Le occupazioni a scopo abitativo hanno sempre avuto, in
Italia e in particolare a Roma, una connotazione politica chiara, superando di
molto la “semplice” richiesta di un diritto di base per porsi come progetto
alternativo nella gestione dello spazio pubblico urbano. Con la progressiva
visibilità degli stranieri tra gli occupanti, la rappresentazione delle
occupazioni nella sfera pubblica è scivolata sempre più nella sua
criminalizzazione, inevitabile compendio dell’alterizzazione in un contesto
politico-economico alla ricerca di facili capri espiatori. La resistenza a
questo processo è praticata in modo anche contraddittorio dagli occupanti: da
un lato si è intensificata la visibilità del sistema organizzativo delle
occupazioni, in una sorta di intenzionale “uscita dall’ombra”; dall’altro si è
proceduto a un duplice mutamento degli obiettivi originari dell’occupare. A
volte, infatti, capita che gli occupanti leggano lo squatting come una
paradossale chiave d’accesso all’altrimenti irraggiungibile decoro borghese; d’altro
canto, molti vivono le occupazioni sempre meno come spazio liminare
(provocazione rituale auto-segregante che interpella le istituzioni in vista di
una prossima reintegrazione alla piena cittadinanza dell’alloggio sociale) e
sempre più come spazio neo-topico di alternativa radicale (e soprattutto
definitiva) alla reclusione degli affetti nello spazio domestico confinato al
di qua della porta di casa. La combinazione di queste divergenti (e anche
contraddittorie) resistenze allo sguardo criminalizzante del discorso pubblico
fa delle occupazioni a scopo abitativo uno degli ambienti culturalmente più
fertili per teorizzare lo spazio urbano. GIOVEDI 15 dicembre ore 17:00. Roma Sapienza.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
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giovedì 15 dicembre 2016
domenica 4 dicembre 2016
Uomini in movimento
Tranquilli, non sono gli sconfitti del refendum, gli uomini in movimento di cui parliamo lunedì 5 e martedì 6, ma noi uomini in generale, alla ricerca di capire quel che siamo, come stiamo organizzando (riorganizzando) la nostra condizione di genere, la nostra sessualità, il nostro "essere uomini". Se non affrontiamo in profondità questo tema sarà difficile uscire dalla crisi, che è ben più che economica, e vede nelle tensioni di genere uno degli snodi imprescindibili.
Siamo a Roma, nella sede stupenda della Società Geografica Italiana, a Villa Celimontana.
Io parlo martedì 5 nel primo pomeriggio, ma sarò presente (quasi) per l'intero convegno. Ci sarà un servizio di traduzione simultanea per i relatori in lingua inglese.
I miei studenti e le mie studentesse del modulo B di antropologia culturale (dedicato quest'anno al concetto di Persona) sono invitati a partecipare. L'invito è esteso a tutte e tutti. Io martedì parlo della costruzione della maschilità tra gli uomini bangladesi, tra Roma e madrepatria.
Siamo a Roma, nella sede stupenda della Società Geografica Italiana, a Villa Celimontana.
Io parlo martedì 5 nel primo pomeriggio, ma sarò presente (quasi) per l'intero convegno. Ci sarà un servizio di traduzione simultanea per i relatori in lingua inglese.
I miei studenti e le mie studentesse del modulo B di antropologia culturale (dedicato quest'anno al concetto di Persona) sono invitati a partecipare. L'invito è esteso a tutte e tutti. Io martedì parlo della costruzione della maschilità tra gli uomini bangladesi, tra Roma e madrepatria.
venerdì 2 dicembre 2016
Perché voterò No al Referendum costituzionale
Ho cercato di scrivere un post spiegando le mie ragioni (da
antropologo) per votare No, ma ne è venuto fuori un pippone lungo e in parte
indigesto, che potete (se siete masochisti) leggere qui. Provo invece in questa
sede a sintetizzare per chi, giustamente, avesse poco tempo.
1. La Costituzione è una carta in buona sostanza simbolica.
Non è vero che ha il potere di cambiare la politica o l’economia di un paese,
per quella ci vogliono leggi ordinarie. La Costituzione è come un campo di
gioco, stabilisce le dimensioni, il tipo di materiale e, quando serve, il tipo
di attrezzatura. Ma non dice che sport ci giocherai (pensate ai palazzetti), al
massimo te ne vieta alcuni (impossibile giocare a polo in un palazzetto, ad
esempio, o hockey sul ghiaccio sulla terra rossa) e soprattutto non ti
garantisce mai che la tua squadra vincerà il campionato.
2. Quindi, la Costituzione è lo spazio delle regole
condivise PRIMA che inizi l’Agon politico, la battaglia tra chi poi perderà e
vincerà di volta in volta. Mettere in piedi una riforma costituzionale con
spirito agonistico (se non vinco me ne vado) è folle, perché contraddice
(qualunque sia il suo “andiamo nel merito”) nel metodo il fine stesso della
Carta, che è integrativo e non divisivo. Fare una riforma intitolandosela è un
sintomo grave di insipienza politica. Pretendere di vincere un referendum
costituzionale implica l’incapacità di comprendere la funzione di una
Costituzione. Per me chi si muove su questo piano è un cannibale politico, gli
interessa solo il Potere personale, non il bene del Paese. Se gli interessasse
il bene del Paese avrebbe chiesto al Parlamento di fare una riforma, al
massimo. Uscendo dall’aula durante il dibattito e il voto.
3. Questo discorso vale tanto per chi vuole “vincere” quanto
per chi vuole “far perdere”, e i fondi velenosi di Travaglio e le promesse di
denuncia di Grillo sono prodotti nella stessa logica divisiva che nega il
valore della Costituzione. Fare le barricate per il No invocando fascismi,
stupri della sacralità della carta e il rigurgito centralista e statalista è
una strategia divisiva, che ancora una volta punta a far vincere la propria
parte e che di fatto si muove nella stessa logica agonistica del gioco a somma
zero (se qualcuno ci guadagna, allora qualcuno ci rimette per forza).
4. Quindi non posso votare Sì perché l’intento di questa riforma
è, da parte del promotore, la sanzione popolare del suo Potere giammai
legittimato dal voto: ha fatto una scommessa quando le quote lo davano
imbattibile, e ora si trova a dover drogare di doping il cavallo sbagliato. Non
è esattamente quel che si dice uno spirito costituzionale ad aver messo in moto
tutto il baraccone, e non me la sento di legittimare una mossa di
prevaricazione politica. Ma questo non è un argomento per votare No, dato che
bastava cominciare con loro (dai, Berlusconi; suvvia, Salvini: ma fatemi il
piacere) per avere gli stessi argomenti per NON stare dalla loro parte (e quindi
per evitare convintamente di votare No).
5. Se dunque una riflessione sulla forma mi impedisce di
scegliere (sono sbagliate entrambe le motivazioni) posso guardare al contenuto,
e questo mi rassicura. Questa riforma costituzionale è terribilmente vecchia, e
porta in Italia uno stile di rappresentanza politica che è nato in USA nel
secondo dopoguerra, e si è espanso in Europa a partire dalla ventata “di destra”
degli anni Ottanta. E’ uno stile che pretende di ridurre “la politica” a una
cosa sporca che meno ce n’è e meglio è per i cittadini. Uno stile che pretende
di cancellare i corpi intermedi della rappresentanza per creare legami diretti
tra un indistinto popolo (sempre più esentato da dichiarazioni di appartenenza
di classe e sempre più invece spinto a dichiararsi etnicamente) e una
leadership plebiscitaria e ristretta. Io voglio la ritualità del potere, i suoi
salamelecchi, i lacci e lacciuoli, proprio perché un potere franco, che “ci
mette la faccia”, che pensa a “fare, fare, fare” senza pensare a “dialogare,
ragionare, mediare” è quello di cui NON abbiamo bisogno oggi. Io voglio una
terza camera, una quarta, che rallenti il ritmo delle leggi (ne facciamo
troppe, infatti, e troppo velocemente) che impedisca al ministro di turno di
avere carta bianca senza un’ampia e laboriosissima discussione. Io voglio la
Palude, unica garanzia di Democrazia compiuta.
6. Certo, sto esagerando, sto provocando. Ma l’idea di fondo
spero sia chiara. Io voto No perché questa proposta di Riforma spinge in una
direzione che il mondo occidentale ha visto percorsa da tutte le democrazie “mature”
da troppo tempo. Voto No perché è una riforma vecchia, fatta da giovani vecchi,
che non capiscono nulla dei bisogni del paese, che riciclano le ricette ammuffite
del Nord Europa. Abolire il CNEL? Io lo voglio rifinanziato. Abolire il Senato?
Sarà forse la camera unica in grado di affrontare la questione ecologica, la
crisi capitale-ambiente, il disastro generazionale, la sperequazione di genere?
O non sarebbe invece un paese più colto, più istruito, con più investimenti in ricerca
e sviluppo?
