Ora, io faccio il possibile per capire che aria tira e non sentirmi del tutto spaesato di fronte al recente turbinio del Web2.0 e del social networking. Giuro, faccio tutto quello che posso. Ma poi mi tocca leggere questo:
Enrico Beltramini è uno che apre scenari. Ha spiegato come YouTube sia ormai roba vecchia.
E allora mi chiedo se non si tratti dell'ennesimo gioco a chi è più edgy, non per cercare di capire il mondo, ma per trovare l'ennesima forma di distinzione, non basata sul gusto, ma sulla quota di conoscenza disponibile.
Con l'appiattimento delle differenze di censo (capitale economico) e con la crescita del titolo medio di studio (capitale culturale), mi pare che una delle forme dominanti della distinzione sociale sia diventata la capacità di porsi (attenti, ho scritto "di porsi", non "di essere") esattamente al limite di quel che si conosce, di essere insomma in testa alla corsa.
A questo punto, la sparo anch'io per entrare nel club. Il modello delle KMT (per voi poveracci, che non lo sapete: Knowledge Management Technologies) è vecchiume ottocentesco, che pretende di imbrigliare in forme di "oggetti" quelle che non sono altro che reti di relazioni. Tiè. Beccati sto "scenario aperto".
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
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mercoledì 30 maggio 2007
martedì 29 maggio 2007
Hai visto mai
Stamattina avevo postato uno scherzo sul futuro di Google, che tra qualche anno ci dirà dove abbiamo ficcato quelle maledette chiavi della macchina che non troviamo più, ma poco fa ho scoperto che la cosa è meno improbabile di quel che sembrava. Si chiama SynBio, (Synthetic Biology) ed è la possibilità di lavorare con le nanotecnologie a livello molecolare. Ecco un pezzo dell'articolo di Rudy Rucker su Newsweek (che traduco giusto per fare pendant col pezzo in inglese scritto stamattina):
Una cosa che mi piacerebbe subito sarebbero un po' di batteri radiosensibili etichettati individualmente che potrei spargere in giro per casa. Una volta che questi "germi URL" sono stati sparpagliati, sarei in grado di fare ricerche con Google per tutti gli oggetti che possiedo: basta con le chiavi e gli occhiali che non si fanno trovare!
L'articolo per intero (che prosegue poi su toni molto più fantascientifici) si trova qui.
Una cosa che mi piacerebbe subito sarebbero un po' di batteri radiosensibili etichettati individualmente che potrei spargere in giro per casa. Una volta che questi "germi URL" sono stati sparpagliati, sarei in grado di fare ricerche con Google per tutti gli oggetti che possiedo: basta con le chiavi e gli occhiali che non si fanno trovare!
L'articolo per intero (che prosegue poi su toni molto più fantascientifici) si trova qui.
Social networking
When I posted my first post digged from digg.com, I was worried by the fact it was written in English. As if I automatically confine my potential readers to Italians, which is not true by any means. Same thing this morning, with the link to the funny “Google future”: will they be able to understand it? I thought. And “they”, of course, are my “Italian” readers. It is so bloody hard to really realize you can be read by just anyone from anywhere. So, from now on I think it might be interesting, and useful, to write in English, especially when the topic is about Italy. Of course, it’s much more difficult for me, I have to concentrate on the way of writing (instead of focusing on the content of the post) but if I simply remember who internet users are, this blog thing can become something else, something really new. More of real social networking.
No, il dibattito no
Come sapete, tra i miei blog preferiti ci sono quello di Luca Sofri e quello di Christian Rocca. Che sono ancora meglio se letti in coppia. Due terzisti illuminati, intelligenti, ragionevoli, faziosi quanto basta a dare sugo alla discussione. Insieme poi riescono ad essere anche esilaranti (la raccolta Re: No subject è un piccolo capolavoro). Di solito tendo più dal lato di Sofri, ma questa volta, sulla pallosissima questione del vecchiume detto Partito Democratico, mi sa proprio che ha ragione Rocca.
lunedì 28 maggio 2007
Gli ultimi giorni di Google (quasi...)
BIll Gates, per la prima volta da anni, non dorme più tranquillo col fiato di Google sul collo. In questo post un po' di futuro possibile: chi farà le scarpe a Larry Page e Sergey Brin? Ci si trova anche un po' di mitologia googliana (chi lavora in un ufficio Google ha cibo gratis e altre amenità interessanti per noi peones delle istituzioni lavorative (pubbliche o private) ed è scritto bene (in inglese).
