Ho la fortuna di collaborare con Massimo Agostini, un valente impaginatore romano che ha fortuna di condividere lo studio con la Fondazione Capograssi, che si trova in un bel palazzetto di inizio Novecento in via Savoia (per chi non conosce Roma, sta tra la Salaria e la Nomentana, una delle zone più eleganti della città). Sabato mattina sono dovuto passare a ritirare un bozza che non avevamo fatto in tempo a chiudere per venerdì e quindi con Rebecca ci siamo mossi di buona lena. Il mio amico Marko, che è venuto a trovarmi da Lubiana per qualche giorno, mi ha prestato la macchina (minacciava pioggia, altrimenti saremmo andati con il nostro fido motorino Liberty Piaggio, che Rebecca preferisce di gran lunga alle automobili, ma questa la racconto un’altra volta) e siamo partiti da casa verso le dieci.
Ero contento di far vedere a Rebecca il posto dove “facciamo i libri”: ogni tanto trova per casa grosse pile di fogli stampati che somigliano stranamente a un libro senza esserlo, e poi le faccio vedere le copie stampate e le confrontiamo con le bozze. Era quindi la prima volta che Rebecca aveva l’opportunità di vedere il lungo tavolo di legno scuro con i McIntosh allineati, le stanze stracolme di libri frutto del lavoro di Massimo ma anche (i più) parte della biblioteca della Fondazione. Anche il “passaggio segreto” (una porta a forma di libreria d’angolo) ha ricevuto apprezzamenti, ma la cosa che l’ha veramente estasiata è stata un dettaglio che non avevo mai preso in considerazione (e vado da Massimo da diversi anni).
All’ingresso del palazzo aveva subito ammirato la porta dell’ascensore in ferro battuto, ammirazione che era diventava quasi sconcerto vedendo scendere la cabina tutta in legno, con le porticine ad anta da aprire e richiudere con delicatezza. Ma è stato il divanetto in pelle rosso scuro, bombato e borchiato, che l’ha lasciata veramente estasiata. All’andata ci si è seduta indossando un’espressione da regina al momento dell’incoronazione, e al ritorno ha preteso che mi sedessi al suo fianco, come fossi il principe consorte.
È incredibile come facilmente ci dimentichiamo che le differenze di classe si infilano dappertutto, nei nostri corpi come negli oggetti di cui ci circondiamo, in un modo così consueto, così ordinario, che abbiamo bisogno dello sguardo vergine di una bambina per ricordaci tutta la forza morale di quelle differenze.