Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
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sabato 21 luglio 2007
Nostalgia (poesia di Billy Collins)
Questa avrebbe bisogno di qualche nota di contestualizzazione per noi ignoranti che non sappiamo bene cosa successe nel 1572, ma lo spirito si coglie lo stesso. La mia traduzione è dedicata a Rebecca, che a cinque anni già conosce questo sentimento (e io cerco spudoratamente di sradicarglielo dal cuore) e a Pietro, che a 63 ancora la insegna con grande maestria, glielo riconosco.
Come al solito, prima l'originale e poi la mia versione.
Nostalgia
Remember the 1340's? We were doing a dance called the Catapult.
You always wore brown, the color craze of the decade,
and I was draped in one of those capes that were popular,
the ones with unicorns and pomegranates in needlework.
Everyone would pause for beer and onions in the afternoon,
and at night we would play a game called "Find the Cow."
Everything was hand-lettered then, not like today.
Where has the summer of 1572 gone? Brocade sonnet
marathons were the rage. We used to dress up in the flags
of rival baronies and conquer one another in cold rooms of
stone.
Out on the dance floor we were all doing the Struggle
while your sister practiced the Daphne all alone in her room.
We borrowed the jargon of farriers for our slang.
These days language seems transparent a badly broken code.
The 1790's will never come again. Childhood was big.
People would take walks to the very tops of hills
and write down what they saw in their journals without speaking.
Our collars were high and our hats were extremely soft.
We would surprise each other with alphabets made of twigs.
It was a wonderful time to be alive, or even dead.
I am very fond of the period between 1815 and 1821.
Europe trembled while we sat still for our portraits.
And I would love to return to 1901 if only for a moment,
time enough to wind up a music box and do a few dance steps,
or shoot me back to 1922 or 1941, or at least let me
recapture the serenity of last month when we picked
berries and glided through afternoons in a canoe.
Even this morning would be an improvement over the present.
I was in the garden then, surrounded by the hum of bees
and the Latin names of flowers, watching the early light
flash off the slanted windows of the greenhouse
and silver the limbs on the rows of dark hemlocks.
As usual, I was thinking about the moments of the past,
letting my memory rush over them like water
rushing over the stones on the bottom of a stream.
I was even thinking a little about the future, that place
where people are doing a dance we cannot imagine,
a dance whose name we can only guess.
- Billy Collins
Nostalgia
Ti ricordi gli anni Quaranta del Milletrecento? Facevamo una danza chiamata la Catapulta.
Tu vestivi sempre di marrone, la mania di quel decennio,
e io mi coprivo con uno di quei mantelli alla moda,
quelli con gli unicorni e le melagrane ricamate.
Tutti facevano merenda con birra e cipolle, nel pomeriggio
e alla sera facevamo un gioco chiamata “Trova la Mucca”.
Tutto era manoscritto allora, mica come oggi.
Dov’è finita l’estate del 1572? Impazzivamo, allora, per le maratone
di sonetti in broccato. Ci vestivamo con le insegne
di baronie rivali, e ci conquistavamo l’un l’altro in fredde stanze di pietra.
Giù sulla pista, tutti ballavamo la Lotta
mentre tua sorella si esercitava con la Dafne da sola, nella sua stanza.
Prendevamo a prestito il gergo dei maniscalchi per le nostre parlate.
Oggi il linguaggio sembra trasparente, un codice svelato fino in fondo.
Gli anni Novanta del Settecento non torneranno più. L’infanzia era favolosa.
La gente faceva passeggiate in cima alle colline
e scriveva sul diario quel che vedeva, senza parlare.
Avevamo alti collari e i nostri cappelli erano morbidissimi.
Ci sorprendevamo l’un l’altro con alfabeti fatti di ramoscelli.
Era un tempo meraviglioso per essere vivi, o anche morti.
Vado pazzo per il periodo tra il 1815 e il 1821.
L’Europa tremava mentre noi sedevamo immobili a farci ritrarre.
E adorerei tornare al 1901, anche solo per un attimo,
giusto il tempo di caricare un fonografo e fare qualche passo di danza,
o rispeditemi nel 1922 o nel 1941, o perlomeno lasciatemi
riconquistare la serenità del mese scorso quando coglievamo
bacche e scorrevamo in canoa attraverso i pomeriggi.
Perfino stamattina sarebbe un miglioramento rispetto al presente.
Ero in giardino, allora, attorniato dal ronzio delle api
e dai nomi latini dei fiori, e guardavo la prima luce
che risplendeva sulle finestre inclinate della serra
e copriva d’argento i rami dei filari di scuri abeti.
Come sempre, stavo pensando ai momenti del passato,
lasciando che il ricordo ci scorresse sopra come acqua
che scorre sopra le pietre sul fondo di un torrente.
Addirittura, stavo un poco pensando al futuro, quel posto
dove si balla una danza che non riusciamo a immaginare,
una danza il cui nome possiamo solo ipotizzare.
Traduzione di Piero Vereni