storici, sociologi, psicologi, pedagogisti, economisti e giuristi, perché ’sto stronzetto non ricomincia a scrivere narrativa invece di impicciarsi?

Nihil sub sole novi, ci mancherebbe (Umberto Eco ha subito la stessa sorte da quando ha scritto il Nome della rosa), ma fa sempre un po’ di pena questo battibeccare tra nobili decaduti, ecco. Ricorda lo stile dei matematici italiani del Cinquecento, che facevano qualche scoperta clamorosa (come la soluzione delle equazioni di terzo grado trovata da Scipione del Ferro) ma poi la tenevano per sé fino alla morte, per paura di dare qualche vantaggio a quelli che venivano percepiti come avversari, non colleghi. Guardiamo all’etimo di queste due ultime parole, e avremo capito molto del mondo intellettuale italiano.

giovedì 18 marzo 2021

Donne e lavoro

 


Palazzo Rospigliosi a Zagarolo è uno spettacolo, e le persone che ci lavorano lo sono anche di più. Quando Andrea Celeste Peronti, la direttrice, ha chiesto ad alcuni di noi, docenti di Tor Vergata, di partecipare a un incontro sulla condizione lavorativa delle donne  non era ancora previsto il lockdown attuale e io speravo veramente di poterci essere in presenza. Invece.

Ma teniamo duro, e sarà un bell'evento, cui parteciperanno anche gli amministratori della città e la mitica Alessandra Laterza, imprenditrice del Booklet Le Torri, una vera istituzione del VI Municipio di Roma (dove si colloca anche Tor Vergata e che confina proprio con Zagarolo). Sarà una dimostrazione dell'attenzione della città di Zagarolo per la condizione femminile e dell'interesse da parte del VI Municipio (Tor Vergata inclusa) per la cittadinanza anche dei territori adiacenti la città. Sarà bello immaginarci in una delle meravigliose sale affrescate del palazzo, parlare tra amiche e amici di come diventare migliori, riconoscendo il ruolo delle donne nella vita civile e lavorativa delle  nostro paese, del mondo.

L'incontro inizia alle ore 18:00, e questo è il link per seguire la diretta su Facebook. Speriamo di vedervi numerosi e, soprattutto, numerose.

giovedì 4 marzo 2021

LABORATORIO DIDATTICO: Filmare la cultura? Organizzato e condotto da Elia Romanelli


Iniziamo il 19 marzo. Visto che i laboratori didattici languono nella pandemia, ho pensato di organizzare online qualcosa che potesse attrarre gli studenti e le studentesse, e cosa ci potrebbe essere di più adatto, facendo lezione attraverso lo schermo, che riflettere sulle immagini stesse?

Quindi il laboratorio didattico di Antropologia culturale (che penso per molti di voi sia noto come Laboratorio di Antropologia urbana, essendo nato al PEF – Polo Ex Fienile) quest’anno parlerà di antropologia e immagini, il che significa che sarà dedicato al documentario etnografico.

Visto che io non ne so nulla, ho chiesto a Elia Romanelli, ormai espertissimo antropologo documentarista, di organizzare sei incontri che tenessero viva per quanto possibile la dimensione artigianale del nostro mestiere.  

1. IL NON-VERO

 Si guarderà all’origine dell’antropologia visuale e quindi all’utilizzo dei materiali fotografici e video nei lavori di Gregory Bateson e Margaret Mead.

Si valuteranno i rischi impliciti nella volontà di standardizzare le immagini fino a certi estremi del “cinema d’osservazione”.

Attraverso le considerazioni di James Clifford e di Vincent Crapanzano, il tema dell’inevitabilità di essere autori.

L’esempio cinematografico di Flaherty: le prime finzioni nel primo documentario.

L’esempio delle musiche in De Seta e in Cecilia Mangini.

Il tema estremo della messa in scena come unica possibilità di narrare “il vero”

Introduzione, racconto e visione di “The act of killing”.