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giovedì 24 maggio 2007
broadcasting de noantri
Per la prima volta in vita mia, ho potuto dire tranquillamente "chi se ne frega" di fronte all'eventualità di una censura del servizio pubblico.
Leggendo la pseudopolemica sul video Sex Crimes and the Vatican mandato in onda lo scorso ottobre dalla BBC (all'interno del programma Panorama) mi sono infatti reso conto (come molti di noi)che la posizione della Rai, di Mediaset o di qualunque altro broadcaster era del tutto irrilevante per la mia libertà di scelta. Il video circola da mesi (come il testo integrale, in latino e in inglese, del Crimen Sollicitationis la cui scoperta ha dato il via all'inchiesta) ma è diventato di interesse pubblico solo ora, che c'è l'eventualità che NON venga mandato in onda durante il programma di Santoro (non so com'è finita la faccenda, me ne sono ovviamente disinteressato). Bene, l'altro ieri ho finalmente messo in pratica quello che leggo teorizzato da almeno tre anni, cioè la fine del sistema del broadcasting come sistema centrale dell'informazione visiva. Mi segno la data. Non mi pare che Rai e Mediaset abbiano capito veramente quel che sta succedendo.
Leggendo la pseudopolemica sul video Sex Crimes and the Vatican mandato in onda lo scorso ottobre dalla BBC (all'interno del programma Panorama) mi sono infatti reso conto (come molti di noi)che la posizione della Rai, di Mediaset o di qualunque altro broadcaster era del tutto irrilevante per la mia libertà di scelta. Il video circola da mesi (come il testo integrale, in latino e in inglese, del Crimen Sollicitationis la cui scoperta ha dato il via all'inchiesta) ma è diventato di interesse pubblico solo ora, che c'è l'eventualità che NON venga mandato in onda durante il programma di Santoro (non so com'è finita la faccenda, me ne sono ovviamente disinteressato). Bene, l'altro ieri ho finalmente messo in pratica quello che leggo teorizzato da almeno tre anni, cioè la fine del sistema del broadcasting come sistema centrale dell'informazione visiva. Mi segno la data. Non mi pare che Rai e Mediaset abbiano capito veramente quel che sta succedendo.
venerdì 18 maggio 2007
APPELLO VERO!!! (Mail to: Giacomo@infinito.rc)
Giacomo Leopardi non è stato solo uno dei massimi poeti italiani, ma uno dei nostri più lucidi intellettuali. Solo un paese bacchettone, esterofilo e Tommasiano come l'Italia poteva ridurre un simile gigante del pensiero a un giovane gobbetto frustrato che non ha risolto il complesso d'Edipo e si ammazza di sorbetti.
Se fosse stato vivo oggi, di certo Leopardi avrebbe trovato il modo di utilizzare il web2.0, in particolare il tagging e le sue implicazioni filosofiche. Io ce lo vedo a smanettare su del.iciou.us con i tag dei sui bookmarks, e sono una prova di questa mia convinzione i suoi tentativi di indicizzare lo sterminato Zibaldone (che non è altro che un blog prima dei blog, e scritto da un blogger coi controcazzi, ma sempre blogger).
Altri blogger controcazzuti sono quelli de Ilprimoamore, blog collettivo del gruppo storico di Nazione Indiana. Ilprimoamore ha avuto la bellissima idea di sostenere un progetto ideato e realizzato dal Leopardi Centre (Università di Birmingham), e diretto da Franco D'Intino, in collaborazione con il CENTRO NAZIONALE DI STUDI LEOPARDIANI (CNSL, Recanati) per raccogliere fondi per fare tradurre in inglese lo Zibaldone di Giacomo Leopardi. Non riesco a pensare a un'operazione migliore per far condividere al mondo il ''genio delle italiche genti". Lo Zibaldone è veramente un'opera che merita di essere condivisa dall'umanità e la sua traduzione in inglese significa renderla disponibile a tutti. Sono un accanito sostenitore di questa idea, darò il mio contributo appena ci diranno il nominativo del conto corrente (ora abbiamo solo i dati bancari, ma non sappiamo di chi sia il c/c) e vi chiedo di fare altrettanto. Una piccola (o grande) donazione per rendere giustizia a un uomo più grande del suo corpo, che forse può ridare un po' di lustro a un popolo dal destino altrettanto doloroso.
