Le occupazioni a scopo abitativo hanno sempre avuto, in
Italia e in particolare a Roma, una connotazione politica chiara, superando di
molto la “semplice” richiesta di un diritto di base per porsi come progetto
alternativo nella gestione dello spazio pubblico urbano. Con la progressiva
visibilità degli stranieri tra gli occupanti, la rappresentazione delle
occupazioni nella sfera pubblica è scivolata sempre più nella sua
criminalizzazione, inevitabile compendio dell’alterizzazione in un contesto
politico-economico alla ricerca di facili capri espiatori. La resistenza a
questo processo è praticata in modo anche contraddittorio dagli occupanti: da
un lato si è intensificata la visibilità del sistema organizzativo delle
occupazioni, in una sorta di intenzionale “uscita dall’ombra”; dall’altro si è
proceduto a un duplice mutamento degli obiettivi originari dell’occupare. A
volte, infatti, capita che gli occupanti leggano lo squatting come una
paradossale chiave d’accesso all’altrimenti irraggiungibile decoro borghese; d’altro
canto, molti vivono le occupazioni sempre meno come spazio liminare
(provocazione rituale auto-segregante che interpella le istituzioni in vista di
una prossima reintegrazione alla piena cittadinanza dell’alloggio sociale) e
sempre più come spazio neo-topico di alternativa radicale (e soprattutto
definitiva) alla reclusione degli affetti nello spazio domestico confinato al
di qua della porta di casa. La combinazione di queste divergenti (e anche
contraddittorie) resistenze allo sguardo criminalizzante del discorso pubblico
fa delle occupazioni a scopo abitativo uno degli ambienti culturalmente più
fertili per teorizzare lo spazio urbano. GIOVEDI 15 dicembre ore 17:00. Roma Sapienza.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
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giovedì 15 dicembre 2016
domenica 4 dicembre 2016
Uomini in movimento
Tranquilli, non sono gli sconfitti del refendum, gli uomini in movimento di cui parliamo lunedì 5 e martedì 6, ma noi uomini in generale, alla ricerca di capire quel che siamo, come stiamo organizzando (riorganizzando) la nostra condizione di genere, la nostra sessualità, il nostro "essere uomini". Se non affrontiamo in profondità questo tema sarà difficile uscire dalla crisi, che è ben più che economica, e vede nelle tensioni di genere uno degli snodi imprescindibili.
Siamo a Roma, nella sede stupenda della Società Geografica Italiana, a Villa Celimontana.
Io parlo martedì 5 nel primo pomeriggio, ma sarò presente (quasi) per l'intero convegno. Ci sarà un servizio di traduzione simultanea per i relatori in lingua inglese.
I miei studenti e le mie studentesse del modulo B di antropologia culturale (dedicato quest'anno al concetto di Persona) sono invitati a partecipare. L'invito è esteso a tutte e tutti. Io martedì parlo della costruzione della maschilità tra gli uomini bangladesi, tra Roma e madrepatria.
Siamo a Roma, nella sede stupenda della Società Geografica Italiana, a Villa Celimontana.
Io parlo martedì 5 nel primo pomeriggio, ma sarò presente (quasi) per l'intero convegno. Ci sarà un servizio di traduzione simultanea per i relatori in lingua inglese.
I miei studenti e le mie studentesse del modulo B di antropologia culturale (dedicato quest'anno al concetto di Persona) sono invitati a partecipare. L'invito è esteso a tutte e tutti. Io martedì parlo della costruzione della maschilità tra gli uomini bangladesi, tra Roma e madrepatria.
venerdì 2 dicembre 2016
Perché voterò No al Referendum costituzionale
Ho cercato di scrivere un post spiegando le mie ragioni (da
antropologo) per votare No, ma ne è venuto fuori un pippone lungo e in parte
indigesto, che potete (se siete masochisti) leggere qui. Provo invece in questa
sede a sintetizzare per chi, giustamente, avesse poco tempo.
1. La Costituzione è una carta in buona sostanza simbolica.
Non è vero che ha il potere di cambiare la politica o l’economia di un paese,
per quella ci vogliono leggi ordinarie. La Costituzione è come un campo di
gioco, stabilisce le dimensioni, il tipo di materiale e, quando serve, il tipo
di attrezzatura. Ma non dice che sport ci giocherai (pensate ai palazzetti), al
massimo te ne vieta alcuni (impossibile giocare a polo in un palazzetto, ad
esempio, o hockey sul ghiaccio sulla terra rossa) e soprattutto non ti
garantisce mai che la tua squadra vincerà il campionato.
