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sabato 24 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 06 del 16 ottobre 2020: di chi è l’intepretazione? Thin vs thick

 


[Tutta la tiritera che segue è orientata a introdurre la lettura di “Verso una teoria interpretativa della cultura” di Clifford Geertz]

La teoria REFERENZIALE del significato è inadatta a spiegare la sostanza più specificamente specifica del linguaggio umano.

La teoria DELL’USO invece sembra funzionare molto meglio. Il “secondo” Wittgenstein è uno dei pensatori che più ci ha aiutato a capire che il significato di un segno è nel suo uso, cioè nei modi “sensati” (appunto) in cui possiamo usare quel segno, sia esso una parola, o un anello di matrimonio.

Abbiamo fatto l’esempio delle “cotolette di cane” che solitamente qualcuno NON capisce non perché nel nostro contesto culturale è “insensato” dire di aver mangiato cotolette di cane.

Nella Teoria Referenziale = il Significato somiglia alla voce di DIZIONARIO;

Nella Teoria dell’uso = il Significato somiglia alla voce di ENCICLOPEDIA.

La RETE di SEGNI è più di una metafora

Se ogni segno è composto di un significante e di un significato, e ogni significato è di fatto una “connessionecon altri segni, ecco che dal segno Cane devo agganciarmi (in Italia) alla Amicizia, alla Fedeltà, alla Compagnia, che sono tutti Segni, ognuno dotato di un Significante e di un Significato, e ogni segno a sua volta è agganciato ad altri segni nella teoria dell’uso.

In Italia e in Corea le rispettive reti che definiscono il segno “cane” sono molto poco sovrapposte, dato che in Corea il segno ‘cane’ può essere associato ai segni del Cucinare e quindi la rete che rende possibile l’uso sensato del segno ‘cane’ in Corea rende “sensata” anche l’espressione “ieri ho mangiato cotolette di cane”.

Insomma, la RETE DEI SEGNI È LA CULTURA, CULTURA È LA RETE DEI SEGNI e per quanto qualcuno potrebbe (anche a buona ragione) contestare che la rete dei segni NON CONCLUDE tutta la cultura, di certo ogni specifica società è dotata di una rete condivisa di segni tra i suoi membri che ne costituisce l’ossatura simbolica, e senza la quale non solo non esisterebbe comunicazione all’interno di quella società ma anche per ogni individuo non ci sarebbe modo di sentirsi tale, perché gli eventuali significati idiosincratici che fosse mai riuscito a elaborare nella solitudine del suo cervello non avrebbero mai modo di uscire fuori.

È questa consapevolezza che porta Clifford Geertz a elaborare la sua concezione semiotica della cultura con l’immagine dell’animale impigliato nelle reti di senso che egli stesso ha intessuto, secondo la metafora di Max Weber.

Quindi, mentre le scienze sperimentali cercano CAUSE tramite la SPIEGAZIONE, le scienze umane cercano SIGNIFICATO tramite l’INTERPRETAZIONE.

La PAREIDOLIA è il modo più evidente di questa disposizione del nostro cervello animale trovare significati anche dove non ce ne sono di intenzionali. Diciamo che l’antropologia insegue questa disposizione degli umani non solo nella percezione visiva, ma nel quadro generale dell’IMMAGINAZIONE: immaginiamo (oggetti, valori e relazioni) sulla base di MODELLI che abbiamo già acquisito per altri campi.

L’esempio dell’AMICIZIA che per noi non è formalizzata ma per altre culture lo è: studiare l’altrove ci consente non solo di riflettere sulle regole culturali altre (to’, guarda che strani, quelli fanno un rituale per stabilire formalmente che quello è un amico speciale e cominciano a chiamarlo “fratello”) ma anche di riflettere sulle nostre regole culturali (siamo sicuri che l’amicizia sia solo una relazione spontanea lasciata alla nostra libera scelta? Guardate quanti diventano amici perché hanno figli nella stessa scuola, e poi ripensateci).

