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domenica 2 maggio 2021

Le budella di Craxi e il pelo sullo stomaco di Facci


Un paio d’anni fa mi cerca Filippo Facci e mi chiede se è mio un testo comparso nel 2003 sul blog collettivo Nazione Indiana. Il testo è mio, certo, e mi chiede che ne penso oggi, a molti anni di distanza. Gli dico che non mi riconosco più nel linguaggio sopra le righe che ho utilizzato, ma che l’idea di fondo è per me rimasta la stessa, e mi trovo a riassumerla qui visto che Facci sta utilizzando quelle mie parole per creare scalpore attorno al suo libro (che, suppongo, dev’essere veramente modesto quanto a contenuti, se è costretto a proporre come scoop un testo che circola da diciotto anni esatti).

Era il 2003, vale a dire erano passati dieci anni dalle “monetine del Raphael” contro Craxi e pensando a quegli eventi di dieci anni prima li collegavo alla situazione in corso nel paese. Nel 2003 eravamo nel pieno del Berlusconi II, e di nuovo (come nel 1994) tutto sembrava indicare una voglia di normalità e normalizzazione. Forza Italia aveva fatto cappotto, ma Alleanza Nazionale aveva nel governo 4 ministri e 14 sottosegretari, la Lega Nord 3 ministri e 6 sottosegretari, più l’usuale sottobosco dei rimasugli pentapartitici della prima repubblica.

Del resto, Berlusconi era andato di nuovo al potere promettendo non solo uno splendido avvenire per l’Italia, ma una sorta di pace sociale in nome dell’anticomunismo come sentimento popolare.

Questo contesto di finzione sociale mi fece vedere “le monetine” del Rapahel per quello che erano state: non un gesto di rivolta contro il Potere, ma piuttosto l’ennesimo attacco di lagnite nazionale. Mani Pulite, si era presentata (almeno per alcuni, tra cui, confesso, c’ero anch’io) come un progetto di rinnovamento radicale ma si era rivelata, ormai ad anni di distanza, come un bieco tentativo giustificazionista dell’indignazione come sentimento a buon mercato, che aveva individuato ne “i politici” la causa del malessere nazionale.

Il testo del 2003 è stato quindi la mia presa di distanza da quel modo veramente osceno di fare politica con l’insulto (le monetine) e un atto di accusa preventivo allo stile dei V-Day che sarebbero iniziati quattro anni dopo, nel 2007. Con quelle parole iperboliche, in cui dicevo che avremmo dovuto sbranare Craxi, stavo contestando la possibilità di fare davvero politica con lo sdegno, visto che il risultato di quella serata e di Mani Pulite in generale era stato solo quello di consegnare il paese alla peggior classe politica che il paese avesse mai visto. I grillini, con la loro incredibile capacità di abbassare oltre l’inimmaginabile l’asticella del minimo sindacale del lavoro politico, erano ancora di là da venire ma nel 2003 ci trovavamo in molti a rimpiangere il pentapartito e la politica della prima repubblica, e quel che quelle mie parole terribili indicavano era un’ucronia, vale a dire che cosa sarebbe successo se di fronte al crollo del sistema congelato dalla Guerra fredda avessimo avuto, come cittadini, la forza di creare condizioni politiche totalmente nuove e diverse.

Un amico mi ha chiesto “perché Craxi, e non chiunque altro dell’epoca” e gli ho risposto che era a Craxi che avevamo gettato le monetine, era con Craxi che ci eravamo posti in questa postura penosa di massa ubriaca ma di fatto addomesticabile, e che per quel che mi riguarda si sarebbe potuto trattare di Forlani o del Compagno Greganti. Quel che intendevo era che avevamo avuto un’occasione simbolica per fare i conti con il Potere come strumento della vita associata, e non come Grande Altro cui, alternativamente, sottomettersi o ribellarsi come un branco di adolescenti umorali in attesa della prossima sottomissione.

Personalmente, ci sono due cose di questa storia che mi dispiacciono davvero. La prima è che oggi, a diciotto anni di distanza, penso a quanto quelle mie parole possano aver ferito il sentimento di chi a Bettino Craxi voleva umanamente bene. Non ho alcuna solidarietà per gli scherani e i giannizzeri che fingono ora lo scandalo per un tornaconto personale (Facci è tra questi) ma mi spiace davvero per quel che ho scritto di un padre, di un fratello, di un compagno, di un amico vero. Ho ferito sul serio molte persone, con quelle parole, e chiedo scusa pubblicamente, aggiungendo a mia discolpa quel che ho appena spiegato, e cioè che non ce l’avevo con Craxi, ma piuttosto con quel sedicente popolo con la bava alla bocca che pretendeva di avere ragione e, senza fare nulla di concreto, si accontentava che quella ragione gli venisse riconosciuta.

La seconda cosa che mi dispiace è che il modo in cui le mie parole sono state presentate (modo legittimo, in questo sistema della comunicazione) fa di me un bolscevico da operetta, mentre io, nel 2003, come oggi, ero e sono solo un piccolo borghese snob che fatica ad accettare la piccineria della massa, e che non crede più alla fantasia di un popolo in grado di prendere in mano il proprio destino.