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martedì 16 marzo 2010

Abbiamo scelto la parola

Questo me l'ha mandato Michela di Action-A, dopo che ci siamo visti al Lucha y Siesta. Per me è bellissimo.
pv 
L’8 marzo 2008 abbiamo varcato il cancello della casa, dalla strada trafficata di via Lucio Sestio  non si scorgeva ancora molto, bisognava percorrere il vialetto alberato per vedere la palazzina arancione in fondo allo slargo, due piani a prima vista con un grande giardino che la cingeva intorno, nel quale nascosta in un angolo avremmo scoperto una bella fontana, vicino all’orto. In breve brevissimo tempo molte hanno invaso il giardino, bisognava subito darsi da fare, non perdere tempo, muoversi e cominciare a comunicare, prima di tutto con le forze dell’ordine che, con sorprendente incompetenza, avevano deciso di creare scompiglio trascinando via una di noi in commissariato.
Il megafono chiamò tutte quelle che sarebbero rimaste più a lungo e molte altre diedero una mano in quello che da subito sembrava essere una grande opera di pulizia, organizzazione e ripristino dei locali. La permanenza quotidiana di tutti quei piccioni aveva reso gli spazi sporchi e aveva confermato lo stato di abbandono nel quale la palazzina, edificio storico degli anni 20 conosciuto nel quartiere come Sottostazione Cecafumo, era stata lasciata dalla proprietà la Società dei trasporti pubblici di Roma Atac s.p.a. e dall’Amministrazione comunale. La scoperta dello stabile fu emozionante, nessuna stanza era uguale all’altra poi  la vista della terrazza dopo lo stanzone che si apriva lungo tutto il primo piano,  ci faceva immaginare le iniziative e le chiacchierate che di lì a poco sarebbero arrivate.
La via Tuscolana rimaneva al di là della schiera dei palazzi che ripara dal contatto diretto con la folla, bisogna cercarla bene con gli occhi la casa, che più piccola in altezza rimane quasi a guardare i balconi che la sovrastano….e  pensare che un muro laterale ancora conserva la placca con il numero civico, ultima memoria di un quartiere irriconoscibile .   
Dividersi in gruppi di lavoro e individuare uno spazio che sarebbe diventato il primo nucleo nel quale per diversi giorni tutte avrebbero dormito e mangiato, si trattava di cercare  una  dimensione comune che permettesse ad ognuna di conciliare le proprie faccende quotidiane con la novità . Se avevano deciso di rompere per scelta o per necessità  con un qualcosa di doloroso, vecchio, sofferente, fastidioso, bisognava che ognuna fosse disposta a scendere a compromessi a formulare nuove parole. Muovevamo i primi passi verso una dimensione comune, per dare a ciascuna la possibilità di riformulare una vita tranquilla.
L’apparenza non nascondeva quanto poco si trattasse di dividere uno spazio pratico per aprire il sacco a pelo o altro, toccava piuttosto dosare la pazienza, raccogliere le proprie forze e rendersi disponibile al dialogo continuo. Bisognava in sostanza creare un’ area intangibile nella quale sviluppare pratiche condivise con il fine di stare meglio. Con l’intento di aprire verso l’esterno un centro di attenzione che in maniera nuova e spontanea parlasse di noi, l’abbiamo voluta chiamare anche Casa delle Donne non come oggetto di cronaca nè come pretesto per politiche securitarie a tutt’altro mirate , cercavamo il filo di un ragionamento che l’ultimo periodo aveva portato all’attenzione di tutti.
Certo è che i fatti di cronaca non si sarebbero fermati di fronte all’autorganizzazione femminile che la sicurezza non sarebbe venuta di lì a poco, che la violenza nelle case e nelle strade non avrebbe avuto paura di noi. Ma altrettanto forte era il sentore , l’istinto se vogliamo , che creare un presidio territoriale fosse una reazione adatta, la giusta causa intorno alla quale cercare il senso del fare politica al femminile. Siamo consapevoli che adottare a Lucha y Siesta le pratiche di autogestione che molte di noi già conoscevano, forse non rendendosi conto di quanto invece fosse un contesto nuovo, una sperimentazione che poco aveva a che fare con le esperienze portate avanti al di fuori da ciascuna, ci ha fatto commettere degli errori. Non abbiamo alcun modello teorico da applicare questo è certo .
Alcune hanno scelto o sono state costrette dalle contingenze a non continuare, a fermarsi per guardare altrove, alcune per rabbia sono andate via mentre altre per la stessa rabbia sono rimaste,
modi diversi di scegliere le proprie pratiche . Altre ci hanno conosciuto dopo l’8 marzo del 08 e sono rimaste, diventando parte integrante del corpo Lucha y Siesta, diventando parti di una realtà dinamica  che (ci) attira e (ci) respinge, una tensione corporea fatta di domande, rabbia, determinazione e stanchezza, paura ed emozione .
L’idea che ha preso corpo a Lucha y Siesta non si è mai alimentata di separatismo inteso come volontà politica di un’entità di separarsi da un’altra , si è trattato di riprendersi uno spazio e decidere di destinarlo ad una socialità rivolta a tutti, promossa dalle donne immigrate, precarie, studentesse, mamme e artiste. Questo abbiamo festeggiato nel week –end del 7 e 8 marzo 2010, l’apertura di uno spazio attraversato e partecipato da molti che hanno voluto dare il loro contributo; grazie ad Erika e Diana per il contributo artistico, ad Alessandro e Piero per gli importanti spunti di riflessione a Cecilia per averci portato la sua esperienza, a tutte le occupanti, alle compagne , a color@ che sono passati a festeggiare. Il percorso intrapreso da Lucha y Siesta e dal collettivo politico Action_A, che qui si alimenta, è aperto a tutt@ coloro vogliano incrociarci e mettere a disposizione forze ed idee.   
 
Michela
Action_A – in Lucha y Siesta
 
Marzo 2010