UN and EU to Impose New Name on Finland
Per fortuna siamo alla parodia. Buon segno dei tempi. Dieci anni fa erano tutti molto più incazzati
This short blog post is a parody of the name dispute that FOPG (Former Ottoman Possession of Greece) imposed to Republic of Macedonia. The parallel is drawn between Alexander the Great and Santa Claus. Sweden accuses Former Russian Province of Finland of claiming ownership over Santa who, of course, is not theirs. Other countries join the fray!
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This short blog post is a parody of the name dispute that FOPG (Former Ottoman Possession of Greece) imposed to Republic of Macedonia. The parallel is drawn between Alexander the Great and Santa Claus. Sweden accuses Former Russian Province of Finland of claiming ownership over Santa who, of course, is not theirs. Other countries join the fray!
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La lunga coda diacronica (quando un post scriptum ti prende la mano)
Gianluca Nicoletti è stato per anni responsabiledi uno dei programmi più belli della radio italiana. Si chiamava Golem, andava in onda alle 8.35 su Radio 1 e parlava di mezzi di comunicazione in modo intelligentee provocatorio senza mai essere pedante, senza mai essere gossipparo. E' stato grazie a lui che ho scoperto le radio sul web e un sacco di altre cose, in un'epoca in cui non solo non c'era il web2.0, ma pure il web1.0 era un bene a disponibilità limitata (si andava tutti a 54kb e a consumo, ricordo che accendevamo il modem e facevamo partire il cronometro per cercare di chiudere alla fine dello scatto, che a un certo punto di sera era ogni 12 minuti).
Visto che era un bel programma, la Rai pensò bene di chiuderlo, così, senza una motivazione sensata. Protestammo in molti, noi ascoltatori, ma non servì a nulla. Non so se c'entrasse (temo) la "politica", ma Gianluca Nicoletti sparì dal mio panorama acustico, se non dal mio immaginario.
Me lo sono ritrovato da poco (una settimana) a Radio24. Alle 8 e mezza conduce Melog (l'inverso di Golem) e parla ancora di media con intelligenza e acume. Il programma è diverso, ci sono le telefonate degli ascoltatori, la voce di Nicoletti è quella vera (Golem parlava con una voce sintetica, una delle prime) e mi pare si parli più di televisione, ma è sempre buono e consiglio di ascoltarlo.
PS Questo post è il sintomo di questo blog, che ha un sottotitolo segreto: Fuori Tempo Massimo, e si basa sulla seguente filosofia:
ci sono un sacco di notizie che non sono etimologicamente tali (non sono nuove, insomma) ma che vale la pena di far circolare ancora e di mantenere in circolazione, perché c'è ancora (e molto probabilmente ci sarà in un futuro anche non prossimo) qualcuno che le trova interessanti e utili. La disposizione di questi soggetti accumunati dall'interesse per un'informazione non è quindi sincronica, ma diacronicamente si costituisce in una comunità sociologicamente rilevante (lunga coda diacronica, appunto).
Quando ho scoperto Nicoletti su Radio24 ho infilato questa sequenza di pensieri:
1. Che bello è tornato Nicoletti
2. Lo devo dire sul blog
3. Ma che dici? Magari Melog è iniziato il giorno dopo che è finito Golem! Non è una novità.
4. Ma se non lo sapevo io, può darsi benissimo che ci sia qualcun altro che non lo sa.
5. Allora vale la pena che lo metto sul blog.
Sì, una delle caratteristiche della Rete intesa come social network è proprio quella di MANTENERE disponibile porzioni di informazione che il mercato di per sé non ha ragione di continuare a supportare. Proprio il costo bassissimo dell'archiviazione e la sempre migliore qualità del retrivial dentro il web2.0 rendono sensata la riproposizione di informazioni lente, apparentemente scadute. Internet quindi non è solo il luogo dell'edgy, dell'ultraaggiornato, del nuovissimo. A quello ci pensano già le agenzie ufficiali di informazione, che vivono proprio sulla capacità di vendere il nuovo, e i geek nevrotici che devono dimostrare, prima di tutto a se stessi, di essere in cima alla corsa verso il presente.
Noi che ci connettiamo non per vendere o per spargere adrenalina ma per cercare (anche comprare, nel caso) informazione, possiamo aver bisogno di un dato antiquato.