Quindi l’antropologia insegue il significato culturale, vale a dire il senso che “le cose” hanno nel contesto in cui sono vissute e praticate. Cerchiamo insomma di raggiungere quella che Gilbert Ryle ha definito una THICK DESCRIPTION, una DESCRIZIONE DENSA, cioè una descrizione di una situazione cercando di offrire il senso che vive l’attore sociale dell’azione che stiamo analizzando. Se invece ci limitiamo a utilizzare la nostra rete di significato (e non quella dell’attore sociale) otteniamo al massimo una THIN DESCRIPTION, cioè una descrizione che si sforza di essere “neutra” o “oggettiva” ma che in realtà non riesce a cogliere il senso dell’azione per chi la sta compiendo e impone su quell’azione le categorie dell’analista.

(46:00) Abbiamo ripreso l’esempio dell’occhiolino contrapposto al tic nervoso, che Geertz cita da Ryle, e ci abbiamo ricamato un po’ sopra.

Con un po’ di problemi di connessione, abbiamo cercato di riflettere sul fatto che la thick description NON è una descrizione “più accurata”, visto che può consistere di una sola parola (“battesimo”) per chi la sa interpretare, e che la thin description NON è una descrizione superficiale nel senso che sia “frettolosa”. Se non sapessi cos’è un battesimo in una chiesa cattolica potrei andare avanti giorni raccontando tutti i dettagli di questo strano posto con delle decorazioni alle pareti dove un uomo con un camicione butta dell’acqua sulla fronte di un bimbo piccolo, ma la cura maniacale del dettaglio della mia descrizione NON la renderebbe meno thin, dato che la sua superficialità non sarebbe data dalla mancanza di precisione “oggettiva”, ma dalla incapacità di “coglierne” il senso dal punto di vista dell’attore sociale.

Uno degli esempi più chiari della differenza tra Thin e Thick è quello (che rubo a Marshall Sahlins) dell’ACQUA BENEDETTA. Cosa c’è di oggettivamente diverso tra acqua normale e acqua benedetta? Nulla, ovviamente, e un chimico mi dirà che si tratta sempre della stessa sostanza, ma se voglio capire la differenza devo vedere le cose dal punto di vista del credente, che pensa che l’acqua benedetta abbia una qualità spirituale, e possa essere taumaturgica.

(1:09:45) THIN E THICK SI SOVRAPPONGONO A -ETIC e -EMIC, facendo però attenzione al fatto che “il punto di vista del nativo” (che sarebbe l’-emic) non coincide esattamente con il senso dell’azione consapevole dell’attore sociale. Il millepiedi non sa come fa a camminare, ed è inutile, spesso, chiedergli come fa aspettandosi una risposta coerente. Di fatto, l’antropologo lavora anche a livello del subconscio culturale, cogliendo sensi che NON sono praticati consapevolmente dagli attori sociali.

Tutto, questo, dicevamo, per introdurre il racconto che Geertz ci farà del vecchio mercante ebreo Cohen.

Abbiamo concluso (1:20:00) con un TEST sul “SIGNIFICATO”.

Le ultime considerazioni (1:32:15) sono sulla fragilità epistemologica dell’opposizione THIN/THICK (come di quella -etic/-emic): diciamo che sono opposizioni di cui abbiamo bisogno come “limite” o come “obiettivo” ma l’antropologa sul campo non può che aspirare a ricostruire il punto di vista -emic o a produrre una thick description, ma questo lavoro di ricostruzione sarà sempre incompleto (basta parlare con “un’altra persona ancora” e il quadro può mutare).

Il punto insomma è che questa incompletezza della nostra ricostruzione culturale è intrinseca e irrinunciabile.

Ho poi finito con un doppio appello di eventi al PEF – Polo Ex Fienile, che però è andato completamente a vuoto… (anzi no, una ex studentessa sabato è venuta a darci una mano a fare pacchi al PEF).