 Filmografia:

 Tim Asch “The Ax Fight”

Robert Flaherty “Nanook of the north”

Vittorio De Seta “Lu tempu di li pisci spata”

Cecilia Mangini “Stendalì (suonano ancora)”

Joshua Oppenheimer “The act of killing”

  

2. IL NON-ESPLICITO

 In questo incontro si vuole sottolineare come spesso il tema trattato in un documentario possa essere pretestuoso e come il suo valore informativo, la sua parabola, addirittura il suo messaggio, possa essere effettivamente legato ad un secondo livello di lettura (di visione).

In questo senso si guarderà alle differenze di approccio tra il cinema di Herzog e il Cinéma Vérité.

 Filmografia

 Kitty Green “Casting JonBenet”

Katja Marika Gauriloff “Canned Dreams”

 

3. IL NON-PROTAGONISTA (La realtà decide il plot)

Si vuole tentare un parallelismo tra la figura dell’informatore in antropologia e quella del protagonista-intervistato in un documentario. E cosa succede teoricamente se si parte dalla possibilità di basare un documentario  su una persona che nega la sua collaborazione.

Il caso di “Cadenza d’inganno”: rendere protagonista chi fugge e fargli decidere il finale del film.

Altri interventi della realtà sul processo produttivo e sul plot: i pidocchi e l’innamoramento dell’elettricista in “Anna” di Grifi.

Infine il film girato “per caso”, senza regista, senza direttore della fotografia, con un protagonista ignaro: “87 ore”

 Filmografia

 Leonardo Di Costanzo “Cadenza d’inganno”

Alberto Grifi e Massimo Sarchielli  “Anna”

Alberto Grifi “Verifica incerta”

Costanza Quatriglio “87 ore”

 

4 IL NON-TEMA

 Partendo dalla forte parentela tra antropologia e documentario, pensando cioè al momento del campo di ricerca/sopralluogo, si guarderà poi alle differenze negli sviluppi possibili.

Il regista che decide di non lavorare su nessun tema in specifico, di sviluppare il proprio lavoro attraverso immagini apparentemente scollegate l’una all’altra.

Introduzione e visione di “Untitled”.

Walter Benjamin sull’interrogare le immagini.

Segue un’ intervista a Mauro Santini, sempre sulla possibilità di non cercare un tema.

Breve incontro con Laura Romano che ci racconta le reazioni e i doveri dei produttori di fronte alle proposte inconsuete, agli script di documentari complessi.

 Filmografia

 Michael Glawogger, Monica Willi “Untitled”

Mauro Santini “Attesa di un’estate”

 

5 LA NON-LEZIONE

 Il quinto incontro vuole accennare ad alcuni temi che possano integrare la visione eterogenea del concetto di documentario favorita dalle lezioni precedenti.

Il Mockumentary e il valore dell’informazione nel documentario.

La spettacolarizzazione dell’informazione: come Netflix racconta Osho.

Il found footage: la possibilità di non girare nulla, l’utilizzo di ciò che già c’è.

Parte del quinto incontro sarà dedicato alla preparazione del campo di ricerca/sopralluogo che i singoli studenti affronteranno come prova pratica nelle settimane a seguire.

 Filmografia

 Peter Jackson “Forgotten Silver”

Alina Marazzi “Un’ora sola ti vorrei”

 

 6 I PROGETTI

 L’ultimo incontro sarà la discussione dei materiali e dei progetti prodotti dagli studenti, attraverso una prospettiva antropologica, una prospettiva registica ed una prospettiva produttiva.

Laura Romano analizzerà alcune proposte e se ne discuterà l’effettiva fattibilità, la vendibilità, il confronto con il mercato, i mezzi necessari.

 

CALENDARIO

19 marzo – 2 aprile – 16 aprile – 30 aprile – 14 maggio – 28 maggio

Gli incontri si tengono dalle 13 alle 15 sulle piattaforme Zoom e Teams.

 

Vista la natura laboratoriale del progetto, abbiamo bisogno di organizzare la presenza in numeri ristretti. Ci sono già delle iscrizioni, per cui se siete interessate o interessati scrivete al mio indirizzo di Tor Vergata: pietro.vereni@uniroma2.it, oppure anche a piero.vereni@gmail.com