7. Per questo voto No, senza bisogno di fare il tifo, senza
che chi vota No mi consideri dalla parte sua (Salvini vaffanculo), e senza che
chi vota Sì si senta tradito, mi tolga il saluto o altre oscenità che sono in
contraddizione con lo spirito stesso del voto referendario quando è in gioco la
Costituzione. Non voglio vincere, non voglio perdere, non è una gara. Chi vota
Sì o No con spirito Costituzionale (e non per vincere) ha tutta la mia stima e
la mia considerazione. Cambiamo partita, per cortesia, anzi, smettiamo di
credere sia una partita, usciamo dalla metafora fintamente rassicurante della
partita. Non ci sono avversari, se non quelli che ci inventiamo, in un voto
referendario.
lunedì 28 novembre 2016
Coming soon (Anthropology at home, oppure a Tor Vergata...)
Novembre è un mese fitto per antropologia culturale e per il
sottoscritto, per cui in tutto ritardo vi illustro i prossimi eventi in corso.
1. Lunedì 28 e martedì 29 novembre il registra-antropologo
Elia Romanelli sarà a Roma “Tor Vergata” per due lezioni, dalle 16:00 alle
18:00 in aula T29 di Lettere (via Columbia 1). Vedremo alcuni pezzi dei suoi
documentari e leggeremo brani dalla sua tesi magistrale per capire come
lavorare sulle storie di vita e sul concetto di persona (temi del modulo B di
quest’anno). Sono lezioni, ma sono conferenze, ma sono lezioni.
2. Con Elia, sempre martedì 29 ma dalle ore 19:00, vi aspettiamo al
ristorante Ancora Betto e Mary, in viale della Primavera, 105, a Roma per
offrirvi (e sottolineo "offrirvi") un aperitivo mentre parliamo di Slices of Life, il libro di biografie,
ritratti fotografici e ricette che abbiamo fatto, Elia, la meravigliosa e meravigliante fotografa Ottavia Castellina e
io. Ha accettato di parlarcene la vulcanica collega Elisabetta Marino,
professoressa di letteratura inglese, e sarà delizioso assaggiare gli stuzzichini
preparati da Luciano (figlio di Tommy, a sua volta figlio di Betto e Mary,
quelli originali) mentre potrete sfogliare il libro e comprarlo ad un prezzo
eccezionale (ottima strenna natalizia, tra l’altro).
3. Il 30 novembre mattina torniamo a Lettere di Tor Vergata, in aula
Moscati (la nostra elegantosa aula delle tesi e dei consigli) per una mattina
molto più seria. Si parla di Islam e cittadinanza, con Jasser Auda che presenta
il suo libro sul “civic state”, tradotto dall’arabo da Sabrina Lei e Abdel Latheef Chalikandi, e ne discuteremo con studiose del calibro di Maria GiovannaStasolla, Renata Pepicelli e Valeria Fabretti. Alle 12:30 ci troviamo per un
pranzo sociale gestito dalle studentesse e dagli studenti del collettivo e dei
miei corsi di antropologia culturale. Se volete venire, siete i benvenuti, ma
portare qualcosa da mangiare, poco pochissimo, ma un segno ci vuole.
Vi aspetto numerosi, affamati di
scienza e di cibo halal.
venerdì 25 novembre 2016
Famiglia e violenza di genere
Ci incontriamo venerdì 25 novembre ore 15:00 a Tor Vergata a Lettere per parlare di Famiglia come fonte potenziale della violenza di genere, vista la giornata per contrastare la violenza di genere, e in preparazione della giornata di mobilitazione di sabato 26 novembre.
Si tratta di capire che non è naturale che le donne siano "le regine della casa", che la separazione tra spazio privato e spazio pubblico non ricalca necessariamente quella tra femmine e maschi, e che il lavoro da fare per contrastare la violenza sulle donne passa anche attraverso la consapevolezza collettiva che le donne non sono più naturali degli uomini. Ci vorrà tempo. Ce la faremo, uniti e unite.
Si tratta di capire che non è naturale che le donne siano "le regine della casa", che la separazione tra spazio privato e spazio pubblico non ricalca necessariamente quella tra femmine e maschi, e che il lavoro da fare per contrastare la violenza sulle donne passa anche attraverso la consapevolezza collettiva che le donne non sono più naturali degli uomini. Ci vorrà tempo. Ce la faremo, uniti e unite.
mercoledì 26 ottobre 2016
Misericordia, pena di morte, ergastolo
Parlare del carcere non è mai facile. Parlare delle pene estreme del carcere, vale a dire della pena di morte e dell'ergastolo, richiede uno sforzo ulteriore di comprensione di un istituto culturale che ha poche giustificazioni di ordine razionale.
Sono stato invitato a parlarne con persone che ne sanno molto più di me, farò la mia parte nel tentare di raccontare cosa significa "l'ergastolo ostativo" dal punto di vista della persona che lo vive, come caduta nella peggiore delle povertà, vale a dire la povertà di chi non ha più lo spazio per provare a immaginare il suo futuro come un punto nel tempo cui aspirare. Senza la possibilità di aspirare a un futuro, la vita si inaridisce, e l'ergastolo sembra concepito proprio come una macchina istituzionale per inaridire il futuro. Giovedì 27 ottobre, ore 16, PressPoint Roma per il Giubileo, via dei Penitenzieri 14, Roma.
www.romaperilgiubileo.gov.it
Ne parleremo con Salvatore Bonfiglio, giurista; Mario Caravale, storico del diritto; Patrizio Gonnella, presidente di Antigone; Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Coordina i lavoro Marco Ruotolo, costituzionalista.
Sono stato invitato a parlarne con persone che ne sanno molto più di me, farò la mia parte nel tentare di raccontare cosa significa "l'ergastolo ostativo" dal punto di vista della persona che lo vive, come caduta nella peggiore delle povertà, vale a dire la povertà di chi non ha più lo spazio per provare a immaginare il suo futuro come un punto nel tempo cui aspirare. Senza la possibilità di aspirare a un futuro, la vita si inaridisce, e l'ergastolo sembra concepito proprio come una macchina istituzionale per inaridire il futuro. Giovedì 27 ottobre, ore 16, PressPoint Roma per il Giubileo, via dei Penitenzieri 14, Roma.
www.romaperilgiubileo.gov.it
Ne parleremo con Salvatore Bonfiglio, giurista; Mario Caravale, storico del diritto; Patrizio Gonnella, presidente di Antigone; Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Coordina i lavoro Marco Ruotolo, costituzionalista.
mercoledì 12 ottobre 2016
Pietro Bartolo a Tor Vergata
Pietro Bartolo è il medico del poliambulatorio di Lampedusa, uno dei protagonisti di Fuocoammare, il film di Gianfranco Rosi vincitore a Berlino e candidato all'Oscar.
Assieme a Lidia Tilotta ha scritto Lacrime di sale. La mia storia quotidiana di medico di Lampedusa tra dolore e speranza, e ne parliamo venerdì 14 ottobre, dalle ore 11, nell'Auditorium di Tor Vergata, nella Macroarea di Lettere e Filosofia (via Columbia 1, 00133, Roma).
Per me è stata un lettura illuminante, perché prima di essere il diario di un medico sul campo, è un'autobiografia, vale a dire uno strumento di lavoro dell'antropologia culturale.
Cercherò di leggere il testo come un manuale di istruzioni per diventare Pietro Bartolo. Quali origini familiari e quali scelte (o destini) esistenziali bisogna aver percorso per trovarsi lì, sulla frontiera dell'umanità e cercare di strappare i corpi dalla furia del mare e dall'indifferenza dei molti?
Spero possiate venire tutti, il dottor Pietro Bartolo ha molto da dirci, e noi molto da imparare.
Assieme a Lidia Tilotta ha scritto Lacrime di sale. La mia storia quotidiana di medico di Lampedusa tra dolore e speranza, e ne parliamo venerdì 14 ottobre, dalle ore 11, nell'Auditorium di Tor Vergata, nella Macroarea di Lettere e Filosofia (via Columbia 1, 00133, Roma).
Per me è stata un lettura illuminante, perché prima di essere il diario di un medico sul campo, è un'autobiografia, vale a dire uno strumento di lavoro dell'antropologia culturale.
Cercherò di leggere il testo come un manuale di istruzioni per diventare Pietro Bartolo. Quali origini familiari e quali scelte (o destini) esistenziali bisogna aver percorso per trovarsi lì, sulla frontiera dell'umanità e cercare di strappare i corpi dalla furia del mare e dall'indifferenza dei molti?
