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lunedì 19 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 05 del 14 ottobre 2020: La forma simbolica del culturale

 


Abbiamo visto il pregiudizio della omogeneità interna e della separatezza delle culture e in questa lezione abbiamo cercato di capire da dove venga quel pregiudizio. Ci sono delle motivazioni di ordine cognitivo, e altre di ordine politico. In questa lezione abbiamo solo le prime, lasciando le motivazioni politiche a una prossima lezione. 
Il pregiudizio (o bias, ogni tanto dico) cognitivo dipende dal fatto che abbiamo bisogno di categorie dove "incasellare" la fantasmagorica complessità del reale percepito, ma queste categorie non sono affatto innate, o lo sono per grandi contrapposizioni (animato/inanimato, per esempio, che possiamo elaborare già verso i 6 mesi) e non ci consentono quelle sottigliezze necessarie nella vita associata. In pratica, impariamo gran parte delle etichette o categorie con cui riduciamo la complessità ingestibile del reale e ci mettiamo anche un po' ad impararle, come dimostra questo video:


Per non essere sopraffatti dalle occorrenze del reale (dalle carte che il mondo ci fa vedere, con tutte le figure) dobbiamo imparare presto a inscatolarle in etichette. Le etichette si possono chiamare types, le occorrenze tokens, ma il senso è quello indicato. Senza etichette possiamo contare le occorrenze solo fino a un certo punto, oltre il quale ci perdiamo e veniamo semplicemente travolti. In questo video una definizione di Type e di Token:

Quindi come animali abbiamo bisogno di scatole, etichette o categorie, ma proprio perché non le possediamo incorporate nei geni, quei types possono e debbono essere in gran parte appresi.
La Realtà è lì, inossidabile, ma Kant ha ragione quando ci dice che è inconoscibile direttamente (noumeno) mentre può essere afferrata solo dentro le categorie.
Senza entrare in polemica con Kant, diciamo che a fianco di alcune generali e universali categorie per conoscere il mondo gli esseri umani hanno bisogno anche di categorie più specifiche (quali labbra femminili siano belle e quali invece considerate volgari) e questo livello di categorizzazione dipende dalla cultura cui apparteniamo.
Creare categorie significa trovare le somiglianze e le differenze e dare RILEVANZA ad alcune e considerare IRRILEVANTI altre. NON c'è nella realtà alcuna ragione intrinseca per cui alcune somiglianze o alcune differenze siano rilevanti, dato che la RILEVANZA è un giudizio esercitato dagli esseri umani, non è una qualità della realtà. La realtà certo che ha qualità intrinseche (forma, colore, peso, attrattiva, ecc.) ma la rilevanza di alcune qualità e non di altre è una decisione umana, e gli uomini sembrano in grado di decidere molto diversamente rispetto alla rilevanza, a seconda dello spazio e del tempo in cui si collocano per quel loro giudizio.
Il racconto di Borges su Funes, o della memoria, è un buon esempio di quel che succede se si perde la possibilità di raccogliere il percepito in categorie ma si mantiene il ricordo del percepito.
Applicata alle relazioni umane, questa necessità delle categorie produce l'opposizione Noi/Loro che categorizza prima di tutto coloro con cui posso avere un rapporto cooperativo (il Noi) per distinguerli chiaramente da gli Altri, con cui invece dovrei pensarmi in relazione competitiva. NON c'è alcuna base biologica per stabilire dove si pone "naturalmente" questo confine (vedremo nelle lezioni sulla parentela che proprio i "legami di sangue" sono un modo con cui molte culture si illudono di poter stabilire almeno un confine iniziale di questo tipo) ma intanto anticipiamo che il Nazionalismo è il sistema politico che porta alla perfezione questa contrapposizione necessaria tra categorie di persone.

