Certi giorni
E' una poesia in versi e immagini, l'ho trovata sul blog di Maurizio Goetz che vedete linkato qui all'inizio.
Per chi non è in grado di seguire il testo, riporto qui una trascrizione e la mia traduzione.
Some days
Some days
I put the people in their places at the table
Bend their legs at the knees
If they come with that feature
And fix them into the tiny wooden chairs
All afternoon
They face one another
The man in the brown suit
The woman in the blue dress
Perfectly motionless
Perfectly behaved
But other days
I am the one who is lifted up by the ribs
Then lowered
Into the dining room of a doll house
To sit with the others at the long table
Very funny
But how would you like it
If you never knew from one day to the next
If you were going to spend it
Striding around Like a vivid god
Your shoulders in the clouds
Or
Sitting down there, amidst the wallpaper
Staring straight ahead
With your little plastic face
Billy Collins
Certi giorni
Certi giorni
sono io a mettere le persone al loro posto attorno al tavolo
Piego loro le gambe all’altezza del ginocchio
Se possono farlo
E le assicuro alle loro minuscole sedie di legno
Tutto il pomeriggio
Si fissano l’un l’altro
L’uomo col completo marrone
La donna col vestito azzurro
Perfettamente inespressivi
Perfettamente composti
Ma altri giorni
Sono io quello che viene sollevato per le costole
E poi calato
Nella sala da pranzo di una casa di bambole
Per sedere assieme agli altri alla lunga tavolata
Molto divertente
Ma a voi piacerebbe
se non sapeste mai se il giorno dopo
Finirete per passarlo
Svettando come un dio luminoso
Le spalle tra le nubi
Oppure
Seduti laggiù, tra la carta da parati
Fissando giusto davanti a voi
Con la vostra faccina di plastica
Traduzione di Piero Vereni
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
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sabato 30 giugno 2007
martedì 26 giugno 2007
Ancora sull'essere aggiornati (post criptico)
Siccome qualcuno si è risentito per il tono frettoloso con cui ho riassunto la mia posizione sull'uso della conoscenza come forma di distinzione sociale (è vero, ero stato troppo sintetico e poteva sembrare ce l'avessi con qualcuno, mentre mi interessava evidenziare una tendenza), preferisco aggiugere qualche altra riga.
Le mie riflessioni sulla fregola da aggiornamento (per cui sembra che ci sia una porzione sottilissima del mondo che sa quel che sta veramente succedendo, mentre tutti noi, poveracci, viviamo ancora nel passato remoto) erano solo un tentativo di applicare la "critica sociale del gusto" di Pierre Bourdieu a un fenomeno recente come il capitale culturale da "informazioni aggiornate", che è diverso dal capitale culturale da informazioni di expertise che può vantare, poniamo, un medico o un architetto, ancorati a un sapere radicato nel tempo. Pensavo insomma fosse interessante lanciare uno spunto di riflessione sul fatto che il sapere cosiddetto umanistico (tra cui il sapere delle scienze sociali) stia subendo (in maniera esasperata) le forme di pressione all'aggiornamento tipiche del sapere tecno-scientifico della seconda metà del Novecento.
Certo, può dare fastidio avere l'impressione che qualcuno (cioè io) ci abbia fatto tana: eccolo, il solito professorino che pretende di spiegare come funziona il mondo ma poi del mondo non sa una fava. No, non era così. Il primo a essere oggettivato (almeno nelle mie maldestre intenzioni) sono io.
Essere eventualmente "vittima" di una tendenza generale non mi pare un problema: io ascolto la musica che ascolto e faccio i pensieri che faccio, in buona parte, perchè vengo da una determinata classe sociale (in termini di reddito e di istruzione, è il "capitale culturale ed economico ereditato", secondo Bourdieu) e perché mi colloco ora in una determinata fascia di reddito e di istruzione (il "capitale culturale ed economico acquisito"). Per quanto la cosa mi possa irritare, io sono il frutto (sociale) della mia collocazione (sociale). Senza che questo mi sminuisca o mi sottragga alle mie responsabilità. Solo che facendo un lavoro che mi impone di capire alcune dinamiche culturali e sociali, non posso far finta di essere un osservatore calato dallo spazio, e devo sempre tener conto delle mie "determinazioni".