Spero possiate venire tutti, il dottor Pietro Bartolo ha molto da dirci, e noi molto da imparare.
domenica 24 luglio 2016
Il Kunda di Monaco (e Nizza, e Bruxelles, e Parigi, e Orlando, e Kabul e Baghdad e via andare)
Roy Richard Grinker ha scritto un libro sulla
“simbiosi sociale” tra due popolazioni dell’Africa Centrale, i Lese,
agricoltori che vivono in villaggi, e gli Efe, cacciatori raccoglitori della
foresta. Ne parla con ampio dettaglio Francesco Remotti nel suo libro Prima lezione di antropologia. Racconta Grinker (che leggo nella sintesi che ne dà
Remotti) che tra Lese e Efe sussiste una “strana” relazione sociale. I Lese si
considerano superiori, più evoluti, più raffinati dei “primitivi” Efe, e sono
nevroticamente ossessionati da questa loro superiorità, che di fatto non
riescono a gestire da soli. Per quanto li disprezzino, di fatto i Lese hanno
bisogno degli Efe per la loro vita quotidiana e per la solidità simbolica della
loro quotidianità. Non solo gli Efe procurano ai Lese carne, miele e erbe
medicinali dalla foresta, ma hanno costituito una relazione di servitù hegelianamente inestricabile. Le donne Efe aiutano nel parto le donne Lese,
possono anzi esse stesse partorire figli Lese agli uomini del villaggio, e nei
racconti del mito sono stati anzi gli Efe a insegnare ai Lese come ci si
accoppia. Ma è nella gestione della magia che più appare evidente la necessità
Efe per l’esistenza Lese. Ci sono in effetti due tipi di magia, nel complesso
culturale Lese-Efe, e questi due tipi si chiamano aru e kunda.
Aru è la magia che viene da fuori, viene
“proiettata” intenzionalmente sui propri avversari, spesso è legata a questioni
di corna e rivalità amorose, e tipicamente un uomo getta aru sul marito della
propria amante di un altro villaggio. Non è particolarmente pericoloso, aru, ci
si può con-vivere in effetti, e costituisce la normale scocciatura di gestire
le relazioni umane con il “fuori”. Il vero problema, però, è il kunda. Si
tratta della stregoneria più nera, una forza oscura che viene da dentro e che i
Lese non sanno proprio gestire. Se aru è magia intenzionale, malevola e
meschina, kunda è subconscia, feroce e distruttrice. Nasce da dentro l’animo
umano, da quella parte nascosta anche al soggetto, esce fuori senza che neppure
te ne accorgi, e si riversa sui tuoi cari, su tuo fratello, su tuo figlio, sui
parenti più stretti. Nessun Lese riesce a controllarla, o a diagnosticarla per
tempo. Solo dopo che ha colpito si deve provare a contenerla, individuandone la
sorgente umana, che è sempre un vicino, che magari sarà più sorpreso di tutti
nello scoprire di essere uno stregone del kunda. Sono gli Efe, in verità, a
compiere questo lavoro diagnostico, e sono gli Efe gli unici in grado di
trattare i corpi morti infetti dal kunda.
Non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma vale la pena
di sottolineare che il kunda è un concetto totalmente culturale, non c’è alcuna
base “materiale” che imponga il kunda come un oggetto della realtà, eppure i
Lese ne parlano come di un dato di fatto, un’ovvietà che solo un folle potrebbe
negare. È una delle caratteristiche più tipiche delle credenze magiche, questo
suo apparire, per chi le vive, del tutto scontata, reale come le pietre di una
montagna, come l’acqua che scorre in un fiume. Certo, il male esiste, la morte
e il dolore sono dentro l’orizzonte della vita, ma perché i Lese incapsulano
tutto il male mortifero dentro un unico concetto, e lo pongono al centro
incontrollabile della loro cultura? Se il male esiste, perché viene “da dentro”
quando è ingestibile ed invece viene attribuito all’esterno se è oggettivamente
meno pericoloso? Cosa stanno “dicendo” i Lese di se stessi e del Male? Si noti
che non è una strategia antitetica all’originario “capro espiatorio” ebraico.
Il male della comunità, il male prodotto dalla comunità, veniva riversato sul
capro e quello gettato all’esterno, allontanato. I primitivi Efe compiono
questa funzione per i “complessi” Lese, i “confusi” Lese, i “moderni” Lese.
Cacciatori della foresta, ladri di miele e di piante, gli Efe sono più vicini
alla condizione “di Natura” dei civili Lese. Per questo sono in grado di
gestire il kunda per conto dei loro sprezzanti padroni. Perché il kunda è il
ritorno del rimosso, è la Natura che i Lese provano in tutti i modi a tenere a
distanza, dalla quale vogliono a tutti i costi distaccarsi. Essendo più vicini
alla Natura, allo spazio proteiforme da cui tutti veniamo, gli Efe sono in
grado di gestire quel nero che tracima, sanno come si possa almeno incanalarlo,
gestirlo, tenerlo a bada.
Quel che succede in questi mesi in Europa altro
non è che un’esplosione di kunda. La distruzione nichilista che usa armi
bianche, fucili, bombe e camion per massacrare e massacrarsi non è un attacco
esterno. Certo, Daesh ha tutto il vantaggio a reclamare per sé la
responsabilità di tutto quel che succede da Charlie Ebdo in poi, ma è solo un
altro villaggio che confonde il suo miserevole aru con la forza brutale del
kunda, è un farsi vanto della forza altrui. L’Europa comincia a sperimentare
quel che negli Stati Uniti è una sequela di lutti insensati che ha una storia
trentennale, in cui l’Islam non c’entra proprio nulla. È una malattia
autoimmune che si chiama “mancanza di senso” e che dovremmo cominciare
seriamente a pensare come kunda, il ritorno del rimosso.
Abbiamo costruito un sistema complesso quanti
altri mai, e la sua stessa complessità è fonte di angoscia se non trova un
sostegno morale su cui fondarsi. Il “radicalizzato” di turno (che in America,
dove la religione ha tutt’altro spessore pubblico, è ancora un radicalizzato
“cristiano”, quello che imbraccia le armi e fa la strage nel campus o nel
cinema) spara su di noi e su di sé l’insensatezza, la distanza terribile tra Sé
e il Senso. Come per i Lese, fa parte della nostra forma di vita il distanziarsi
dal Vuoto Originario, ma questa distanza diventa incapacità di gestione. Sono
uomini Lese che percepiscono per sé un passato da Efe (non a caso uomini, maschi, ma è un
altro aspetto, questo), quelli che imbracciano il Nulla e lo spargono in giro
per le città dell’Europa. Europei-col-trattino, franco-magrebini,
tedesco-iraniani, anglo-pakistani, non perché il loro essere Altri porti con sé chissà quale
belluina ferocia (gli Efe non hanno kunda, che è una prerogativa dei Lese!) ma
perché il loro essere diventati Lese da poco ho prodotto un surplus di
consapevolezza della distanza tra Cultura e Natura, con la vertigine che ne
deriva. Il Nulla della cultura occidentale dentro cui sono cresciuti rimbomba
nella carcassa mitologica della cultura da cui provengono, ed è lo scarto tra
il Vuoto presente e forse il mito di un Passato ancestrale ancora gravido di
senso che non riescono a gestire. Diagnosticano il Nulla del kunda che tutti
abbiamo nel petto, ma per loro questa diagnosi è insopportabile e diventa
macello nello scarto con qualche forma di Altrove o Passato ancora dotato di
Senso.
Come fossimo Lese senza più memoria, incapaci
di pensare alternative o di concepire un passato moralmente diverso dal vuoto
totale dentro cui ci siamo ficcati, sprofondiamo nella nostra depressione o
proiettiamo nei nostri mobile devices quel poco di desiderio che ancora
riusciamo a spremere dai nostri nervi consunti. Chi invece riesce ad
agganciarsi a qualche fittizia fonte di Senso (si chiami Islam, si chiami
Famiglia, si chiami Amore, si chiami Onore) -- e un passato familiare di emigrazione può esserne
una sorgente insperata -- può provare a
misurare quella distanza. Se pensa che lo iato sia colmabile, farà di quella
radice uno strumento di salvezza, un perno di solida struttura di sé. Ma chi
vede lo scarto e lo trova incolmabile, da quella voragine farà esplodere il
Nulla.venerdì 15 luglio 2016
Quando abbiamo scritto Slices of Life con il genio creativo di Elia Romanelli e la forza artistica di Ottavia Castellina, uno dei problemi era come presentarlo in Italia (visto che è scritto in inglese). Questa occasione è praticamente perfetta!
Scripta Manent • IFIX, Dude Mag e MONK Roma presentano
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COS’È SCANNER • I migliori progetti cartacei italiani. Le storie dei disegnatori e degli autoproduttori. Caratteri mobili, fotocopiatrici, distribuzioni laterali. I pionieri dell’autoproduzione. Come si evolve un primate. Realizzare una serigrafia. Esposizione di fanzine d’epoca.
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SUL PALCO • Programma in aggiornamento
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Aggiornamenti Talk:
— Venerdì 15 luglio
19:30 - Flanerí
20:00 - Il Reportage
20:30 - Night Italia + Marco Fioramanti
21:00 - Fortepressa + Crack fumetti dirompenti + Valerio Bindi
21:30 - Dottor Pira
22:00 - Nodes Magazine
22:30 - Flag Press + Just Indie Comics - The Shop
23:00 - Studio Pilar
23:30 - RTB - Recipes to Become + Lostudio Dorme + The Collyers
— Sabato 16 luglio
19:00 - Arf Festival Del Fumetto + Stefano Piccoli
19:30 - Impronta Umana
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21:00 - Piero Vereni
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21:45 - Cliquot
22:10 - Crisma + Lab A4
22:30 - Costola
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23:30 - PPG - Pazzi Per Gesù
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19:00 - Angelo Zabaglio - Andrea Coffami Cerampelo
20:00 - Simone del Vecchio
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WORKSHOP •
“Come si illustra un libro” con Rita Petruccioli
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“Serigrafia su carta” con Fabio Meschini
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“Questione di caratteri – Stampa con caratteri mobili” con Betterpress lab
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“Come si progetta un giornale” con Andrea Mattone
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SUL PALCO • Programma in aggiornamento
Nota: gli incontri possono subire dei lievi spostamenti di orario.
