Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
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venerdì 28 settembre 2007
Niente di nuovo sotto il sole
Il dibattito sul ruolo della televisione, sul suo essere cattiva maestra o invece fonte di liberazione intellettuale nasce ben prima della televisione, e si può far risalire ai primordi della comunicazione di massa. La querelle sembra sempre la stessa: la rinuncia forzosa da parte di un'élite al proprio privilegio sociale distintivo e la progressiva popolarizzazione di una tecnologia e/o di uno stile. Quando, attorno alla metà del Settecento, il romanzo epistolare imperversava e gli scritti di Jean-Jacques Rousseau (Julie) o Samuel Richardson (Pamela, Clarissa) si ristampavano in decine di edizioni e migliaia di esemplari, il punto del contendere era se questo tipo di letture (tutto preso a raccontare le vicende di persone comuni), borghesi, non eroi, né nobili o dei) e soprattutto la loro diffusione, fosse pernicioso (soprattutto per le donne, che iniziavano allora ad affacciarsi alla scrittura e alla lettura). Simili considerazioni si possono fare per la pittura. Più o meno nello stesso periodo in cui il romanzo iniziava a diventare veramente popolare, un nobile inglese si sentiva in diritto di prendersela con la moda francese dei ritratti individuali di persone comuni (comuni borghesi, ovviamente) che, a suo parere, era dovuta a null'altro che a un “infelice gusto dell'epoca” che rischiava di mortificare la vera Arte. (Rielaboro queste idee sul ruolo del romanzo e del ritratto da un manoscritto di Lynn Hunt che ho avuto in visione per una valutazione ma non credo sia mai stato tradotto in italiano. Si intitola Inventing Human Rights, ed è stato pubblicato in inglese qualche mese fa).
In questi casi, come nel caso della televisione, come nel caso di Internet, quel che è in gioco è la presenza degli individui“comuni”come oggetto di rappresentazione e di comunicazione pubblica. Le vicende di Pamela, come i ritratti dell'emergente borghesia francese, come i protagonisti dei reality e di molti talk show, richiamano alla quotidianità, rinunciando esplicitamente a qualunque eccezionalità o raffigurazione esemplare. Quel che contestano i critici della cultura di massa è la sua mancanza di vocazione pedagogica per mezzo dell'exemplum, che per definizione ed etimologia è quel che si staglia, quel che emerge, quel che non riesce a stare confinato sullo sfondo. Cosa possiamo imparare, dicono implicitamente i nemici della cultura di massa (da Adorno in poi) se ci mettete di fronte all'indistinto del reale, se non ritagliate e selezionate quel che merita da quel che non ha alcun valore?
Per quanto ovviamente legittima, questa presa di posizione va considerata per quel che è: un assunto pregiudiziale che nega valore morale al consueto, al comune, al diffuso, e che quindi inevitabilmente si tinge di elitismo. Non c'è nulla di male ad essere elitari, ci mancherebbe. Lìimportante è riconoscerlo e non coprire di finto rispetto per i sani valori popolari del buon tempo che fu quel che è invece null'altro che sprezzo per le classi popolari e la loro cultura.