Ma quel che vale per me, mi aspetto valga anche per gli altri: forse siamo in un'epoca di crescente insicurezza dato che molti di noi si trovano a fare o lavori completamente nuovi (per i quali non possono individuare alcuna tradizione di riferimento plausibile) o comunque radicalmente mutati quanto a temi, oggetti e strumenti. Questa impossibilità di adagiarsi sul passato ci spinge (guardate che mi ci metto anch'io, se avete visto il "promo" di un post su quanto era bello fare l'antropologo cento anni fa, quando le cose e le culture cambiavano mooooolto più lentamente) a cercare di dimostrare le nostre competenze non in forma cumulativa ma sempre più selettiva, per cui "io so" non si costruisce più come una torre (dove l'aggiornamento è l'ultimo anello di una superficie tendenzialmente stabile che condividiamo più o meno nello stesso numero di utenti) ma come una piramide (il sapere "vero" si restringe sempre più, le fasi precedenti sono più ampie ma anche rapidamente obsolete, e "io so" si costruisce in opposizione al "voi non sapete" dove nel "voi" di oggi ci sono anche molti "noi" di ieri, ormai tagliati fuori e che non posso più riconoscere come miei pari perché non sono più aggiornati come me).
Le mie riflessioni sulla fregola da aggiornamento (per cui sembra che ci sia una porzione sottilissima del mondo che sa quel che sta veramente succedendo, mentre tutti noi, poveracci, viviamo ancora nel passato remoto) erano solo un tentativo di applicare la "critica sociale del gusto" di Pierre Bourdieu a un fenomeno recente come il capitale culturale da "informazioni aggiornate", che è diverso dal capitale culturale da informazioni di expertise che può vantare, poniamo, un medico o un architetto, ancorati a un sapere radicato nel tempo. Pensavo insomma fosse interessante lanciare uno spunto di riflessione sul fatto che il sapere cosiddetto umanistico (tra cui il sapere delle scienze sociali) stia subendo (in maniera esasperata) le forme di pressione all'aggiornamento tipiche del sapere tecno-scientifico della seconda metà del Novecento.
Certo, può dare fastidio avere l'impressione che qualcuno (cioè io) ci abbia fatto tana: eccolo, il solito professorino che pretende di spiegare come funziona il mondo ma poi del mondo non sa una fava. No, non era così. Il primo a essere oggettivato (almeno nelle mie maldestre intenzioni) sono io.
Essere eventualmente "vittima" di una tendenza generale non mi pare un problema: io ascolto la musica che ascolto e faccio i pensieri che faccio, in buona parte, perchè vengo da una determinata classe sociale (in termini di reddito e di istruzione, è il "capitale culturale ed economico ereditato", secondo Bourdieu) e perché mi colloco ora in una determinata fascia di reddito e di istruzione (il "capitale culturale ed economico acquisito"). Per quanto la cosa mi possa irritare, io sono il frutto (sociale) della mia collocazione (sociale). Senza che questo mi sminuisca o mi sottragga alle mie responsabilità. Solo che facendo un lavoro che mi impone di capire alcune dinamiche culturali e sociali, non posso far finta di essere un osservatore calato dallo spazio, e devo sempre tener conto delle mie "determinazioni".
Ma quel che vale per me, mi aspetto valga anche per gli altri: forse siamo in un'epoca di crescente insicurezza dato che molti di noi si trovano a fare o lavori completamente nuovi (per i quali non possono individuare alcuna tradizione di riferimento plausibile) o comunque radicalmente mutati quanto a temi, oggetti e strumenti. Questa impossibilità di adagiarsi sul passato ci spinge (guardate che mi ci metto anch'io, se avete visto il "promo" di un post su quanto era bello fare l'antropologo cento anni fa, quando le cose e le culture cambiavano mooooolto più lentamente) a cercare di dimostrare le nostre competenze non in forma cumulativa ma sempre più selettiva, per cui "io so" non si costruisce più come una torre (dove l'aggiornamento è l'ultimo anello di una superficie tendenzialmente stabile che condividiamo più o meno nello stesso numero di utenti) ma come una piramide (il sapere "vero" si restringe sempre più, le fasi precedenti sono più ampie ma anche rapidamente obsolete, e "io so" si costruisce in opposizione al "voi non sapete" dove nel "voi" di oggi ci sono anche molti "noi" di ieri, ormai tagliati fuori e che non posso più riconoscere come miei pari perché non sono più aggiornati come me).