2. Quindi, la Costituzione è lo spazio delle regole
condivise PRIMA che inizi l’Agon politico, la battaglia tra chi poi perderà e
vincerà di volta in volta. Mettere in piedi una riforma costituzionale con
spirito agonistico (se non vinco me ne vado) è folle, perché contraddice
(qualunque sia il suo “andiamo nel merito”) nel metodo il fine stesso della
Carta, che è integrativo e non divisivo. Fare una riforma intitolandosela è un
sintomo grave di insipienza politica. Pretendere di vincere un referendum
costituzionale implica l’incapacità di comprendere la funzione di una
Costituzione. Per me chi si muove su questo piano è un cannibale politico, gli
interessa solo il Potere personale, non il bene del Paese. Se gli interessasse
il bene del Paese avrebbe chiesto al Parlamento di fare una riforma, al
massimo. Uscendo dall’aula durante il dibattito e il voto.
3. Questo discorso vale tanto per chi vuole “vincere” quanto
per chi vuole “far perdere”, e i fondi velenosi di Travaglio e le promesse di
denuncia di Grillo sono prodotti nella stessa logica divisiva che nega il
valore della Costituzione. Fare le barricate per il No invocando fascismi,
stupri della sacralità della carta e il rigurgito centralista e statalista è
una strategia divisiva, che ancora una volta punta a far vincere la propria
parte e che di fatto si muove nella stessa logica agonistica del gioco a somma
zero (se qualcuno ci guadagna, allora qualcuno ci rimette per forza).
4. Quindi non posso votare Sì perché l’intento di questa riforma
è, da parte del promotore, la sanzione popolare del suo Potere giammai
legittimato dal voto: ha fatto una scommessa quando le quote lo davano
imbattibile, e ora si trova a dover drogare di doping il cavallo sbagliato. Non
è esattamente quel che si dice uno spirito costituzionale ad aver messo in moto
tutto il baraccone, e non me la sento di legittimare una mossa di
prevaricazione politica. Ma questo non è un argomento per votare No, dato che
bastava cominciare con loro (dai, Berlusconi; suvvia, Salvini: ma fatemi il
piacere) per avere gli stessi argomenti per NON stare dalla loro parte (e quindi
per evitare convintamente di votare No).
5. Se dunque una riflessione sulla forma mi impedisce di
scegliere (sono sbagliate entrambe le motivazioni) posso guardare al contenuto,
e questo mi rassicura. Questa riforma costituzionale è terribilmente vecchia, e
porta in Italia uno stile di rappresentanza politica che è nato in USA nel
secondo dopoguerra, e si è espanso in Europa a partire dalla ventata “di destra”
degli anni Ottanta. E’ uno stile che pretende di ridurre “la politica” a una
cosa sporca che meno ce n’è e meglio è per i cittadini. Uno stile che pretende
di cancellare i corpi intermedi della rappresentanza per creare legami diretti
tra un indistinto popolo (sempre più esentato da dichiarazioni di appartenenza
di classe e sempre più invece spinto a dichiararsi etnicamente) e una
leadership plebiscitaria e ristretta. Io voglio la ritualità del potere, i suoi
salamelecchi, i lacci e lacciuoli, proprio perché un potere franco, che “ci
mette la faccia”, che pensa a “fare, fare, fare” senza pensare a “dialogare,
ragionare, mediare” è quello di cui NON abbiamo bisogno oggi. Io voglio una
terza camera, una quarta, che rallenti il ritmo delle leggi (ne facciamo
troppe, infatti, e troppo velocemente) che impedisca al ministro di turno di
avere carta bianca senza un’ampia e laboriosissima discussione. Io voglio la
Palude, unica garanzia di Democrazia compiuta.
6. Certo, sto esagerando, sto provocando. Ma l’idea di fondo
spero sia chiara. Io voto No perché questa proposta di Riforma spinge in una
direzione che il mondo occidentale ha visto percorsa da tutte le democrazie “mature”
da troppo tempo. Voto No perché è una riforma vecchia, fatta da giovani vecchi,
che non capiscono nulla dei bisogni del paese, che riciclano le ricette ammuffite
del Nord Europa. Abolire il CNEL? Io lo voglio rifinanziato. Abolire il Senato?
Sarà forse la camera unica in grado di affrontare la questione ecologica, la
crisi capitale-ambiente, il disastro generazionale, la sperequazione di genere?
O non sarebbe invece un paese più colto, più istruito, con più investimenti in ricerca
e sviluppo?
7. Per questo voto No, senza bisogno di fare il tifo, senza
che chi vota No mi consideri dalla parte sua (Salvini vaffanculo), e senza che
chi vota Sì si senta tradito, mi tolga il saluto o altre oscenità che sono in
contraddizione con lo spirito stesso del voto referendario quando è in gioco la
Costituzione. Non voglio vincere, non voglio perdere, non è una gara. Chi vota
Sì o No con spirito Costituzionale (e non per vincere) ha tutta la mia stima e
la mia considerazione. Cambiamo partita, per cortesia, anzi, smettiamo di
credere sia una partita, usciamo dalla metafora fintamente rassicurante della
partita. Non ci sono avversari, se non quelli che ci inventiamo, in un voto
referendario.