Non è facile raccontare uno stato d’animo quando questo si mischia con una molteplice responsabilità, ma vorrei provare comunque a riferire la mia gioia per un
evento di cui sono stato promotore, grazie alla sollecitazione amichevole e allo sforzo indispensabile degli amici di
Tawasul Europe,
Sabrina Lei e
Abdel Latif Chalikandi.
L’incontro con Jasser Auda di
venerdì 20 novembre è andato bene, per dirla senza giri di parole. Speravo in una buona partecipazione e aver dovuto richiedere l’
aula Moscati perché l’
aula Massimo Rosati non bastava è stato il segno più evidente della grande attenzione che l’incontro ha attratto. Dico solo che non era scontato, che era venerdì, giorno pestifero per gli atenei, ma la presenza di così
tanti studenti per me è stata un’ulteriore prova che il nostro
compito (non ruolo, per cortesia, compito) di
insegnanti non è un’offerta che cala nel vuoto, ma sorge da una richiesta vera. Le giovani e i giovani vengono all’università non solo per conquistarsi un titolo di studio, per poter migliorare le loro chance di
successo in un sistema del lavoro sempre più fragile e spietato, ma anche perché hanno bisogno di formarsi, di
costruirsi come persone, come adulti maturi ma non incancreniti nella rigidezza di una forma di vita costretta dalla necessità e dall’inerzia. Vengono all’università per
imparare un sacco di cose a prima vista “inutili” - nella patetica (e orribile) metafora quantitativa dei
debiti e crediti - ma sentite invece come fondamentali nella
qualità e nel
senso delle loro vite.
Hanno ascoltato una lezione importante, oltre che
sorprendente, e qui mi riferisco ai contenuti di quel che ha detto
Jasser Auda. Il senso per noi è stato chiaro, direi: non possiamo ridurre l’
alterità all’immagine che la sua parte più appariscente e brutale pretende di imporci e che coincide poi con quella che il nostro
sistema di alterizzazione ha anche contribuito a produrre. Nel mondo islamico c’è una
varietà tale che si avvicina (per il nostro occhio assuefatto alla strutturazione
gerarchica del pensiero e di quelle sue espressioni sedimentate che chiamiamo
istituzioni) al
caos. Ma dentro quel caos, come ci ha insegnato Jasser Auda, si sono depositate
conformazioni cristalline di una
bellezza perturbante. Mettersi in
ascolto, dare credito alla
complessità, accettare banalmente di “cambiare parere” è per noi una conquista, un lento obiettivo che si consolida nell’abitudine, nello
studio, nella pazienza di non sbraitare con “i fatti, vogliamo i fatti”, ma di riprendere ad appoggiarci alla stupenda
utilità dell’
otium studiorum. Dentro l’Islam c’è tanto da imparare, insomma, ma tocca impararlo. Fosse stato questo il raggiungimento della nostra giornata, avrei comunque toccato il mio obiettivo di “
maestro” (è un termine che non disdegno, e non relego nel disprezzo per “quello elementare” o nell’inarrivabilità del santone, e che tengo caro come etimo, colui che sa di essere in posizione
superiore ai discenti, ma considera questa posizione una
responsabilità nella trasmissione del sapere, non una fonte di privilegio).
Ma l’ultima ora del nostro incontro ha dato un
tono ulteriore a tutta la giornata, e di questo sono fermamente convinto. Trenta persone hanno portato da
mangiare e da
bere, si sono impegnate a rendere confortevole il
rifocillarsi dei nostri ospiti in un clima tutto imbevuto dell’economia della
reciprocità e del
dono. Posso confermare che Jasser è rimasto molto impressionato dalle
domande che gli sono state rivolte sia durante la presentazione, sia durante il pranzo, e ha molto apprezzato la capacità delle
studentesse e degli
studenti di vivere gli spazi di Tor Vergata come “i loro spazi”, memori che per essere ospitali, per far sentire l’ospite “a casa”, bisogna preliminarmente
sentirsi a casa.
Lo
studio come otium, lavoro impegnativo e remunerativo solo se si ha un piano di lungo periodo; l’
alterità come complessità, vale a dire come l’opposto di come spesso siamo istruiti a vederla; la
condivisione come reciprocità, cioè l’impegno ad incontrare l’altro oltre le piccolezze della convenienza immediata. Abbiamo imparato
tre cose, e non abbiamo guadagnato neanche un
credito. È stata una giornata magnifica.