Aggiornamenti Talk:
— Venerdì 15 luglio
19:30 - Flanerí
20:00 - Il Reportage
20:30 - Night Italia + Marco Fioramanti
21:00 - Fortepressa + Crack fumetti dirompenti + Valerio Bindi
21:30 - Dottor Pira
22:00 - Nodes Magazine
22:30 - Flag Press + Just Indie Comics - The Shop
23:00 - Studio Pilar
23:30 - RTB - Recipes to Become + Lostudio Dorme + The Collyers
— Sabato 16 luglio
19:00 - Arf Festival Del Fumetto + Stefano Piccoli
19:30 - Impronta Umana
20:00 - Betterpress lab
20:30 - Ciebbì ChickenBroccoli
21:00 - Piero Vereni
21:30 - L'Ultimo Uomo + Crampi Sportivi
21:45 - Cliquot
22:10 - Crisma + Lab A4
22:30 - Costola
23:00 - Ikonemi
23:30 - PPG - Pazzi Per Gesù
— Domenica 17 luglio
19:00 - Angelo Zabaglio - Andrea Coffami Cerampelo
20:00 - Simone del Vecchio
20:30 - Filippo Dr.Panico
20:50 - Anatomia dei Sentimenti
21:10 - Clockwork Pictures
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22:30 - InkEdit
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23:30 - B comics • Fucilate a strisce + WATT magazine
SCANNER • Microfestival dei primati.
15 • 16 • 17 Luglio
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martedì 28 giugno 2016
Fine dell'economia (come disciplina, almeno della micro-, dai) ovvero considerazioni antropologiche sul Brexit
Con lo sforzo di lucidità che lo contraddistingue (più lui che il suo giornale, secondo me appiattito da un pezzo sulla prospettiva dei pasdaran di Renzi) Luca Sofri si sta sforzando di farci capire cosa stia succedendo "nei nostri tempi", e con la Brexit l'impegno di comprendere e comunicare la sua analisi si è forse intensificato, vista l'enormità dell'evento. Ha scritto quindi un lungo pezzo, in cui riprende una serie di suoi pallini, ma veramente ben pensati, e legge il voto britannico in un quadro interpretativo ben più ampio. Da antropologo, rimango sorpreso che un attento osservatore occidentale possa ancora (come dire, dopo Auschwitz?!) rimanere abbacinato dal mito del progresso ("Un po’ è un tic psicologico, un po’ la storia e il modo di raccontarla ci hanno abituato così, che il mondo progredisce") ma come insegnante di antropologia so benissimo quanto invece il millenario dibattito tra evoluzionisti e degenerazionisti (quelli che vedevano da qualche parte il sol dell'avvenire contro quelli che invece rimpiangevano l'età dell'oro) non abbia ancora presa nel senso comune della tarda modernità, a tutto vantaggio dei "progressisti", convinti (fino a giovedì 23 giugno?) di appartenere alla condizione naturale dell'umanità.
Insomma, proprio quel che a un compìto studioso (tiè, un professorone) potrebbe sembrare l'ennesimo fallimento analitico del solito giornalista, mi pare invece (a me che al massimo sono un professorino) un sintomo importante che nel senso comune, nella vita lì fuori (scrivo queste righe dall'università) si stia finalmente facendo strada l'idea che non tutto nel mondo sociale ha già una direzione prestabilita, che non tutto quel che cresce necessariamente converge, che non basta essere di casa a New York o Londra per sapere come saremo e staremo più o meno tutti tra un tot di anni.
Il naturalismo dell'inevitabilità dell'evoluzione sociale "verso il meglio", quindi, sta finalmente cedendo al principio di realtà: le società, le culture, le economie, le politiche, vanno piuttosto a zonzo, maturano concezioni tutte locali di modernità plurali, vanno un po' avanti e un po' indietro, ma soprattutto vanno di lato. Di lato alle nostre aspettative, alle nostre speranze, alle nostre opinioni informate.
Luca Sofri, per poter elaborare le sue stimolanti interpretazioni, legge un sacco di giornali e riviste, e nell'ultimo (finora) post del suo blog ha riportato uno stralcio di un articolo di Amanda Taub pubblicato sul New York Times, che credo vada incorniciato con cura come il momento in cui l'economia (intesa come disciplina) entrò nella fase adulta. Vale la pena di tradurre (alla buona) i passi citati da Sofri:
1. Il presupposto del "moderno ordine liberal" è un caso specifico di un approccio analitico più generale delle scienze sociali, detto "individualismo metodologico" e realizzato in modo particolare nella micro-economia. Questa approccio vuole che gli attori sociali siano attori "razionali", che cioè conoscano le variabili in gioco (non c'è ignoranza, non esistono in questo modello quelli del Galles che hanno votato Leave perché pensavano di dare all'UE più di quanto ricevevano) e che agiscano per il loro interesse individuale, personale (al massimo estendibile nel modello agli strettissimi cari).
2. Dire che i comportamenti "irrazionali" hanno un ruolo centrale nelle scelte degli esseri umani vuol dire buttare al cesso tutta l'economia neo-classica, e tutte le politiche neo-liberiste che ne conseguono. Ammettere che non c'è razionalità nel modo in cui i Britannici hanno votato a favore della Brexit significa ammettere che non ha senso costruire modelli del sociale che presuppongano l'homo economicus (l'individuo informato razionale). Bisognerà allora che qualcuno ci spieghi come mai tutte le politiche sociali dell'Occidente attivate dal thatcherismo in avanti (dalla distruzione del welfare alla privatizzazione dei beni pubblici, dalla mercificazione radicale della casa al mercato del lavoro ridotto, appunto, a mercato puro) si sono basate proprio sul principio della razionalità economica, e ci hanno preso pure i premi nobel per sovrammercato.
E come mai la sinistra storica ha deciso che valeva la pena di prendere per buona una bufala del genere, frantumando il discorso di classe e accettando di farsi alfiera del peggior razionalismo economico (che non contesto in quanto principio filosofico, chissene, ma in quanto strumento analitico empiricamente fallato).
3. Noto infine con sincero stupore il sincero stupore nell'accorgersi che, ohibò, gli esseri umani fanno scelte non sempre dettate da un conteggio razionale dei costi e benefici. Tutti ricordano quel che è successo in Europa "negli ultimi 50 anni", come si premura di fare la giornalista Amanda Taub: da Jan Palach a Srebrenica, non sono mancate le occasioni per meditare sulla straordinaria e terribile capacità di fare cose cose senza pensare a un tornaconto immediato e quantificabile. Se tutti lo sapevamo, perché sorprendersi dell'irrazionalità britannica? Questo mi collega all'apertura di questo post, allo stupore di Sofri che il mondo non sia una marcia inarrestabile verso il progresso, al riconoscimento che abbiamo bisogno di meno economisti e di più psicologi sociali e antropologi per capire quel che succede.
4. Quel che deve farci impressione, ma sul serio, è che desti stupore rendersi conto che persino la perfida Albione possa essere irrazionale, che il nostro giochino evoluzionista (certo, quelli si danno fuoco, quelli massacrano, quelli si scannano, ma sono sempre "quelli lì", localizzabili in qualche altrove spazio-temporale) non funziona proprio più. Se anche nel paese in cui il capitalismo è diventato per la prima volta la grande macchina del mercato autoregolato, il principio dell'interesse razionale individuale non può più essere applicato come strumento interpretativo, allora siamo proprio di fronte a un cambiamento enorme.
Sì, enorme. Non perché "la cosa" dell'ignoranza stia prendendo piede (non ha mai smesso di farlo) ma perché finalmente ce ne siamo accorti. La folle uscita dell'UK dall'UE dimostra a noi stessi che non possiamo più pensare all'essere umano come animale economico razionale. Neanche l'essere umano che più ci assomiglia, quello che vediamo nello specchio.
Insomma, proprio quel che a un compìto studioso (tiè, un professorone) potrebbe sembrare l'ennesimo fallimento analitico del solito giornalista, mi pare invece (a me che al massimo sono un professorino) un sintomo importante che nel senso comune, nella vita lì fuori (scrivo queste righe dall'università) si stia finalmente facendo strada l'idea che non tutto nel mondo sociale ha già una direzione prestabilita, che non tutto quel che cresce necessariamente converge, che non basta essere di casa a New York o Londra per sapere come saremo e staremo più o meno tutti tra un tot di anni.