sabato 23 giugno 2007
Il mago di Oz (lettura a Rebecca)
IlMagoDiOZcap1.mp3 |
L’abbiamo trovato tra i libri d’infanzia di Valeria, e Rebecca – cui ne avevo letto una microversione (dieci paginette illustrate con una didascalia ai piedi del disegno da colorare che occupava ogni pagina) quando aveva circa due anni, ma che era rimasta affezionata alla figura di Dorothy – ha insistito per leggere questa riduzione del Mago di Oz. Dato che ho 38 anni più di mia figlia (e quindi provengo in sostanza da un altro pianeta dal punto di vista dell’orizzonte narrativo) non avevo mai letto questo stracitato racconto per l’infanzia ed ero curioso di mio (mai visto neppure il film). Che dire? Come padre-narratore sono rimasto perplesso: il racconto ha una dimensione allegorica tanto manifesta quanto incomprensibile. Ogni gesto, ogni parola, ogni personaggio rimanda inevitabilmente a qualche altra dimensione interpretativa (e di per sé non mi parrebbe particolarmente interessante) ma un lettore “normale” non ha alcuna speranza di rintracciare autonomamente il senso di questo affresco allegorico. Infatti, pare che sia una grande metafora della politica monetaria degli Stati Uniti a fine Ottocento (!).
Eppure Rebecca ha seguito la storia con attenzione e appassionandosi alle sorti dei personaggi. Misteri della narrazione e delle motivazioni che ci spingono ad ascoltare e narrare le storie.
Da oggi inizio a caricare la registrazione della mia lettura a Rebecca. Magari qualche genitore può provare a farla sentire al/la proprio/a figlio/a la sera. Io ho già utilizzato un servizio di podcast di favole e mi ha fatto molto comodo. Avete presente quando siete in macchina e non avete più idea di come far passare il tempo a vostra figlia che si sta decisamente rompendo visto che il viaggio è ancora lungo e lei ha esaurito l’album della Pimpa, i pupazzetti dell’ovetto Kinder e i due cd di vecchi successi dello Zecchino d’Oro? Ecco, quello è il momento di circuirla di soppiatto: “Amore, ti passo il mio lettore mp3 così ti ascolti un po’ di favole?”. Di solito funziona, credetemi.
PS Se volete, potete trovare l'intera cartella con tutti i capitoli qui.(Se non avete un account esnips dovrete crearne uno per scaricare i file, sennò siete limitati allo streaming).
giovedì 21 giugno 2007
Marmeada de sarieze
MarmeadaDeSarieze.... |
Questa è la ricetta originale della marmellata di ciliegie raccolta dalla viva voce della zia Teri (classe di ferro 1929), un vero mito culinario per tutta la famiglia Vereni. Zia vive in Francia da cinquant’anni ma non ha mai perso il contatto con l’Italia e con il dialetto, come sentirete. Avevo raccolto un bel po’ di ciliegie strabuonissime a casa di Bjorn e Francesca, a Zagarolo, con l’esplicito intento di fare la marmellata. Zia mi ha dato la ricetta e vi assicuro che funziona. La mia cottura non ha rispettato i tempi che mi aveva indicato, e quindi la mia marmellata è un po’ “tostarella”. Se avessi seguito più scrupolosamente i tempi di zia sarebbe venuta perfetta. Non servono conservanti, né coperchi sottovuoto né bolliture extra dei vasetti, ma vi assicuro che la marmellata si conserva nella dispensa perfettamente. Tra poco dovrei cimentarmi con quella di fichi (sempre dal giardino delle meraviglie di Zagarolo).
mercoledì 20 giugno 2007
Futurologia
Forse vale la pena di cominciare a raccogliere un po' di materiale da verificare tra qualche tempo. Tanto, a questi ritmi, il momento in cui potremo controllare l'attendibilità delle previsioni si avvicina sempre più rapidamente.
Poi, per uno che fa dell'analisi qualitativa una bandiera, un po' di "duri dati" fanno sempre bene al cuore.
Poi, per uno che fa dell'analisi qualitativa una bandiera, un po' di "duri dati" fanno sempre bene al cuore.
Un mio intervento
Non sapevo neppure l'avessero messo online, quei bravi ragazzacci di antropologie.it
Si tratta di alcune riflessioni sul patrimonio culturale a partire dalla lettura di L'Unesco e il campanile. Antropologia, politica e beni culturali in Sicilia orientale, di Berardino Palumbo, un libro impegnativo ma importante per come riflette sull'uso (politico) dei beni culturali.
Si tratta di alcune riflessioni sul patrimonio culturale a partire dalla lettura di L'Unesco e il campanile. Antropologia, politica e beni culturali in Sicilia orientale, di Berardino Palumbo, un libro impegnativo ma importante per come riflette sull'uso (politico) dei beni culturali.
martedì 19 giugno 2007
Forse è vecchio...
