Mi capita spesso di avere sulle labbra questo endecasillabo.
E’ l’inizio di una poesia che non ho mai scritto.
Sarebbe una canzone libera leopardiana secondo me, o secondo quella parte
di me a cui viene in mente spesso.
Forse un paio di volte ci ho provato, a buttare giù qualcosa
di sensato, ma non ne è uscito nulla di corrispondente al mio stato d’animo
quando penso o sussurro l’endecasillabo.
Credo che il primo bagliore sia stato nel cimitero di Erice, un cimitero antico, con ex-antenati antichissimi, ma anche tombe recenti, ovviamente. E attorno, indaffarate come quando c’è un ospite nel tinello e loro facevano su e giù dalla cucina con il rosolio o un caffè, ecco queste donne di mezza età.
Stanno nei cimiteri, e si prendono cura dei loro morti
con i modi spicci che erroneamente a volte attribuiamo ai maschi. I
maschi sono di modi bruschi (vedi La Cecla), le donne
sono invece spicce, quando devono prendersi cura dei loro morti e vanno
al sodo: la scopa di saggina, l’innaffiatoio, la fontana d’acqua più vicina, il
lumino che dura un anno che va comprato in quel negozio e non in quell’altro
(dura di meno, il lumino, e noi siamo qui solo per l’estate, al massimo arriviamo
ai Morti, noi donne di mezza età nei cimiteri, poi tocca tornare nella
Città a svernare).
Perché mai “di mezza età” viene da dire?
Statistica, intanto: sono spesso vedove, sopravvivono ai mariti con impenitente
frequenza. E poi non possono essere vecchie, perché io mi sono fatto l’idea
che l’uomo diventa vecchio quando chiede insistentemente l’attaccapanni al ristorante,
invece la donna diventa vecchia quando non va più al cimitero, a prendersi cura
dei suoi morti con i suoi modi spicci, come rassettasse il tavolo o il banco della
cucina dopo pranzo: precisione senza smancerie. Quindi, se ne deduce, ci
sono donne che non sono mai di mezz’età, e quelle sono proprio le tipiche che
non ci vanno mai, nei cimiteri. Sono troppo giovani, hanno altro da
fare, hanno il lavoro, i fidanzati loro, qualche figlio, ma non hanno tempo per
queste cosa che sarebbe pulire una tomba, cambiare l’acqua ai fiori,
addirittura sistemare una piantina. E poi, d’improvviso, diventano
vecchie, e cominciano ad avere male alle gambe, o hanno la pressione alta, o l’osteoporosi,
e non possono più andare al cimitero. “Più”, anche se non ci sono mai
andate, perché non sono mai state donne di mezza età.
Sistemano i fiori con gusto essenziale, sono
minimaliste le donne di mezza età dei cimiteri e soprattutto si riconoscono
perché hanno il loro giro. Hanno consolidato il loro ruolo con le tombe
dei genitori, e questo le ha fatte diventare di mezza età, anche se molte di
loro erano in questo senso di mezza età già da giovani, perché andavano con la
mamma, o la zia, a trovare i nonni e i bisnonni. Ora che i genitori devono
essere accuditi nelle loro tombe, le donne di mezza età nei cimiteri fioriscono
nella loro pienezza, si muovono con inaspettata destrezza tra le scale per portare
il fiore alla prozia morta da quarant’anni, e la tomba primigenia a
terra del bisnonno (di loro, che sono nonne da un pezzo, pur essendo ovviamente
null’altro che di mezza età).
E poi, certo, si salutano tra loro, le donne di
mezza età. Si conoscono quasi tutte, e senza troppi fronzoli si raccontano e si
aggiornano dei rispettivi alberi genealogici, o dell’improvviso reclutamento di
una nuova tra loro. Gli uomini, come me, si mettono spesso volenterosi al
servizio e portano l’acqua negli innaffiatoi, addirittura caricandosene due
alla volta, uno per mano, quando l’estate è più polverosa e c’è bisogno
comunque di far lustrare il marmo.
Oppure, se sono soli, gli uomini capiscono che lì, per
dare un saluto alla madre, anche loro – almeno mentre passano lo straccio
sul marmo e sistemano i fiori di plastica perché sembrino un poco meno
finti – devono diventare, anzi, devono essere, per quel
brevissimo e infinito lasso di tempo, donne di mezza età, nei cimiteri.