Il naturalismo dell'inevitabilità dell'evoluzione sociale "verso il meglio", quindi, sta finalmente cedendo al principio di realtà: le società, le culture, le economie, le politiche, vanno piuttosto a zonzo, maturano concezioni tutte locali di modernità plurali, vanno un po' avanti e un po' indietro, ma soprattutto vanno di lato. Di lato alle nostre aspettative, alle nostre speranze, alle nostre opinioni informate.
Luca Sofri, per poter elaborare le sue stimolanti interpretazioni, legge un sacco di giornali e riviste, e nell'ultimo (finora) post del suo blog ha riportato uno stralcio di un articolo di Amanda Taub pubblicato sul New York Times, che credo vada incorniciato con cura come il momento in cui l'economia (intesa come disciplina) entrò nella fase adulta. Vale la pena di tradurre (alla buona) i passi citati da Sofri:
Brexit non è solo un colpo all'economia britannica, ma colpisce anche un presupposto centrale che soggiace al moderno ordine liberal: che gli elettori agiscano nel loro interesse personale.Si potrebbe scrivere un saggio antropologico su un pezzo come questo, e mi limito ad alcune considerazioni in sequenza fintamente ordinata.
Il progresso degli ultimi 50 anni, in particolare in Europa, ha reso facile accettare l'idea che le forze del nazionalismo, della xenofobia e del pregiudizio siano del tutto irrazionali, distorsioni del mercato che svaniranno naturalmente nel lungo periodo storico. Il voto della settimana scorsa ha messo in luce - non per la prima volta, ma con insolita chiarezza - la fallacia di questa teoria. Per molte persone, l'identità batte l'economia, e sono disposte a pagare un caro prezzo (letteralmente, questa volta) per proteggere un ordine sociale che le faccia sentire sicure e potenti.
Non si tratta di una dinamica limitata al Regno Unito o a questo referendum. Sta avendo un ruolo nelle democrazie di tutto il mondo, e il suo centro di attenzione è diventata l'immigrazione.
Molti cittadini, in particolare quelli che stanno subendo la pressione economica della globalizzazione, esprimono il loro disagio per questi mutamenti puntando gli occhi su un altro tipo di cambiamento: gli stranieri in mezzo a loro. Fermare l'immigrazione, anche se il vero effetto sarà un peggioramento della loro situazione economica, sembra un modo sensato di bloccare gli altri mutamenti indotti dalla globalizzazione.
1. Il presupposto del "moderno ordine liberal" è un caso specifico di un approccio analitico più generale delle scienze sociali, detto "individualismo metodologico" e realizzato in modo particolare nella micro-economia. Questa approccio vuole che gli attori sociali siano attori "razionali", che cioè conoscano le variabili in gioco (non c'è ignoranza, non esistono in questo modello quelli del Galles che hanno votato Leave perché pensavano di dare all'UE più di quanto ricevevano) e che agiscano per il loro interesse individuale, personale (al massimo estendibile nel modello agli strettissimi cari).
2. Dire che i comportamenti "irrazionali" hanno un ruolo centrale nelle scelte degli esseri umani vuol dire buttare al cesso tutta l'economia neo-classica, e tutte le politiche neo-liberiste che ne conseguono. Ammettere che non c'è razionalità nel modo in cui i Britannici hanno votato a favore della Brexit significa ammettere che non ha senso costruire modelli del sociale che presuppongano l'homo economicus (l'individuo informato razionale). Bisognerà allora che qualcuno ci spieghi come mai tutte le politiche sociali dell'Occidente attivate dal thatcherismo in avanti (dalla distruzione del welfare alla privatizzazione dei beni pubblici, dalla mercificazione radicale della casa al mercato del lavoro ridotto, appunto, a mercato puro) si sono basate proprio sul principio della razionalità economica, e ci hanno preso pure i premi nobel per sovrammercato.
E come mai la sinistra storica ha deciso che valeva la pena di prendere per buona una bufala del genere, frantumando il discorso di classe e accettando di farsi alfiera del peggior razionalismo economico (che non contesto in quanto principio filosofico, chissene, ma in quanto strumento analitico empiricamente fallato).
3. Noto infine con sincero stupore il sincero stupore nell'accorgersi che, ohibò, gli esseri umani fanno scelte non sempre dettate da un conteggio razionale dei costi e benefici. Tutti ricordano quel che è successo in Europa "negli ultimi 50 anni", come si premura di fare la giornalista Amanda Taub: da Jan Palach a Srebrenica, non sono mancate le occasioni per meditare sulla straordinaria e terribile capacità di fare cose cose senza pensare a un tornaconto immediato e quantificabile. Se tutti lo sapevamo, perché sorprendersi dell'irrazionalità britannica? Questo mi collega all'apertura di questo post, allo stupore di Sofri che il mondo non sia una marcia inarrestabile verso il progresso, al riconoscimento che abbiamo bisogno di meno economisti e di più psicologi sociali e antropologi per capire quel che succede.
4. Quel che deve farci impressione, ma sul serio, è che desti stupore rendersi conto che persino la perfida Albione possa essere irrazionale, che il nostro giochino evoluzionista (certo, quelli si danno fuoco, quelli massacrano, quelli si scannano, ma sono sempre "quelli lì", localizzabili in qualche altrove spazio-temporale) non funziona proprio più. Se anche nel paese in cui il capitalismo è diventato per la prima volta la grande macchina del mercato autoregolato, il principio dell'interesse razionale individuale non può più essere applicato come strumento interpretativo, allora siamo proprio di fronte a un cambiamento enorme.
Sì, enorme. Non perché "la cosa" dell'ignoranza stia prendendo piede (non ha mai smesso di farlo) ma perché finalmente ce ne siamo accorti. La folle uscita dell'UK dall'UE dimostra a noi stessi che non possiamo più pensare all'essere umano come animale economico razionale. Neanche l'essere umano che più ci assomiglia, quello che vediamo nello specchio.
martedì 21 giugno 2016
Sintesi politica
Al voto come delega (sono io la soluzione, votatemi) e al voto come spettacolo (che fighi che siamo, votateci), questa volta la periferia romana (tutta Roma tranne i due municipi del centro, non a caso) ha risposto con il voto come richiesta di servizio. Non ho la minima idea di chi sia Virginia Raggi, ma l'ho votata perché credo che si voglia mettere di traverso a chi questa città l'ha (quasi) sempre controllata economicamente, vale a dire costruttori e palazzinari. L'attacco già partito contro Berdini mi pare una controprova. Fatto fuori il voto-spettacolo, il successo del M5s getta ora il panico in quel residuo di berlusconismo che pensava di aver trovato la chiave di volta del potere nello stile gradasso di chi la sa lunga, nell'arroganza becera dello specchietto per le allodole elettorali.
E' un voto che pretende una lettura di classe, almeno a Roma. Tutti quelli che non hanno servizi garantiti, lavoro sicuro, giustizia sociale, hanno votato M5S per dire che non ne possono più di delegare al ganzo di turno che lui sì risolve tutto, o di omaggiare il mammasantissima con l'impellicciata al seguito.
Mi sa che sul piano nazionale questo è pensiero che cominciano a farsi in molti. Non solo all'opposizione.
E' un voto che pretende una lettura di classe, almeno a Roma. Tutti quelli che non hanno servizi garantiti, lavoro sicuro, giustizia sociale, hanno votato M5S per dire che non ne possono più di delegare al ganzo di turno che lui sì risolve tutto, o di omaggiare il mammasantissima con l'impellicciata al seguito.
Mi sa che sul piano nazionale questo è pensiero che cominciano a farsi in molti. Non solo all'opposizione.
martedì 14 giugno 2016
Occupazioni della memoria
Care e cari,
mercoledì 15 giugno, alle ore 17.30 sarò alla scuola Perlasca, che si trova a Pietralata, in via Ramiro Fabiani,45. QUI avete una mappa che vi segnala il posto e anche il percorso a piedi dalla stazione metro B di Pietralata (a 10 minuti a piedi).
Parlerò di occupazioni a scopo abitativo, e del loro senso politico e culturale.
Ma soprattutto, dopo il mio intervento, verso le 18.30 con alcune amiche e amici del quartiere (I Tipi Attivi, ci chiamiamo) presenteremo un progetto bellissimo a cui stiamo lavorando da circa un anno, "lo sportello delle memorie", un'iniziativa che utilizza la metodologia della ricerca antropologica per creare un archivio dei ricordi di vita degli abitanti del quartiere.
Dovrebbe essere presente anche il maestro Turi Sottile, importante pittore contemporaneo residente a Pietralata da molti anni, la cui storia di vita sarà tra quelle utilizzate per esemplificare il progetto.
Conto di vedervi numerose e numerosi, a fine presentazione ci sarà un piccolo rinfresco a sottoscrizione libera, per raccogliere i fondi necessari a comprare il nostro primo hard-disk per l'archivio.