L'iPhone esce il 29 giugno (in America, da noi dovrebbe arrivare per Natale)e circola una simpatica parodia su YouTube. Cristiana Mastropietro ci informa carinamente di questo filmato, ma si preoccupa di specificare che "forse è vecchio".
Un altro tassello nella mia collezione di nevrosi da cresta dell'onda. Per paura di "fare la grezza" (Anvedi, ma nun ce lo sai che sta parodia circola da 'na vita?! Ma 'ndo vivi?), per timore di non essere perfettamente up to date, ci si premunisce anche per parlare della parodia di un oggetto non ancora in commercio. Ancora la conoscenza come forma di distinzione sociale (e di insicurezza sociale, casomai la nostra conoscenza non fosse proprio aggiornatissima come quella dei fichissimi technoratizzati).
Ragazzi, contro questa tendenza, un'unica parola: resistenza. Raccontiamoci le cose perché sono utili, belle o divertenti, non perché "non sono vecchie". Tanto più qui, dove dovrebbe essere il tempo a farsi da parte e lasciarci respirare un poco. Come ho già scritto, questo è il posto per la Lunga Coda Diacronica. Take a long breath.
Un altro tassello nella mia collezione di nevrosi da cresta dell'onda. Per paura di "fare la grezza" (Anvedi, ma nun ce lo sai che sta parodia circola da 'na vita?! Ma 'ndo vivi?), per timore di non essere perfettamente up to date, ci si premunisce anche per parlare della parodia di un oggetto non ancora in commercio. Ancora la conoscenza come forma di distinzione sociale (e di insicurezza sociale, casomai la nostra conoscenza non fosse proprio aggiornatissima come quella dei fichissimi technoratizzati).
Ragazzi, contro questa tendenza, un'unica parola: resistenza. Raccontiamoci le cose perché sono utili, belle o divertenti, non perché "non sono vecchie". Tanto più qui, dove dovrebbe essere il tempo a farsi da parte e lasciarci respirare un poco. Come ho già scritto, questo è il posto per la Lunga Coda Diacronica. Take a long breath.
mercoledì 13 giugno 2007
Scattisi qui!
Qui sopra potete cliccare sulla prima pagina della ricerca Google per "scattisi". Sarà capitato anche a voi di vedere una finestra il cui il "cliccate qui" da qualche tempo è diventato "scattisi qui". Possibile che a nessuno sia venuto in mente di dire ai traduttori automatici che "scattisi" è anche simpatico come imperativo, ma non è un verbo italiano?
PS Per vedere l'immagine nella sua grandezza originaria, "scattisi" sulla stessa, mi raccomando...
martedì 12 giugno 2007
Si accettano scommesse
Gustavo Selva, il mitico fustigatore del malcostume nazionale e del complotto comunista (ricordate Radio Belva?) NON si dimetterà manco se gli viene un coccolone che lo devono portare via in ambulanza. Il Senato, tetragonicamente democratico, respingerà le sue finte dimissioni, manfrina italiota di cui ci si dovrebbe vergognare almeno quanto dell'uso improprio di ambulanze.
E tutta questa storiella ci darà un'ulteriore conferma del fatto che la vera realtà virtuale ormai sta in Parlamento.
E tutta questa storiella ci darà un'ulteriore conferma del fatto che la vera realtà virtuale ormai sta in Parlamento.
lunedì 11 giugno 2007
Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei
Paolo Morawski mi ha scritto (a me e ad altri) per sapere cosa ne pensavo della recente iniziativa del Ministero polacco (dell'Istruzione immagino, ma non leggo il polacco e Paolo non ha specificato) di indicare una lista (LA LISTA, dico io) dei libri che si dovrebbero leggere nelle scuole polacche. Insomma, un vero e proprio indice dei libri.
Al volo, sabato mattina, gli ho risposto così (anche se la cosa andrebbe ripresa con altri ritmi di analisi).
