Le occupazioni a scopo abitativo hanno sempre avuto, in
Italia e in particolare a Roma, una connotazione politica chiara, superando di
molto la “semplice” richiesta di un diritto di base per porsi come progetto
alternativo nella gestione dello spazio pubblico urbano. Con la progressiva
visibilità degli stranieri tra gli occupanti, la rappresentazione delle
occupazioni nella sfera pubblica è scivolata sempre più nella sua
criminalizzazione, inevitabile compendio dell’alterizzazione in un contesto
politico-economico alla ricerca di facili capri espiatori. La resistenza a
questo processo è praticata in modo anche contraddittorio dagli occupanti: da
un lato si è intensificata la visibilità del sistema organizzativo delle
occupazioni, in una sorta di intenzionale “uscita dall’ombra”; dall’altro si è
proceduto a un duplice mutamento degli obiettivi originari dell’occupare. A
volte, infatti, capita che gli occupanti leggano lo squatting come una
paradossale chiave d’accesso all’altrimenti irraggiungibile decoro borghese; d’altro
canto, molti vivono le occupazioni sempre meno come spazio liminare
(provocazione rituale auto-segregante che interpella le istituzioni in vista di
una prossima reintegrazione alla piena cittadinanza dell’alloggio sociale) e
sempre più come spazio neo-topico di alternativa radicale (e soprattutto
definitiva) alla reclusione degli affetti nello spazio domestico confinato al
di qua della porta di casa. La combinazione di queste divergenti (e anche
contraddittorie) resistenze allo sguardo criminalizzante del discorso pubblico
fa delle occupazioni a scopo abitativo uno degli ambienti culturalmente più
fertili per teorizzare lo spazio urbano. GIOVEDI 15 dicembre ore 17:00. Roma Sapienza.