Un caro saluto
pv
mercoledì 8 giugno 2016
Tracce Urbane
La prossima settimana, da lunedì 13 a mercoledì 15 giugno, sono a Ferrara per una importante iniziativa. Si parla di città, di politiche sociali e abitative, con lo sguardo strabico di Tracce Urbane, che mette assieme urbanisti, sociologi, architetti, antropologi, geografi. E' una proposta post-disciplinare molto seria, che ormai prosegue da anni e che sta sondando diversi filoni di ricerca. Io parlerò in una sessione dedicata alla violenza urbana.
Ci saranno un sacco di amic* e prezios* collegh*, ma io vi consiglio di non perdervi Tom Slater, che è qui solo di passaggio e che rappresenta una punta di diamante della radical geography.
Ci sono tanti modi di parlare di città, quindi di politica. Quello di Tracce Urbane è di gran lunga quello che preferisco.
Ci saranno un sacco di amic* e prezios* collegh*, ma io vi consiglio di non perdervi Tom Slater, che è qui solo di passaggio e che rappresenta una punta di diamante della radical geography.
Ci sono tanti modi di parlare di città, quindi di politica. Quello di Tracce Urbane è di gran lunga quello che preferisco.
giovedì 19 maggio 2016
"Dentro e contro l'università"
Ci sarò. E' un momento importante di confronto tra "l'istituzione" e "l'antagonismo", per capire se ci possiamo parlare e capire. E magari se possiamo lavorare nella stessa direzione (che secondo me resta quella di produzione della cittadinanza). Ecco la locandina con l'invito. Molto ben accett@ student@ di ogni genere
Venerdì 20 maggio h. 18
@ Metropoliz (via Prenestina 913, Roma)
"Dentro e contro l'università-fabbrica della città: per una nuova (con)ricerca sul diritto all'abitare."
Un numero sempre crescente di ricercatrici e ricercatori, negli ultimi anni, ha iniziato ad approcciare la realtà dell'emergenza abitativa, e delle sue forme di autorganizzazione, da una prospettiva nuova. Anziché “patologizzare” gli occupanti come vittime tout-court, soggetti marginali a prescindere, o peggio criminalizzarne direttamente le condotte in quanto “illegali”, “migranti” e “abusivi”, molt* hanno privilegiato una prospettiva che mettesse in luce le biografie, spesso complesse e anche contraddittorie, di chi ha deciso di unirsi a percorsi di lotta organizzati per rispondere alla necessità di avere un tetto sopra la testa. Tanti altr* hanno anche scelto di descrivere le forme di organizzazione e vita meticcia che ne scaturiscono, e infine le conseguenze dei dispositivi giuridici elaborati a livello sia locale che nazionale allo scopo di sanzionare gli occupanti e scoraggiarne di nuovi (come accaduto in primis l'articolo 5 del Piano Casa), anziché andare a colpire le cause strutturali dell'emergenza stessa.
Questi progetti di ricerca vengono portati avanti nonostante l'orientamento apertamente neoliberista e avverso alla rappresentazione del conflitto sociale che sta prendendo piede dentro le Università, e favorito dal susseguirsi di riforme che hanno mercificato i saperi, accresciuto a dismisura il potere dei cosiddetti “baroni”, e reso sempre più precarie le sorti di chi si avvicina al mondo accademico, sia in termini di reddito che di prospettive di vita. E anche per chi ce la fa a ritagliarsi una posizione (sebbene temporanea) dentro gli atenei, i tagli rendono estremamente complesso portare avanti ricerche che richiedano un impegno lungo e dedito sul campo.
Ciononostante, tanti e tante stanno comunque portando avanti progetti sull'emergenza abitativa e la realtà delle occupazioni abitative a Roma in tutta Italia da diverse prospettive disciplinari e approcci metodologici, provando faticosamente ad imprimere un mutamento di paradigma, senza schemi predefiniti o appiattiti sulle opinioni di moda tanto nei media quanto nei dipartimenti, dove gli imperativi di “legalità” e “rigenerazione urbana” denunciano non solo un colpevole scollamento dalla palese realtà del fallimento delle politiche di austerità nella città, e dalle malversazioni istituzionalizzate prodotte da privatizzazioni, esternalizzazione dei servizi pubblici, alienazione e uso privatistico dei beni comuni. Lo scollamento è soprattutto dalle necessità e dai bisogni di migliaia (se non milioni) di persone che sperimentano nuove forme di marginalità ed espulsione a partire da condizioni soggettive profondamente distanti, dal ceto medio imprenditoriale impoverito sottoposto a pignoramenti, a rifugiati e richiedenti asilo esclusi dal sistema dell'accoglienza al collasso, e che si trovano nella necessità di provvedere dal basso ai propri bisogni di vita, pena la povertà assoluta e la strada.
Peggio ancora, certi orientamenti accademici hanno avallato le opinioni, e legittimato le azioni di chi, per interessi di capitalizzazione economica o politica, ha allungato le mani sulla città di Roma a colpi di gestione delle emergenze e colate di cemento, tratteggiando con decisione il fantasma di “nemici della città” nei poveri e in chi lotta per il diritto alla città allo scopo di tacere l'impatto devastante di decenni di politiche neoliberiste in territori già stremati dal susseguirsi di crisi economiche senza soluzione di continuità.
Prendere atto di questo contesto così difficile non significa comunque rassegnarsi ad adottare il punto di vista predominante, né tanto meno ad accettare individualmente in silenzio l'esclusione o l'emarginazione dai contesti universitari, accontentandosi di portare avanti ragionamenti che rimangano comunque “di nicchia”, e lontani da opportunità più ampie di divulgazione. Di fronte ad uno scenario così complesso, si aprono praterie per progetti di (con-)ricerca che abbiamo l'ambizione di costruire una narrazione partigiana nel suo essere dal basso e senza finte pretese di “oggettività”; nel suo voler raccontare nei suoi aspetti quotidiani e più profondi processi di autorganizzazione, lotte per recupero di diritto alla città, forme di vita e di riproduzione sociale meticcia e solidale che si ingenerano negli spazi occupati. Quegli stessi luoghi che, sebbene minacciati continuamente da attacchi e sgomberi, sono riusciti anche a diventare spazi di socialità, solidarietà e organizzazione in quegli stessi territori narrati solitamente solo tramite le retoriche del “degrado”, e le opportunità di strappare inversioni di tendenza nella gestione delle città che questi percorsi rappresentano. Tutti questi progetti, partendo da prospettive eterogenee, contribuiscono dunque a narrare come si possa invertire la tendenza nella gestione della città a partire da percorsi autonomi e dal basso, e socializzano saperi utili a contrastare sia i dispositivi repressivi mossi contro gli/le attivisti, sia quelli di controllo e sfruttamento quotidianamente dispiegati sulla pelle degli occupanti, in larga misura migranti.
Metropoliz, come città meticcia e solidale che ha riportato la pratica dell'autogestione nel cuore di Tor Sapienza, negli ultimi 7 anni di vita ha idato vita al MAAM e ideato ed ospitato moltissimi eventi culturali, sportivi e accademici. Ci sembra dunque il luogo più adatto per iniziare a discutere collettivamente di come uscire dall'isolamento individuale in cui il sistema universitario sta cercando di confinarci, provare a conoscerci, col fine ultimo di provare a immaginare forme nuove per mettere in connessione ricerche con approcci intersezionali ed interdisciplinari diversi, ma che hanno la capacità e l'ambizione di decostruire retoriche securitarie, razziste e criminalizzanti, per provare ad immaginare un nuovo modello di città, costruita in modo solidale e dal basso.
Partecipano:
Margherita Grazioli (School of Management - University of Leicester, UK)/ Carlotta Caciagli (Dipartimento di Scienze Politiche - Scuola Normale Superiore di Pisa)/ Elena Maranghi (Dipartimento di Urbanistica - Università La Sapienza, Roma)/ Chiara Davoli (Dipartimento di Scienze Sociali - Università La Sapienza, Roma)/ Alberto Violante (Dipartimento di Scienze Sociali - Università La Sapienza, Roma)/ Piero Vereni (Dipartimento di Storia, Patrimonio Culturale, Formazione, Società - Università degli Studi di Tor Vergata, Roma)/ Gennaro Avallone (Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione - Università di Napoli)/ Andrea Aureli (antropologo)
Per info e contatti:
Email: metropoliz@riseup.net
Sito web: metropoliz.noblogs.org
Facebook: Metropoliz Lab
sabato 14 maggio 2016
Mangiare la strada (a Pietralata)
Come diceva il buon Lévi-Strauss, un sacco di cose commestibili sembrano più "buone da pensare" che "buone da mangiare", e se lui pensava ai "selvaggi", oggi questa affermazione sembra valida per noi in modo ancora più evidente. Non c'è minuto del giorno in cui il sistema della comunicazione (dalla tv via satellite al vicino di casa, da Internet alla zia) non ci parli di cibo, di quanto è buono questo, quanto è cattivo quello; quanto quell'ingrediente faccia bene e quanto invece quell'altro sia mortifero.
Insomma, parlare di cibo sembra lo sport generale dell'Occidente sovrappeso, e qualcosa vorrà pur dire, no?
Un sottogenere lanciatissimo è quello del "cibo di strada", con un sacco di sfaccettature sociali e morali.