Caro Paolo,
spero di avere tempo di rivedere la lista che hai postato qui sotto con un po' più di cura (diciamo, con un po' di cura tout court, dato che l'ho appena scorsa) ma mi pare che il problema sia, appunto, LA lista. Sostanzialmente, quello che oggi è (facilmente) contestabile è l'idea di un CANONE decontestualizzato e decontestualizzabile, adatto ad ogni situzione e coincidente con un modello sostanzialmente normativo di identità. Ogni canone, però, si forma solo a patto di nascondere l'enorme divisione e differenziazione interna che l'ha prodotto, e ha anzi il COMPITO POLITICO di anestetizzare quella differenza. Pensa al canone italiano: la triade Dante Petrarca Boccaccio ANNULLA la quaestio moralis della scrittura (infatti Boccaccio alla fine della virta il Decamerone voleva bruciarlo) e Leopardi Foscolo Manzoni ANNULLA la questione stessa dell'italianità (tre uomini con tre ideali politici estetici e filosofici divergenti) in una macchietta unificante. Ecco, mi pare che il canone proposto dal ministro polaccosia legato a un contetto di cittadinanza che, prendendo spunto dal dibattito in corso nella Rete da qualche anno, potrei chiamare Cittadinanza 1.0. Quel che ci interessa è invece una Cittadinanza 2.0, partecipativa e soprattutto in cui ogni soggetto abbia la possibilità di essere presente e contribuire in quanto tale. Se il canone polacco somiglia al sito di una major della musica (c'è un catalogo, da quello tutti dobbiamo scegliere per forza) , quel che mi piacerebbe per l'identità collettiva è qualcosa di più simile a last.fm, dove io posso andare a sentire quel che ascoltano gli altri (ognuno degli altri, ognuno con la sua individualità) ma anche posso far sentire la mia musica, quella che piace a me. E guarda che su last.fm si possono fare un bel po' di incontri strani e, ancora più strano se visto dal punto delle identità normative, si può creare un senso di comunità forte, perché vissuto come libera scelta e non coercizione. Scusa la sintesi ma ho le spese da fare...
Piero
Al volo, sabato mattina, gli ho risposto così (anche se la cosa andrebbe ripresa con altri ritmi di analisi).
Caro Paolo,
spero di avere tempo di rivedere la lista che hai postato qui sotto con un po' più di cura (diciamo, con un po' di cura tout court, dato che l'ho appena scorsa) ma mi pare che il problema sia, appunto, LA lista. Sostanzialmente, quello che oggi è (facilmente) contestabile è l'idea di un CANONE decontestualizzato e decontestualizzabile, adatto ad ogni situzione e coincidente con un modello sostanzialmente normativo di identità. Ogni canone, però, si forma solo a patto di nascondere l'enorme divisione e differenziazione interna che l'ha prodotto, e ha anzi il COMPITO POLITICO di anestetizzare quella differenza. Pensa al canone italiano: la triade Dante Petrarca Boccaccio ANNULLA la quaestio moralis della scrittura (infatti Boccaccio alla fine della virta il Decamerone voleva bruciarlo) e Leopardi Foscolo Manzoni ANNULLA la questione stessa dell'italianità (tre uomini con tre ideali politici estetici e filosofici divergenti) in una macchietta unificante. Ecco, mi pare che il canone proposto dal ministro polaccosia legato a un contetto di cittadinanza che, prendendo spunto dal dibattito in corso nella Rete da qualche anno, potrei chiamare Cittadinanza 1.0. Quel che ci interessa è invece una Cittadinanza 2.0, partecipativa e soprattutto in cui ogni soggetto abbia la possibilità di essere presente e contribuire in quanto tale. Se il canone polacco somiglia al sito di una major della musica (c'è un catalogo, da quello tutti dobbiamo scegliere per forza) , quel che mi piacerebbe per l'identità collettiva è qualcosa di più simile a last.fm, dove io posso andare a sentire quel che ascoltano gli altri (ognuno degli altri, ognuno con la sua individualità) ma anche posso far sentire la mia musica, quella che piace a me. E guarda che su last.fm si possono fare un bel po' di incontri strani e, ancora più strano se visto dal punto delle identità normative, si può creare un senso di comunità forte, perché vissuto come libera scelta e non coercizione. Scusa la sintesi ma ho le spese da fare...
Piero
venerdì 8 giugno 2007
Promo blog
Ho almeno due post sostanziosi che bollono in pentola ma sto tirando la volata a un indice analitico impegnativo che mi tiene sotto pressione (oltre an editing impegnativo e un'altra cosa in corso da chiudere quanto prima; e con questo non accenno neppure al mio lavoro di ricercatore all'università).
Dei due post (che spero di scrivere in qualche mezz'ora libera da qui a martedì prossimo) per ora h solo i promo:
1. La differenza tra occuparsi di scienze sociali nel medioevo (o in altre fasi di stanca sociale) e oggi.
2. Un pezzo "sintetico" tra il concetto di "ripicca" (una delle quattro possibili interazioni di scambio tra umani, assieme a competizione, collaborazione e reciprocità) e il "caso Sofri".