Mi pare insomma che valga la pena di riflettere sulla dimensione diacronica della coda lunga di cui parla Chris Anderson di Wired: non solo porzioni attuali sempre più specifiche di utenti attuali frammentati sul globo possono essere accorpate attorno a specifiche porizioni di informazione attuale. Come dire, non si tratta solo delle tremila persone che nel mondo si occupano oggi di formati di baveri per giacche da uomo, e attorno a questa loro specializzazione trovano una rete di servizi. Io penso ai casi come il mio e come si possano concepire spalmati nel tempo: può darsi che una notizia che non è più tale per me o per i professionisti dell'informazione lo sia invece per qualcun altro tra qualche mese. Con l'aumento esponenziale di informazione resa disponibile dalla tecnologia sono sempre più frequenti i casi di informazione andata persa nel pagliaio.
Ridondanza, insomma, sii la benvenuta, perché ci permetti di liberarci dall'ansia: mi sarò mica perso qualcosa? No, non si perde nulla, quando l'informazione non funziona più solo in base al principio della pila limitata (first in last out). Sì, certo, anche i blog funzionano su questa base (il prossimo post scalzerà questo dal primo posto, e così via) ma dentro la rete sociale il principio della disponibilità limitata dell'informazione viene superato proprio dalla dimensione diacronica della coda: tra sei mesi, qualcuno scoprirà Nicoletti su Radio24, e ci farà un post sul suo blog, portando nuovamente in testa una notizia vecchia, e qualcuno la leggerà e la troverà utile. Io e quel qualcuno del futuro siamo nella stessa lunga coda, frammentata nel tempo e non solo nello spazio.
Per la serie "l'avevo detto, io!"
Se mi incontrate, non chiedetemi mai un consiglio su temi economici o finanziari.
Nel corso della mia vita sono riuscito a buttare via più di dieci milioni in un progetto editoriale che chiunque altro avrebbe giudicato ovviamente destinato al fallimento. In quanto esperto dei Balcani, ho consigliato mio padre di investire in Albania giusto tre mesi prima che crollasse il sistema delle piramidi finanziarie (1997) e che il paese sprofondasse nel caos. Per fortuna mia padre è un uomo con la testa sulle spalle e non ci ha pensato proprio di ascoltare il mio consiglio. Mi ha invece ascoltato un paio d'anni dopo, quando gli dicevo "entra in borsa, entra in borsa!". Peccato che fosse pochi mesi prima dello scoppio della bolla speculativa di fine millennio, e lui ne è uscito non benissimo...
Insomma, se si tratta di fare soldi io sono un disastro. E' proprio il fiuto che mi manca. Quindi sono stato felicissimo di leggere su Nòva24 (il settimanale del Sole24ore che tratta di media e tecnologia, una vera miniera di informazioni) del 10 maggio (per la serie notizie vecchie, su cui ho già "teorizzato") la seguente notizia in un articolo (E il libro di testo diventa su misura) da New Delhi di Marco Masciaga:
[...] Mentre la vendita all'estero dei diritti di traduzione e pubblicazione degli autori indiani è un fenomeno ormai in via di consolidamento, la trasformazione che si sta profilando all'orizzonte è quella della customizzazione, su larga scala, dei libri di testo universitari. La Wiley sta appoggiandosi in maniera massiccia alla propria succursale indiana per confezionare i testi di quello che ha battezzato «Precise textbook project».
«L'obiettivo in questo caso non è tanto quello di creare un prodotto fruibile a livello universale, quanto dei libri che possano essere confezionati in base alle esigenze delle singole università - spiega Vikas Gupta, managing director della succursale indiana del colosso americano dell'editoria Wiley -. Ogni corso potrà commissionare il proprio libro di testo scegliendo i temi che reputa più interessanti, invece di raccomandare l'acquisto di tre o quattro volumi destinati a essere studiati solo in parte. Noi assembleremo il tutto utilizzando il materiale di cui deteniamo i diritti e commissionando agli accademici, prevalentemente indiani, le parti mancanti. Una volta pronto, il libro potrà essere consegnato sia in formato cartaceo che elettronico (.pdf)». Il progetto, a cui la Wiley lavora da oltre un anno, si trova già nella fase sperimentale e nel giro di 6-9 mesi dovrebbe essere ufficialmente lanciato in India. Se funzionerà, il libro su misura potrebbe diventare una realtà anche nel resto del mondo.
