Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
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mercoledì 15 luglio 2009
Spalare la neve assieme a Buddha (poesia di Billy Collins)
Dopo un bel po', riprendo a tradurre una poesia di Billy Collins (che non ho mai smesso di ascoltare in mp3).
Adoro questa poesia perché dentro ci trovo tantissime cose, sempre diverse e sempre mie.
C’è ovviamente il fascino dell’intellettuale per l’uomo di fatica, che non ha bisogno di parlare per essere se stesso, e lo sgomento di scoprire che questa fascinazione è comunque mediata dal linguaggio, e quindi ci allontana proprio dall’oggetto da cui saremmo attratti.
C’è il conflitto di classe che sembra quasi prendere una sua sana sintesi, solo per scoprire che è sempre un atto del borghese, quello di pacificarsi con il proletario. Il proletario non ne ha bisogno, lui certo non si sente in colpa.
C’è la religiosità dei laici, di chi vorrebbe che ogni tanto il mondo avesse un senso di suo, e che non fossimo sempre costretti a darglielo noi.
C’è che parlo troppo. E allora leggete.
Shoveling Snow With Buddha
In the usual iconography of the temple or the local Wok
you would never see him doing such a thing,
tossing the dry snow over a mountain
of his bare, round shoulder,
his hair tied in a knot,
a model of concentration.
Sitting is more his speed, if that is the word
for what he does, or does not do.
Even the season is wrong for him.
In all his manifestations, is it not warm or slightly humid?
Is this not implied by his serene expression,
that smile so wide it wraps itself around the waist of the universe?
But here we are, working our way down the driveway,
one shovelful at a time.
We toss the light powder into the clear air.
We feel the cold mist on our faces.
And with every heave we disappear
and become lost to each other
in these sudden clouds of our own making,
these fountain-bursts of snow.
This is so much better than a sermon in church,
I say out loud, but Buddha keeps on shoveling.
This is the true religion, the religion of snow,
and sunlight and winter geese barking in the sky,
I say, but he is too busy to hear me.
He has thrown himself into shoveling snow
as if it were the purpose of existence,
as if the sign of a perfect life were a clear driveway
you could back the car down easily
and drive off into the vanities of the world
with a broken heater fan and a song on the radio.
All morning long we work side by side,
me with my commentary
and he inside his generous pocket of silence,
until the hour is nearly noon
and the snow is piled high all around us;
then, I hear him speak.
After this, he asks,
can we go inside and play cards?
Certainly, I reply, and I will heat some milk
and bring cups of hot chocolate to the table
while you shuffle the deck.
and our boots stand dripping by the door.
Aaah, says the Buddha, lifting his eyes
and leaning for a moment on his shovel
before he drives the thin blade again
deep into the glittering white snow.
Spalare la neve assieme al Buddha
Nell’ordinaria iconografia del tempio o sul Wok locale
mai lo vedresti fare una cosa del genere,
gettare la neve farinosa oltre la montagna
stondata della sua spalla nuda,
i capelli raccolti in una crocchia,
un modello di concentrazione.
Seduto è più appropriata come attività per lui, se questa è la parola
per quello che fa, o che non fa.
Anche la stagione non è proprio la sua.
In tutte le sue manifestazioni, infatti, fa caldo ed è umido
come si capisce dalla sua espressione serena,
quel sorriso così ampio da avvolgersi ai fianchi dell’universo.
Eppure eccoci, mentre ci facciamo strada davanti al garage,
un colpo di pala alla volta.
Gettiamo la neve sottile come polvere nell’aria chiara.
Sentiamo sul viso il freddo dell’umidità.
E ad ogni spinta scompariamo
e ci perdiamo l’un l’altro
in queste rapide nubi che facciamo da noi,
questi spruzzi di fontana di neve.
Non c’è confronto con una predica in chiesa,
dico ad alta voce, ma Buddha continua a spalare.
Questa è la vera religione, la religione della neve,
del sole e delle anatre invernali che abbaiano in cielo,
dico, ma lui è troppo indaffarato per sentirmi.
È tutto intento a spalare la neve
come se questo fosse lo scopo della sua esistenza,
come se il segnale di una vita perfetta fosse un vialetto pulito
dove fare facilmente retromarcia con l’auto
per guidare attraverso le vanità del mondo
con il riscaldamento che non funziona e una canzone alla radio.
Tutto il mattino lavoriamo fianco a fianco,
io con le mie annotazioni,
lui infilato nella sua ampia tasca di silenzio,
finché si fa quasi mezzogiorno
e la neve è accumulata tutto attorno a noi;
allora, lo sento parlare.
Dopo, domanda,
possiamo entrare in casa e giocare a carte?
Certo, rispondo, e scalderò del latte
e metterò in tavola tazze di cioccolata calda
mentre tu mescoli le carte
e i nostri stivali staranno sulla porta a sgocciolare.
Aaah, dice il Buddha, alzando gli occhi
e appoggiandosi per un momento alla sua pala
prima di infilare di nuovo la lama sottile
a fondo nello scintillio della neve bianca.