Non sono un cultore dei master universitari, che molto spesso sono basati su un imbroglio (più o meno esplicito a seconda delle dimensioni della retta da pagare), vale a dire: io ti VENDO delle COMPETENZE, tu ACQUISTI qualche CHANCE in più per entrare nel mondo del lavoro. Il che equivale a dire due cose, parimenti brutte:
1. che il lavoro è una merce rara;
2. che il lavoro è una merce, e visto che è rara, allora non te lo vendo neppure, ma ti vendo la speranza che tu possa essere un pochino più avvantaggiato nella corsa.
In questo modo, il sistema del Mercato (comprare e vendere stabilendo produzione e prezzo unicamente a seconda della domanda e dell'offerta) entra prepotentemente nel sistema del Sapere. Grazie tante, diranno i miei piccoli lettori, e te ne sei accorto ora? No, certo, diciamo che ogni "riforma" dell'istruzione in questo ultimo trentennio ha puntato a intrecciare i due grandi spazi della vita associata, il Sistema Produttivo e Distributivo delle Merci, e il Sistema Produttivo e Distributivo del Sapere, fino alla scemenza della "alternanza scuola-lavoro", ma il punto è un po' più sottile.
Si sta dicendo sempre meno velatamente che il Sapere dovrebbe essere funzionale al Sistema delle Merci (loro lo dicono in modo un po' più criptico, e parlano a ruota libera della professionalizzazione) al punto da diventarne una funzione. Vale a dire, sempre più sta diventando senso comune che una cosa vale la pena di saperla solo se, in un linguaggio ferocemente economicista, "ti serve", vale a dire fa tornare i conti (costi/benefici), cioè può essere capitalizzata, reinvestita, utilizzata, applicata (tutto lessico economico, come notate).
Basta prendere consapevolezza di questo giudizio largamente implicito per riconoscere la sua natura aberrante. Per fortuna e vivaddio, la grandissima parte delle cose che sappiamo non ci servono assolutamente a nulla, tanto meno nel campo del lavoro (Non ci servono perché sono COSE CHE SIAMO, sono parte di noi, sono una cosa ben diversa da strumenti di lavoro). Diciamo dunque che è una iattura che l'università abbia accettato con tanta faciloneria di farsi portavoce e fautrice di questo mutamento culturale che svilisce il Sapere tutto a discapito dell'Utile. E' dunque particolarmente piacevole quando ci si imbatte in Master che invece hanno mantenuto chiaro questo contratto di base della docenza: Io ti INSEGNO a CAPIRE, poi, quel che ci farai con quel SAPERE è AFFAR TUO. Se però io ti insegno a capire in profondità i meccanismi di funzionamento del mondo (non ti insegno a FARE MECCANICAMENTE, cioè, ma a DECIDERE COSA FARE) allora sarà inevitabile che tu sarai in grado di fare buon uso di quel Sapere, quando e dove vorrai decidere di applicarlo criticamente.
Per questo mi fa molto piacere invitare i laureati e le laureate attenti alle scienze sociali a valutare il Master in Environmental Humanities dell'Università di RomaTre. Conosco alcuni dei docenti e ho visto il programma, che garantisce proprio pochissimi "sbocchi professionali" certi (e quindi non imbroglia) mentre fornisce un sacco, ma proprio un sacco, di strumenti di intelligenza analitica, di comprensione dello spazio, di analisi del sistema in cui siamo immersi.
Invece di imparare, con questo Master capirete un sacco di cose, diventerete quindi cittadini più ricchi e articolati, e una volta che avrete deciso che lavoro fare da grandi lo farete sicuramente meglio.