Bene, quando lavoravo alla casa editrice Meltemi, era il 2001, in uno dei deliri collettivi che chiamavamo amabilmente riunioni di redazione mi sono rivolto ai proprietari, Marco della Lena e Luisa Capelli, e gli ho detto: "Immaginate di prendere tutto il catalogo Meltemi, scopertinare tutti i volumi e mettere su un lungo scaffale di libreria tutte le segnature [sarebbero i fogli piegati in 16, 24 o 32 parti, tagliati e cuciti uno a fianco all'altro per formare il libro "dentro" la copertina] una di fianco all'altra. Dimenticatevi l'idea di libro con cui siamo cresciuti noi, è roba del passato, per noi editori universitari. Noi dobbiamo andare dai nostri clienti, fargli vedere questa biblioteca sbrindellata di segnature affiancate una all'altra e dirgli: scegli quel che ti serve, un pezzo qua e un pezzo là, come ti pare, poi il libro te lo monto io, te lo stampo con la stampante laser, ti ci faccio la copertina con le rilegatrici a caldo e poi te lo spedisco alla libreria che serve la tua università".
La cosa non si fece perché gestire i diritti d'autore in questo modo è un casino inconcepibile per un piccolo editore come Meltemi, ma l'idea mi era venuta sei anni fa.
Sospetto: non è che proprio il fatto che sia venuta a me è una garanzia del fatto che l'idea è bislacca e non porterà una lira a quanti stanno provando a realizzarla?
Misteri delle audience
Il povero Canino, col suo Votantonio, l'anno veramente massacrato, con il 5 per cento di share su Rai Due in prima serata. E l'hanno massacrato da dentro la Rai: "E non è possibile", "e non si può andare avanti così", "e il servizio pubblico, signora mia".
Facendo l'editing per l'annuario della fiction italiana scopro che la fiction Roma (andata in onda tra il 17 marzo e il 21 aprile 2006) ha avuto un range di share tra il 5,29 e il 10,06, quindi ben al di sotto della media di rete e del tutto comparabile al disastro di Votantonio. Eppure il programma non è stato tagliato (12 puntate), e non ricordo polemiche così infuocate dentro l'azienda. Forse perché in quel caso la Rai aveva partecipato a un progetto "fichissimo" con HBO (figuriamoci, il più trendy dei canali pay americani) e BBC (figuriamoci, la più colta delle reti televisive) e quindi non se la sono sentita di sparare alzo zero su un progetto "culturale". E' vero, ricordo qualcuno parlare e scrivere di "americanata" , ma questo dopo che era andata male, non prima, e a pararsi un poco il culo son bravi tutti.
La verità è che qui si miagola tutti nel buio, quando si tratta di capire il perché di un successo o di un insuccesso. Figuriamoci prevederlo! A me certi critici (non necessariamente critici televisivi, parlo di persone che criticano "la televisione" quando magari ci lavorano dentro) ricordano gli storici che stilano le "cause della prima guerra mondiale". Ce ne fosse mai uno che prova stilare le cause della prossima guerra. Sempre a cose fatte. E sempre alla ricerca di qualche serbo sfigato cui far fare il capro espiatorio.
Facendo l'editing per l'annuario della fiction italiana scopro che la fiction Roma (andata in onda tra il 17 marzo e il 21 aprile 2006) ha avuto un range di share tra il 5,29 e il 10,06, quindi ben al di sotto della media di rete e del tutto comparabile al disastro di Votantonio. Eppure il programma non è stato tagliato (12 puntate), e non ricordo polemiche così infuocate dentro l'azienda. Forse perché in quel caso la Rai aveva partecipato a un progetto "fichissimo" con HBO (figuriamoci, il più trendy dei canali pay americani) e BBC (figuriamoci, la più colta delle reti televisive) e quindi non se la sono sentita di sparare alzo zero su un progetto "culturale". E' vero, ricordo qualcuno parlare e scrivere di "americanata" , ma questo dopo che era andata male, non prima, e a pararsi un poco il culo son bravi tutti.
La verità è che qui si miagola tutti nel buio, quando si tratta di capire il perché di un successo o di un insuccesso. Figuriamoci prevederlo! A me certi critici (non necessariamente critici televisivi, parlo di persone che criticano "la televisione" quando magari ci lavorano dentro) ricordano gli storici che stilano le "cause della prima guerra mondiale". Ce ne fosse mai uno che prova stilare le cause della prossima guerra. Sempre a cose fatte. E sempre alla ricerca di qualche serbo sfigato cui far fare il capro espiatorio.
mercoledì 16 maggio 2007
Incazzati tipo quella dei profumi
martedì 15 maggio 2007
Polonia e altro
Paolo Morawski ha un sacco di interessi. Tra le altre cose, è Direttore artistico del Premio internazionale del documentario e del reportage mediterraneo, un sito che consiglio a tutti quelli che si occupano di scienze politiche e di immaginario dello spazio pubblico.