Intanto finisco con una annotazione sul lavoro in corso. Facendo l'indice analitico mi sto rendendo conto che:
a) sostanzialmente si tratta di un'operazione demiurgica. Mi danno un sacco di roba informe (un testo questo è, tutto sommato) e cerco di dargli una forma (vado a capo spesso, metto numeretti, rientro col tabulatore per le sottovoci: somiglio a un poeta sfigato)
b) sostanzialmente si tratta di lavorare come quando provo a taggare i siti con del.icio.us: mi scappa sempre qualcosa di fuori, non mi tornano mai conti alla perfezione, ma resta comunque un esercizio appassionante (non ditelo troppo in giro che sennò mi riducono il compenso).
c) Per a) e b) il Demiurgo, in soldoni, è comprensibile oggi come uno con un account piuttosto complesso su del.icio.us. Questo ci costringerà a rivedere alcuni manuali di teologia.
Dei due post (che spero di scrivere in qualche mezz'ora libera da qui a martedì prossimo) per ora h solo i promo:
1. La differenza tra occuparsi di scienze sociali nel medioevo (o in altre fasi di stanca sociale) e oggi.
2. Un pezzo "sintetico" tra il concetto di "ripicca" (una delle quattro possibili interazioni di scambio tra umani, assieme a competizione, collaborazione e reciprocità) e il "caso Sofri".
Intanto finisco con una annotazione sul lavoro in corso. Facendo l'indice analitico mi sto rendendo conto che:
a) sostanzialmente si tratta di un'operazione demiurgica. Mi danno un sacco di roba informe (un testo questo è, tutto sommato) e cerco di dargli una forma (vado a capo spesso, metto numeretti, rientro col tabulatore per le sottovoci: somiglio a un poeta sfigato)
b) sostanzialmente si tratta di lavorare come quando provo a taggare i siti con del.icio.us: mi scappa sempre qualcosa di fuori, non mi tornano mai conti alla perfezione, ma resta comunque un esercizio appassionante (non ditelo troppo in giro che sennò mi riducono il compenso).
c) Per a) e b) il Demiurgo, in soldoni, è comprensibile oggi come uno con un account piuttosto complesso su del.icio.us. Questo ci costringerà a rivedere alcuni manuali di teologia.
martedì 5 giugno 2007
Leopardi e Berlusconi (e la questione nazionale)
Bene, è andata così. Io ho messo 50 euro e Berlusconi quelli che mancavano per arrivare a 100.000. Mi sembra di essere Troisi in Ricomincio da tre, quando parla al fratello ricco per il regalo del compleanno di mammà: “Io e nostra sorella mettiamo 50mila, tu metti 450mila…”
Sono contento, veramente. Antonio Moresco, che aveva creduto all’importanza di impegnarsi per questa battaglia, si chiede (tra il sorpreso e l’amareggiato) come mai abbia trovato risposta solo nella destra (prima Libero, che ha scritto della cosa, e poi Berlusconi che ha risolto la faccenda), e anzi ci racconta che un “famoso giornale di sinistra” (ma perché questa omertà? Ce n’è bisogno? O era Repubblica oppure, meno probabile, il manifesto, ce lo fa sapere, per cortesia?) a cui si era rivolto gli aveva fatto capire che la cosa non gli interessava proprio.
Quando avevo postato la prima volta su questa storia mi ero reso conto che non sapevo come scriverne. Parlando bene di Leopardi tradotto in inglese mi rendevo conto che avevo paura di cadere nel “retorico”, nel “nazionalismo” d’accatto.
E infatti mi sono censurato riscrivendo un paio di frasi in tono meno enfatico, dove non si capiva “quanto” mi attraesse anche emotivamente quest’idea di far leggere agli anglofoni la ricchezza di un uomo che ha scritto nella stessa lingua in cui scrivo io.
Diciamolo, e proviamo ad aprire veramente la “questione nazionale”. Proprio Leopardi (che l’aveva colta con lungimiranza) può essere il giusto spunto per dirlo: l’indifferenza “della sinistra” per questo caso specifico credo dipenda dall’incapacità storica della “sinistra italiana” di fare i conti con forme di appartenenza collettiva trasversali rispetto alla rigida appartenenza di classe. Lo dico a fiuto, ma lo dico anche con la “competenza” di uno che studia le appartenenze collettive, in particolare quelle nazionali ed etniche, da dodici anni. Mentre quella stessa questione è vissuta dalla “destra storica” come un proprio patrimonio.