Ne parla Valeria Trupiano a Pietralata.
Mica per attirarvi, ma faccio notare che si finisce proprio con un assaggio di cibi di strada!
Insomma, parlare di cibo sembra lo sport generale dell'Occidente sovrappeso, e qualcosa vorrà pur dire, no?
Un sottogenere lanciatissimo è quello del "cibo di strada", con un sacco di sfaccettature sociali e morali.
Ne parla Valeria Trupiano a Pietralata.
Mica per attirarvi, ma faccio notare che si finisce proprio con un assaggio di cibi di strada!
lunedì 9 maggio 2016
Padri e musulmani
Oggi faccio una rimpatriata alla Sapienza di Roma, che è sempre bello. Nell'auletta di Etnologia al terzo piano di Lettere ci ho seguito un sacco di lezioni quando ero studente. Ora tocca a me, provare a dire qualcosa ai dottorandi. Parlerò della mia attuale ricerca con gli uomini bangladesi a Roma. Un primo abbozzo di sintesi, di un lavoro ancora tutto in corso.
Incontro con gli studenti di Rebibbia
Martedì 24 maggio alle ore 09:30, presso il teatro della Casa Circondariale di Rebibbia (via R.Majetti 70, Roma), il Magnifico Rettore dell'Università di Roma "Tor Vergata" Giuseppe Novelli e la professoressa Marina Formica, coordinatrice della Macroarea di Lettere e Filosofia, invitano all'incontro dal titolo: Dialoghi. Gli studenti di Tor Vergata e gli studenti di Rebibbia si confrontano. Testimonianze, letture, orientamento universitario, cerimonia di consegna dei libretti alle nuove matricole.
Con gli studenti di Tor vergata e di Rebibbia sono presenti e animano il dibattito i tutor e i docenti del Progetto "Canche - Università in carcere", i docenti delle scuole secondarie di Rebibbia, i responsabili del settore amministrativo ed educativo e della polizia penitenziaria di Rebibbia.
Per l'autorizzazione necessaria all'entrata a Rebibbia si devono comunicare tassativamente entro l'11 maggio, tramite e-mail: Nome, cognome, luogo e data di nascita e luogo attuale di residenza al prof. Fabio Pierangeli (fabio.pierangeli@tiscali.it - Tel. 320 2706474)
Con gli studenti di Tor vergata e di Rebibbia sono presenti e animano il dibattito i tutor e i docenti del Progetto "Canche - Università in carcere", i docenti delle scuole secondarie di Rebibbia, i responsabili del settore amministrativo ed educativo e della polizia penitenziaria di Rebibbia.
Per l'autorizzazione necessaria all'entrata a Rebibbia si devono comunicare tassativamente entro l'11 maggio, tramite e-mail: Nome, cognome, luogo e data di nascita e luogo attuale di residenza al prof. Fabio Pierangeli (fabio.pierangeli@tiscali.it - Tel. 320 2706474)
giovedì 5 maggio 2016
Penicillina a Roma
Il 6 maggio alle ore 17:30, nella biblioteca 'Aldo Fabrizi' di via Treia 14, si parla di una cosa mai vista: ROMA città INDUSTRIALE!
Altro che covo della burocrazia e dei ministeri! Roma negli anni Cinquanta aveva (anche) una vocazione industriale, di cui conserva tracce degradate ma preziose. Sulla via Tiburtina, all'altezza di San Basilio c'è un rudere industriale che guarda i passanti coi suoi occhi spenti di finestre sventrate: è il posto dove si produceva la Penicillina, il miracolo della chimica farmaceutica che fece crollare la mortalità infantile, che combatteva la polmonite, che portava il mondo verso il sogno della Modernità.
Cos'era e cosa è rimasto di quella fabbrica? Un gruppo di cittadini attenti, appassionati e colti presenta quella storia, invitando chi vuole ad aprirsi a un pezzo di quel che siamo stati, per imparare a collegare, a tenere assieme i molti pezzi di questa città, se vogliamo capire che forma ha la sua anima.
mercoledì 30 marzo 2016
Il Corano: Pluralismo delle Scritture contro fondamentalismo religioso e violenza
Ne parliamo lunedì 4 aprile 2016 alle ore 12:00 in aula Massimo Rosati a Lettere Tor Vergata.
Il dottor Safi Kaskas è uno studioso arabo-americano che da anni concentra i suoi studi in direzione di una sempre maggiore connessione tra le fedi abramitiche, in virtù della loro comune prospettiva. Qualche mese fa ha dato vita, assieme al collega cristiano David Hungerford, a una traduzione in inglese del Corano con riferimenti biblici, un lavoro molto ricco che presenta il Corano in una prospettiva finora solo accennata. Se già alcuni commentatori classici come Al Biga'i hanno suggerito in passato che i due testi fossero in stretta connessione tra loro, in The Qur'an - with References to the Bible: A Contemporary Understanding tale dialogo prende forma articolata sotto gli occhi del lettore, spostando l'attenzione dalla comprensione che le due religioni operano rispettivamente sulle proprie Scritture e puntandola invece sulla comprensione di ciò che i due testi hanno originariamente cercato di comunicare.
Il dottor Safi Kaskas è uno studioso arabo-americano che da anni concentra i suoi studi in direzione di una sempre maggiore connessione tra le fedi abramitiche, in virtù della loro comune prospettiva. Qualche mese fa ha dato vita, assieme al collega cristiano David Hungerford, a una traduzione in inglese del Corano con riferimenti biblici, un lavoro molto ricco che presenta il Corano in una prospettiva finora solo accennata. Se già alcuni commentatori classici come Al Biga'i hanno suggerito in passato che i due testi fossero in stretta connessione tra loro, in The Qur'an - with References to the Bible: A Contemporary Understanding tale dialogo prende forma articolata sotto gli occhi del lettore, spostando l'attenzione dalla comprensione che le due religioni operano rispettivamente sulle proprie Scritture e puntandola invece sulla comprensione di ciò che i due testi hanno originariamente cercato di comunicare.
La valutazione possibile
Il tema della valutazione della ricerca può sembrare astruso e riservato agli specialisti, ma è in realtà essenziale per comprendere dove sta andando l'università italiana. Le studentesse e gli studenti sono tenuti a partecipare e a informarsi e a sfruttare in generale ogni occasione che consenta loro di comprendere il proprio ruolo di studenti e cittadini.
mercoledì 23 marzo 2016
Troppa religione o troppo poca?
Martedì 29 marzo 2016 ci incontriamo alle 11:00 in Aula Moscati per parlare di modelli di secolarizzazione fra Islam e Cristianesimo, partendo dal libro di Giovanni Salmeri Troppa religione o troppo poca? Cristiani e musulmani alla prova della secolarizzazione.
Le studentesse e gli studenti di antropologia culturale sono invitati a partecipare numerosi, in modo particolare in questi giorni in cui la religione sembra assumere connotazioni lugubri nella sfera pubblica.
Le studentesse e gli studenti di antropologia culturale sono invitati a partecipare numerosi, in modo particolare in questi giorni in cui la religione sembra assumere connotazioni lugubri nella sfera pubblica.
mercoledì 16 marzo 2016
Rifugiati a Tor Vergata
Venerdì 18 marzo 2016 ci vediamo alle ore 13:00 in aula T30 di Lettere Tor Vergata (via Columbia, 1) per parlare di rifugiati in Italia. Anzi no, per parlare di e parlare con rifugiati in Italia.
Non possiamo più fare finta che sia una cosa che riguarda "gli altri", è una questione che ci tocca tutti personalmente, individualmente. Capire meglio cosa significa stare in uno SPRAR (già capire cosa sia, uno SPRAR...) e avere più notizie, più informazioni, più cose vere a cui, su cui, con cui pensare.
L'università è anche questo. Soprattutto questo, dovrebbe essere. Strumento per conoscere e capire quel che stiamo vivendo.
Non possiamo più fare finta che sia una cosa che riguarda "gli altri", è una questione che ci tocca tutti personalmente, individualmente. Capire meglio cosa significa stare in uno SPRAR (già capire cosa sia, uno SPRAR...) e avere più notizie, più informazioni, più cose vere a cui, su cui, con cui pensare.
L'università è anche questo. Soprattutto questo, dovrebbe essere. Strumento per conoscere e capire quel che stiamo vivendo.
domenica 28 febbraio 2016
Madri e macchine (con pochi mostri)
Nel 1995 ero in piena ricerca sul campo in Macedonia, e quanto tornai (nel 1997) trovai utile come lettura di aggiornamento un libretto che era uscito, appunto, nel 1995, Madri Mostri e Macchine, di Rosi Braidotti. Per il mio provincialismo maschilista (in totale buona fede, o inconsapevole, vedete voi) fu una lettura illuminante, che mi apriva una pista di lavoro che in realtà non ho mai ripreso esplicitamente.
La collega Francesca Dragotto mi ha fatto tana con il suo Laboratorio di Grammatica e Sessismo e martedì 1 marzo sono stato invitato a dire la mia. In realtà, sarà la prima volta che in pubblico presenterò un progetto di ricerca che sto covando da mesi, sperando che diventi un testo vero entro la fine dell'anno. Saranno solo appunti, o spunti, poco compunti ma non ancora consunti. Spero.