Paolo tiene aggiornato un sito su tutto quel che riguarda la Polonia ed è attivamente coinvolto nel progetto di Pl.it - rassegna italiana di argomenti polacchi, una rivista corposa di cui è uscito da poco il primo numero (annuale).
La settimana scorsa abbiamo avuto modo di incontrarci e gli ho chiesto un po' di cose sull'attuale situazione polacca, attratto un po' morbosamente dalla fama di "cattivi" che sempre più nitidamente circonda i fratelli Kaczynski (uno presidente, l'altro primo ministro) e dalla polemica sollevata da Bronislaw Geremek dopo la sua decisione di non firmare la Lustracja, la legge che impone praticamente a tutti i polacchi con un ruolo pubblico di ammettere per iscritto qualunque forma di collaborazione con il regime comunista.
Qui sotto trovate il widget per sentire direttamente la nostra chiacchierata. Se invece voleste fare il download del file (e magari mandarmi la vostra selezione dei passi interessanti) allora dovete andare direttamente sul sito di esnips entrando con il vostro account (altrimenti non potete fare il download, ma solo lo streaming). Se non avete un account non dovete far altro che aprirne uno. Si trova un sacco di roba su questo sito. E finora io problemi non ne ho avuti.
Paolo tiene aggiornato un sito su tutto quel che riguarda la Polonia ed è attivamente coinvolto nel progetto di Pl.it - rassegna italiana di argomenti polacchi, una rivista corposa di cui è uscito da poco il primo numero (annuale).
La settimana scorsa abbiamo avuto modo di incontrarci e gli ho chiesto un po' di cose sull'attuale situazione polacca, attratto un po' morbosamente dalla fama di "cattivi" che sempre più nitidamente circonda i fratelli Kaczynski (uno presidente, l'altro primo ministro) e dalla polemica sollevata da Bronislaw Geremek dopo la sua decisione di non firmare la Lustracja, la legge che impone praticamente a tutti i polacchi con un ruolo pubblico di ammettere per iscritto qualunque forma di collaborazione con il regime comunista.
Qui sotto trovate il widget per sentire direttamente la nostra chiacchierata. Se invece voleste fare il download del file (e magari mandarmi la vostra selezione dei passi interessanti) allora dovete andare direttamente sul sito di esnips entrando con il vostro account (altrimenti non potete fare il download, ma solo lo streaming). Se non avete un account non dovete far altro che aprirne uno. Si trova un sacco di roba su questo sito. E finora io problemi non ne ho avuti.
PaoloMorawski11mag... |
Promemoria
A proposito del rifiuto da parte delle ambasciate dell' UE di partecipare alla festa israeliana per i quarant'anni dall' "unificazione" di Gerusalemme, ho letto sul CdS di oggi una nota interessante di Benny Morris. Interessante proprio perché la cosa sembrava decisamente fuori discussione: che gli Europei festeggiassero l'annessione militare di una città non sembra francamente né plausibile né auspicabile.
Eppure nel pezzo di Morris ho trovato due dettagli storici (il primo l'avevo dimenticato, l'altro proprio non lo sapevo) che forse un po' da pensare ce lo lasciano.
1. La risoluzione del 1948 che stabilì la nascita di Israele sui territori del Protettorato Britannico riconosceva esplicitamente lo statuto internazionale di Gerusalemme e Betlemme, che non avrebbero dovuto essere incluse né in Israele, né in Palestina, ma avrebbero goduto lo status di città sotto l'egida della comunità internazionale. Gli israeliani accettarono questo punto. Fu il rifiuto arabo (ovviamente di tutta la risoluzione delle Nazioni Unite) a provocare la spaccatura della città.
2. Dal 1948 al 1967, cioè fin quando Gerusalemme rimase divisa tra Israele e Giordania, mentre chiunque aveva accesso ai luoghi sacri della parte occidentale (in mano israeliana), anche gli arabi egiziani o giordani (formalmente in guerra con Israele), nessun ebreo israeliano poteva accedere alla città orientale. Inotre la Giordania, nello stesso periodo, distrusse il quartiere ebraico della Città Vecchia, incluse le sinagoghe.
Come ultima cosa (ma questa dovrebbero saperla tutti) l'occupazione di Gerusalemme Est fu una conseguenza dei bombardamenti giordani mentre Israele era in guerra sul Sinai con l'Egitto, e si configura politicamente come un caso di legittima difesa (anche se ovviamente non lo è legamente il mantenimento di quella occupazione).