Insomma, vale ancora il vecchio riflesso condizionato (determinato dagli sfaceli causati dalla retorica fascista in questo campo) per cui ogni cosa che vagamente puzzi di orgoglio nazionale, di amor di patria o di rispetto per la ricchezza culturale di una comunità nazionale viene sdegnosamente schifato da una parte e sensualmente corteggiato dall’altra.
Io la butto lì, ma sarà il caso che ci inventiamo un “patriottismo di sinistra”? Per uno che ormai dalla sinistra è sempre più lontano, forse sarebbe un modo per ricucire fili di discorso ormai sempre più tenui.
Sono contento, veramente. Antonio Moresco, che aveva creduto all’importanza di impegnarsi per questa battaglia, si chiede (tra il sorpreso e l’amareggiato) come mai abbia trovato risposta solo nella destra (prima Libero, che ha scritto della cosa, e poi Berlusconi che ha risolto la faccenda), e anzi ci racconta che un “famoso giornale di sinistra” (ma perché questa omertà? Ce n’è bisogno? O era Repubblica oppure, meno probabile, il manifesto, ce lo fa sapere, per cortesia?) a cui si era rivolto gli aveva fatto capire che la cosa non gli interessava proprio.
Quando avevo postato la prima volta su questa storia mi ero reso conto che non sapevo come scriverne. Parlando bene di Leopardi tradotto in inglese mi rendevo conto che avevo paura di cadere nel “retorico”, nel “nazionalismo” d’accatto.
E infatti mi sono censurato riscrivendo un paio di frasi in tono meno enfatico, dove non si capiva “quanto” mi attraesse anche emotivamente quest’idea di far leggere agli anglofoni la ricchezza di un uomo che ha scritto nella stessa lingua in cui scrivo io.
Diciamolo, e proviamo ad aprire veramente la “questione nazionale”. Proprio Leopardi (che l’aveva colta con lungimiranza) può essere il giusto spunto per dirlo: l’indifferenza “della sinistra” per questo caso specifico credo dipenda dall’incapacità storica della “sinistra italiana” di fare i conti con forme di appartenenza collettiva trasversali rispetto alla rigida appartenenza di classe. Lo dico a fiuto, ma lo dico anche con la “competenza” di uno che studia le appartenenze collettive, in particolare quelle nazionali ed etniche, da dodici anni. Mentre quella stessa questione è vissuta dalla “destra storica” come un proprio patrimonio.
Insomma, vale ancora il vecchio riflesso condizionato (determinato dagli sfaceli causati dalla retorica fascista in questo campo) per cui ogni cosa che vagamente puzzi di orgoglio nazionale, di amor di patria o di rispetto per la ricchezza culturale di una comunità nazionale viene sdegnosamente schifato da una parte e sensualmente corteggiato dall’altra.
Io la butto lì, ma sarà il caso che ci inventiamo un “patriottismo di sinistra”? Per uno che ormai dalla sinistra è sempre più lontano, forse sarebbe un modo per ricucire fili di discorso ormai sempre più tenui.
Dilemmi impegnativi
Per i miei studenti che si sono divertiti a giocare al Dilemma del Prigioniero, qui c’è una versione del gioco detta il Dilemma dei Viaggiatori. Non è per nulla semplice seguire il filo logico di una logica che ci dimostra che ci sono casi in cui è logico e razionale non comportarsi in maniera logica e razionale, ma queste applicazioni della teoria dei giochi mi sembrano particolarmente istruttive e quindi vale la pena di sbattersi un poco, soprattutto se ne usciamo un po’ meno convinti della tetragonicità dell’homo oeconomicus.
O Dio o Mammona
Questa volta Giuliano Ferrara dovrà decidersi da che parte stare, se con Magdi Allam (che tanto apprezza) o con gli antievoluzionisti (che altrettanto apprezza). Il problema è che il primo è strenuamente preoccupato della deriva autoritaria, irrazionale e antilluminista di una porzione rilevante del mondo islamico, mentre i secondi con gli irrazionalisti antiillumisti musulmani ci vanno d’amore e d’accordo, come ci ricorda proprio Magdi Allam in un articolo di ieri sul Corriere della Sera .
I libri deliranti di Harun Yahya (nota autobiografica: me l’hanno regalati mentre ero a Istanbul l’ultimo capodanno, li ho lasciati in albergo senza rimpianti) attribuiscono al povero Charles i mali dell’umanità intera, più o meno come fa il Foglio da qualche mese brandendo la tesi del disegno intelligente (come se fosse un modo di negare valore all’evoluzionismo).