Una volta apprese, le categorie funzionano al punto che ci possiamo ficcare dentro anche "cose" che in sé non hanno ragione di starci, come dimostra la bellissima poesia di Fosco Maraini, letta da Gigi Proietti
E' un testo "senza senso" ma riusciamo a capire tantissimo, proprio perché utilizziamo categorie che già abbiamo per ficcarci dentro quel nonsense.
Se non parlassimo italiano, il Lonfo non avrebbe senso. Anche le parole senza senso le ficchiamo dentro qualche categoria. Come quando vediamo nelle nuvole dei volti, o degli oggetti (pareidolia). NON sono nelle nuvole, ma sono nelle categorie che abbiamo acquisito e dentro cui forziamo quel che vediamo. Questo aspetto cognitivo è stato studiato dagli psicologi ma quasi solo per gli aspetti strettamente percettivi (forme e colori) ma dobbiamo capire vale a che per i giudizi morali o estetici: una volta elaborate, alcune categorie si radicano in profondità e le utilizziamo anche per includere aspetti del reale che non erano originariamente concepiti in quella categorizzazione (Robert Sapolsky lavora su questi temi, ma non ci sono traduzioni italiane delle sue riflessioni si questi temi, o almeno io non le conosco).
Questa capacità di produrre senso, quando non è socialmente condivisa può produrre il "delirio", la fine della significazione come comunicazione. Ora, c'è una disputa tra filosofi del linguaggio per stabilire se il linguaggio sia prima COMUNICAZIONE (quindi presupponga l'altro) o sia ESPRESSIONE (per portare fuori quel che si ha dentro) e non intendo prendere posizione in proposito. Mi basta dire che il linguaggio è sempre tutte e due le cose, e quando perde la sua dimensione CONDIVISA diventa facilmente ALIENAZIONE.
Questo significa collegare la cultura come sistema categorizzante al POTERE di esercitare quella funzione. NON tutti hanno la stessa voce nello stabilire quale sia il senso di quell'aspetto culturale. Il tè è diventato comune in Inghilterra perché era una regina a consumarlo e le donne nobili l'hanno imitata, presto imitate dalle borghesi e giù nella scala sociale. Ci sono diverse teorie in questo senso (penso ad esempio alla Teoria della classe agiata di Veblen) ma quel che conta è che ci imitiamo tra gruppi e sottogruppi e spesso capita che siano quelli che dispongono le quantità maggiori di diverse forme di POTERE (economico, di prestigio, politico) a fare da modelli e a stabilire quali siano i "giusti" (dentro quella cultura) significati da attribuire a determinati segni.

Avere un quadro categoriale è quindi necessario, non possiamo farne a meno. Ma una volta che lo abbiamo incorporato, da un lato ci consente di non dubitare tutto il tempo per ogni cosa, ma dall'altro rischia di farci "perdere di vista" aspetti del reale che NON ABBIAMO NOTATO perché eravamo intenti a categorizzare altro:
Il video "Awareness test" serviva a farci capire questo punto.

I FAP (Fixed Action Patterns) sono necessari agli umani come a qualunque altro essere vivente. Ma mentre gli altri animali si basano su FAP innati, noi dobbiamo APPRENDERLI e una volta appresi, li sentiamo nostri come fossero innati. Come il nostro modo di parlare.

-EMIC -ETIC
Quando studio quindi un gruppo sociale, posso insistere sulle mie categorie di analisi oppure posso cercare di ricostruire le categorie utilizzate dal mio interlocutore (singolo o gruppo). L'antropologia è la ricerca del livello -emic.
(Il casino è che quel che chiamiamo -etic è spesso l'-emic di chi parla, ma non voglio scatenare il panico e quindi soprassediamo, anche se è evidente per tutti che un punto di vista "oggettivo" sul reale semplicemente è un'illusione, perché quello a cui puntiamo è sempre un livello inter-soggettivo, e il problema diventa a quel punto quanto ampio debba essere quell'-inter per poterlo attribuire al genere umano e non a un suo specifico sottogruppo.)
Abbiamo insistito molto su questa differenza, perché è essenziale per capire la nostra disciplina. Come si giunge a capire questo punto di vista -emic?
E' la INTERPRETAZIONE il punto di svolta.
Per cogliere il punto di vista dell'altro dobbiamo pensarci come i protagonisti di Flatlandia.
Abbiamo poi introdotto altri concetti essenziali.
SEGNO  come unione arbitraria di SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Abbiamo detto della natura MATERIALE del significante.
Abbiamo chiuso anticipando la doppia teoria del significato: Teoria referenziale vs Teorie dell'Uso.