Eppure nel pezzo di Morris ho trovato due dettagli storici (il primo l'avevo dimenticato, l'altro proprio non lo sapevo) che forse un po' da pensare ce lo lasciano.
1. La risoluzione del 1948 che stabilì la nascita di Israele sui territori del Protettorato Britannico riconosceva esplicitamente lo statuto internazionale di Gerusalemme e Betlemme, che non avrebbero dovuto essere incluse né in Israele, né in Palestina, ma avrebbero goduto lo status di città sotto l'egida della comunità internazionale. Gli israeliani accettarono questo punto. Fu il rifiuto arabo (ovviamente di tutta la risoluzione delle Nazioni Unite) a provocare la spaccatura della città.
2. Dal 1948 al 1967, cioè fin quando Gerusalemme rimase divisa tra Israele e Giordania, mentre chiunque aveva accesso ai luoghi sacri della parte occidentale (in mano israeliana), anche gli arabi egiziani o giordani (formalmente in guerra con Israele), nessun ebreo israeliano poteva accedere alla città orientale. Inotre la Giordania, nello stesso periodo, distrusse il quartiere ebraico della Città Vecchia, incluse le sinagoghe.
Come ultima cosa (ma questa dovrebbero saperla tutti) l'occupazione di Gerusalemme Est fu una conseguenza dei bombardamenti giordani mentre Israele era in guerra sul Sinai con l'Egitto, e si configura politicamente come un caso di legittima difesa (anche se ovviamente non lo è legamente il mantenimento di quella occupazione).
lunedì 7 maggio 2007
Dettagli (quel che conta è lo stile)
Ho la fortuna di collaborare con Massimo Agostini, un valente impaginatore romano che ha fortuna di condividere lo studio con la Fondazione Capograssi, che si trova in un bel palazzetto di inizio Novecento in via Savoia (per chi non conosce Roma, sta tra la Salaria e la Nomentana, una delle zone più eleganti della città). Sabato mattina sono dovuto passare a ritirare un bozza che non avevamo fatto in tempo a chiudere per venerdì e quindi con Rebecca ci siamo mossi di buona lena. Il mio amico Marko, che è venuto a trovarmi da Lubiana per qualche giorno, mi ha prestato la macchina (minacciava pioggia, altrimenti saremmo andati con il nostro fido motorino Liberty Piaggio, che Rebecca preferisce di gran lunga alle automobili, ma questa la racconto un’altra volta) e siamo partiti da casa verso le dieci.
Ero contento di far vedere a Rebecca il posto dove “facciamo i libri”: ogni tanto trova per casa grosse pile di fogli stampati che somigliano stranamente a un libro senza esserlo, e poi le faccio vedere le copie stampate e le confrontiamo con le bozze. Era quindi la prima volta che Rebecca aveva l’opportunità di vedere il lungo tavolo di legno scuro con i McIntosh allineati, le stanze stracolme di libri frutto del lavoro di Massimo ma anche (i più) parte della biblioteca della Fondazione. Anche il “passaggio segreto” (una porta a forma di libreria d’angolo) ha ricevuto apprezzamenti, ma la cosa che l’ha veramente estasiata è stata un dettaglio che non avevo mai preso in considerazione (e vado da Massimo da diversi anni).
All’ingresso del palazzo aveva subito ammirato la porta dell’ascensore in ferro battuto, ammirazione che era diventava quasi sconcerto vedendo scendere la cabina tutta in legno, con le porticine ad anta da aprire e richiudere con delicatezza. Ma è stato il divanetto in pelle rosso scuro, bombato e borchiato, che l’ha lasciata veramente estasiata. All’andata ci si è seduta indossando un’espressione da regina al momento dell’incoronazione, e al ritorno ha preteso che mi sedessi al suo fianco, come fossi il principe consorte.
È incredibile come facilmente ci dimentichiamo che le differenze di classe si infilano dappertutto, nei nostri corpi come negli oggetti di cui ci circondiamo, in un modo così consueto, così ordinario, che abbiamo bisogno dello sguardo vergine di una bambina per ricordaci tutta la forza morale di quelle differenze.