Peccato che questa battaglia antidarwinista sia propugnata da un autore che al contempo crede che “L’ideologia del materialismo, la teoria dell’evoluzione, gli stili di vita ostili alla religione e alla morale, sono stati inculcati dagli ebrei e dai massoni” e che ha sostenuto che “ciò che viene presentato come Olocausto è la morte di alcuni ebrei a causa dell’epidemia di tifo nel corso della guerra e della fame nella fase finale della sconfitta dei tedeschi” (citato da Allam nel suo articolo).
Non c’è via di scampo: non si può essere antiilluminista in casa propria (contro il razionalismo, che può benissimo essere laico senza sentirsi in colpa e, aggiungo, non deve temere di essere anche un filino anticlericale, quando proprio serve a tenere a bada certe intemperanze dei Pastori) e fare invece il Lume della Ragione in giro a casa d’altri. Se si tende a spegnere il cervello qui in nome dei “valori” e della “tradizione”, non possiamo pretendere che “gli Altri” tengano acceso il loro solo per smettere di darci fastidio.
I libri deliranti di Harun Yahya (nota autobiografica: me l’hanno regalati mentre ero a Istanbul l’ultimo capodanno, li ho lasciati in albergo senza rimpianti) attribuiscono al povero Charles i mali dell’umanità intera, più o meno come fa il Foglio da qualche mese brandendo la tesi del disegno intelligente (come se fosse un modo di negare valore all’evoluzionismo).
Peccato che questa battaglia antidarwinista sia propugnata da un autore che al contempo crede che “L’ideologia del materialismo, la teoria dell’evoluzione, gli stili di vita ostili alla religione e alla morale, sono stati inculcati dagli ebrei e dai massoni” e che ha sostenuto che “ciò che viene presentato come Olocausto è la morte di alcuni ebrei a causa dell’epidemia di tifo nel corso della guerra e della fame nella fase finale della sconfitta dei tedeschi” (citato da Allam nel suo articolo).
Non c’è via di scampo: non si può essere antiilluminista in casa propria (contro il razionalismo, che può benissimo essere laico senza sentirsi in colpa e, aggiungo, non deve temere di essere anche un filino anticlericale, quando proprio serve a tenere a bada certe intemperanze dei Pastori) e fare invece il Lume della Ragione in giro a casa d’altri. Se si tende a spegnere il cervello qui in nome dei “valori” e della “tradizione”, non possiamo pretendere che “gli Altri” tengano acceso il loro solo per smettere di darci fastidio.
domenica 3 giugno 2007
Outsourcing Your Life
Immaginate di aver bisogno di lezioni di inglese, o di un progetto di arredamento per la vostra nuova casa. Perché mai dovreste pagare un professore o un architetto "qui" (ovunque siate), se potete avere lo stesso servizio di qualità acquistandolo "lì" (quasi sempre in India, per ora) a un prezzo decisamente più contenuto? Non so se sia un bene o un male (tendenzialmente credo sia un bene, ma datemi il tempo di pensarci ancora un poco) ma quel che è certo è che questo tipo di articolazione dei servizi modificherà radicalmente il sistema della domanda e dell'offerta. Mentre ora una quota del valore del prodotto è incorporata nella sua accessibilità (per cui pago il prof o l'arch "qui" un tot anche perché li trovo "qui"), sta cominciando seriamente l'epoca in cui l'accessibilità è una variabile ridotta a zero. A naso, la cosa dovrebbe andare a vantaggio del rapporto qualità/prezzo
Sending work offshore has transformed the U.S. economy. Now, some families are tapping the same approach for personal tasks, getting them done for a fraction of what they'd cost at home. Here's how to take your to-do list global.
read more | digg story
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Il primo amore per lo ZIbaldone di Leopardi
Ecco l'intestazione completa del conto corrente dove donare per il progetto di traduzione in inglese dello Zibaldone di Giacomo Leopardi. Io il mio dovere l'ho fatto con piacere, ora donate anche voi per quest'impresa meritoria, o almeno fate un link dal vostro sito/blog. Grazie!
Il primo amore
Il primo amore
venerdì 1 giugno 2007
Ansia da prest-azione
Credo che sarebbe il caso di rifletterci in modo più sistematico. Abbiamo un sacco di spunti autobiografici, ma ci manca ancora la capacità di raccontare questo stato d'animo che è uno stato di fatto e uno stato del fare.
Wittgenstein
Wittgenstein