Le studentesse e gli studenti di antropologia culturale sono caldamente invitati, ma va bene anche se fate i poliziotti, gli uomini sandwich o praticate massaggi linfodrenanti.
La collega Francesca Dragotto mi ha fatto tana con il suo Laboratorio di Grammatica e Sessismo e martedì 1 marzo sono stato invitato a dire la mia. In realtà, sarà la prima volta che in pubblico presenterò un progetto di ricerca che sto covando da mesi, sperando che diventi un testo vero entro la fine dell'anno. Saranno solo appunti, o spunti, poco compunti ma non ancora consunti. Spero.
Le studentesse e gli studenti di antropologia culturale sono caldamente invitati, ma va bene anche se fate i poliziotti, gli uomini sandwich o praticate massaggi linfodrenanti.
sabato 30 gennaio 2016
Un filo di logica sul Family Day
Visto che il buon senso slitta sempre più a
destra, tocca fare un poco di didattica di base e riprendere in mano alcuni
concetti chiave, per capire su cosa si sta discutendo, e perché.
Il matrimonio è un atto amministrativo, un
contratto, che ha delle finalità giuridiche, delle conseguenze istituzionali
che dipendono dalle premesse per cui è istituito come contratto.
Nella sua definizione più generale e transculturale,
il matrimonio è un accordo che sancisce alcuni diritti e doveri per i
contraenti e per altri membri da essi legalmente dipendenti. Ci sono X e Y, i
coniugi, e poi Z e K, le altre persone coinvolte dal contratto. Mentre X e Y
sono necessariamente esistenti, Z e K possono essere potenziali oppure
esistenti. I diritti/doveri sottoscritti da X e Y coinvolgono anche Z e K,
potenziali o reali.
Tutto il problema è stabilire cosa fa di Z e K
soggetti coinvolti nel contratto matrimoniale. Mentre è chiaro che X e Y sono i
“protagonisti” (gli sposi) meno chiaro è definire Z e K. Ridurre la cosa a “sono
i figli” è una sciocchezza doppiamente etnocentrica. Se non partiamo dall’idea
che solo il nostro modello sia legittimo, e riconosciamo che altri ordinamenti
giuridico-culturali possano avere altre concezioni di persone coinvolte nel
matrimonio, dobbiamo intanto accettare che ci possono essere Z e K per noi
impensati. In alcune tradizioni, ad esempio, i fratelli di X e Y sono
immediatamente coinvolti nel contratto, al punto che un fratello/sorella
potrebbe essere legalmente tenuto a rimpiazzare il defunto X o Y (è il caso del
levirato ebraico, ad esempio, in cui il fratello di un morto era tenuto a
sposare la cognata vedova; oppure del sororato, in cui la sorella della defunta
la “rimpiazza” come sposa). Altri casi prevedono regole precise per i
consuoceri, sistemi complessi di eredità tra gruppi parentali e tutta una
combinatoria veramente stratificata di diritti e doveri che riconducono a più
miti consigli la nostra concezione del coniugio come contratto tra DUE individui.
In realtà, quella del matrimonio segreto a Las Vegas tra due perfetti
sconosciuti che si sono scelti in totale autonomia individuale è una deriva estremamente recente e tutta capitalista di
un’istituzione che ha tutt’altra storia sociale.
Al di là di tutte le stranezze e usanze locali,
resta vero che “i figli” sono tra gli Z e i K più comuni, e sempre sono indicati
nella struttura legale del contratto matrimoniale. Il secondo etnocentrismo cui
accennavo, però, si rivela nella definizione di “figlio o figlia” che pensiamo
debba “naturalmente” attribuirsi a Z e K.
Z e K sono “figli” di X e Y (sono cioè coinvolti
nel sistema legale del matrimonio in una rete di diritti e doveri) in misura
sostanzialmente indipendente dalla loro generazione biologica. Se W è figlio
biologico di X e/o Y, questo non lo rende automaticamente e per tutti i sistemi
giuridico-legali comparati (per tutte le culture) Z o K, cioè legalmente figlio.
La genitorialità biologica consente, anche nel nostro sistema giuridico, il non
riconoscimento. Senza contare la marea di padri non ignari ma intenzionalmente
assenti senza alcuna conseguenza, la storia degli ospedali italiani è piena di madri anonime e di figli
di m. ignota, no? Per quanto molti possano considerare disdicevole e
riprovevole un comportamento del genere, è il nostro sistema giuridico (che su
questo ricalca quello di tutto “l’Occidente”) a stabilire e riconoscere che si
può a tutti gli effetti essere il genitore biologico di Z o K senza essere la
madre (responsabile legale) o il padre (responsabile legale) di Z o K. Di
converso, l’istituzione dell’adozione legale (istituzione universale, si badi
bene), dice che si può essere figlio legale di X o Y senza esserne il frutto
biologico. E sfido chiunque a considerare pubblicamente i figli adottivi “meno
figli” dei figli biologici, cosa assolutamente inconcepibile nel nostro sistema
morale, oltre che giuridico.
Insomma, dobbiamo, tutti, riconoscere alcune
conseguenze di quanto abbiamo finora appurato.
1. Il matrimonio è un’istituzione sicuramente
universale, che coinvolge i diritti non solo di (almeno) due individui (X e Y),
ma anche di altre persone (Z e K), presenti, passate, future e potenziali, ma
il matrimonio come istituzione universale nulla dice di quali siano i doveri e i
diritti di X e Y verso Z e K.
2. Una cosa, però, l’istituto matrimoniale la dice
chiara e tonda: che Z e K siano il frutto biologico di X e Y non è una
condizione necessaria né sufficiente perché Z e K accampino un diritto su X e Y
o perché X e Y abbiano un dovere necessario verso Z e K. Detto in lingua
corrente, avere figli biologici o aver genitori biologici non è né un diritto,
né un dovere. Anzi, il sistema dei diritti e doveri dentro il matrimonio esula
completamente dalla dimensione biologica (che non è una condizione necessaria
né sufficiente). A fare i cavillosi, si può dire che, in effetti, un figlio
nato da un matrimonio ha automaticamente dei diritti, ma di fatto l’abbandono è
sempre possibile e tollerato. Per evitare azzeccarbugli, possiamo almeno dire
che l’adozione garantisce che il legame biologico sia sufficiente, ma non è necessario
per istituire la genitorialità.
3. Se la biologia c’entra poco o nulla, e comunque
non è necessaria, non ha senso parlare di “famiglia naturale”, ossimoro
perfetto, dato che “famiglia” significa proprio “costituzione di un legame
sociale intenzionale in cui la biologia funziona al massimo come una condizione
sufficiente tra altre, mai come una condizione necessaria e condizionante”.
4. Sono dunque gli esseri umani, non “la natura”, a
stabilire quale sia la famiglia ragionevole dentro il loro sistema sociale, ma
per farlo devono trarre le conseguenze di quel che stabiliscono.
5. Se la famiglia è definita (come fanno i
sostenitori del Family Day) null’altro che il luogo che ratifica la capacità di
riproduzione di un maschio e di una femmina, ed è solo quella che si può
chiamare famiglia, benissimo, ma ne consegue che:
5a se uno dei due partner è sterile, quella non è
famiglia;
5b il partner non sterile ha il diritto di
ripudiare il partner sterile;
5c qualunque forma di adozione deve essere vietata
perché vanifica la definizione di famiglia.
Ora, andate a dire a una coppia con una lunga e
dolorosa storia di aborti spontanei che la loro, mi spiace, non è famiglia.
Andate a dire a una coppia che adotta un bambino che la loro, mi spiace, non è
famiglia. Andate a dire a una persona ripudiata legalmente in quanto sterile
che, ahimè, il ripudio era ragionevole. Fate questo, e poi parlatemi ancora di famiglia
naturale e Family Day.
Se non credete che 5a, 5b e 5c siano enunciati
accettabili nel mondo in cui volete vivere voi, dovete fare i conti con 5, e
ammettere che la famiglia non ratifica l’atto biologico della riproduzione, ma
istituisce la volontà di genitorialità sociale. Se X e Y desiderano avere un
rapporto genitoriale con K e Z (reali o in potenza), X e Y sono una famiglia
(se non vogliono aver figli, sono comunque una coppia, non importa quale o
quali siano i loro sessi biologici).
Rendete più facili le adozioni indipendentemente
dagli orientamenti sessuali dei potenziali genitori, consentite l’adozione ai
single, uscite dalla mostruosità che la genitorialità sia un diritto sancito giuridicamente su
un oggetto biologico, e allora sarò felice di festeggiare con voi il Family
Day. Il giorno della famiglia: il giorno in cui degli esseri umani adulti
dichiarano il loro impegno a prendersi cura di altri esseri umani, più piccoli,
e indifesi, e di trasmettere loro un sistema di valori in cui non conta quanti
cromosomi condividi, ma quale orizzonte di aspettative, quali progetti, quale
futuro.