Ero contento di far vedere a Rebecca il posto dove “facciamo i libri”: ogni tanto trova per casa grosse pile di fogli stampati che somigliano stranamente a un libro senza esserlo, e poi le faccio vedere le copie stampate e le confrontiamo con le bozze. Era quindi la prima volta che Rebecca aveva l’opportunità di vedere il lungo tavolo di legno scuro con i McIntosh allineati, le stanze stracolme di libri frutto del lavoro di Massimo ma anche (i più) parte della biblioteca della Fondazione. Anche il “passaggio segreto” (una porta a forma di libreria d’angolo) ha ricevuto apprezzamenti, ma la cosa che l’ha veramente estasiata è stata un dettaglio che non avevo mai preso in considerazione (e vado da Massimo da diversi anni).
All’ingresso del palazzo aveva subito ammirato la porta dell’ascensore in ferro battuto, ammirazione che era diventava quasi sconcerto vedendo scendere la cabina tutta in legno, con le porticine ad anta da aprire e richiudere con delicatezza. Ma è stato il divanetto in pelle rosso scuro, bombato e borchiato, che l’ha lasciata veramente estasiata. All’andata ci si è seduta indossando un’espressione da regina al momento dell’incoronazione, e al ritorno ha preteso che mi sedessi al suo fianco, come fossi il principe consorte.
È incredibile come facilmente ci dimentichiamo che le differenze di classe si infilano dappertutto, nei nostri corpi come negli oggetti di cui ci circondiamo, in un modo così consueto, così ordinario, che abbiamo bisogno dello sguardo vergine di una bambina per ricordaci tutta la forza morale di quelle differenze.
martedì 1 maggio 2007
Me paro che so’ io (o della rilevanza del paratesto)
Rebecca, cinque anni, mi chiede di vedere un dvd. Contrattiamo un Monster House che non conosco ma di cui mi fido perché sta nel settore “ragazzi” della videoteca di cui abbiamo la tessera.
A casa ci mettiamo a guardare il film io, Rebecca e Valeria.
Vale chiede se vogliamo accendere una luce e Rebecca dice una frase che al momento non capiamo:
– Sì, accendi la luce, sennò me paro che so’ io!
A parte il fatto che ormai il suo accento rivela marcatamente dove stiamo (Roma est: tra Torpignattara dove sta con la madre, Centocelle dove sta con me, e Pietralata dove stiamo con Valeria…), mi viene il sospetto che Rebecca stia facendo riferimento al suo posizionamento rispetto al contenuto del film.
– Amore che vuol dire me paro che so’ io?
– Che so’ io nel film se non c’è la luce. Se non vedo il televisore me pare che ce sto io dentro al film e me metto paura.
Poi si struscerà comunque ben bene durante le scene in cui la casa prende vita (il film è proprio ben fatto. Il motion capture rende i personaggi stranamente realistici, soprattutto nelle espressioni e nelle posture, cosa che stride piacevolmente con le loro forme vagamente esagerate, fumettistiche; alcuni dialoghi sono fulminanti; la baby sitter è un incubo se avete figli, uno spasso se invece avete la sua età e fate il suo lavoro) ma trovo impressionante che a cinque anni i bambini sappiano già controllare il contesto della loro fruizione estetica. Rebecca con quella frase strampalata ci stava dicendo che il paratesto è una dimensione essenziale della fruizione, non un semplice contenitore.
A casa ci mettiamo a guardare il film io, Rebecca e Valeria.
Vale chiede se vogliamo accendere una luce e Rebecca dice una frase che al momento non capiamo:
– Sì, accendi la luce, sennò me paro che so’ io!
A parte il fatto che ormai il suo accento rivela marcatamente dove stiamo (Roma est: tra Torpignattara dove sta con la madre, Centocelle dove sta con me, e Pietralata dove stiamo con Valeria…), mi viene il sospetto che Rebecca stia facendo riferimento al suo posizionamento rispetto al contenuto del film.
– Amore che vuol dire me paro che so’ io?
– Che so’ io nel film se non c’è la luce. Se non vedo il televisore me pare che ce sto io dentro al film e me metto paura.
Poi si struscerà comunque ben bene durante le scene in cui la casa prende vita (il film è proprio ben fatto. Il motion capture rende i personaggi stranamente realistici, soprattutto nelle espressioni e nelle posture, cosa che stride piacevolmente con le loro forme vagamente esagerate, fumettistiche; alcuni dialoghi sono fulminanti; la baby sitter è un incubo se avete figli, uno spasso se invece avete la sua età e fate il suo lavoro) ma trovo impressionante che a cinque anni i bambini sappiano già controllare il contesto della loro fruizione estetica. Rebecca con quella frase strampalata ci stava dicendo che il paratesto è una dimensione essenziale della fruizione, non un semplice contenitore.