Un paio d’anni fa mi cerca Filippo Facci e mi chiede se è mio un testo comparso nel 2003 sul blog collettivo Nazione Indiana. Il testo è mio, certo, e mi chiede che ne penso oggi, a molti anni di distanza. Gli dico che non mi riconosco più nel linguaggio sopra le righe che ho utilizzato, ma che l’idea di fondo è per me rimasta la stessa, e mi trovo a riassumerla qui visto che Facci sta utilizzando quelle mie parole per creare scalpore attorno al suo libro (che, suppongo, dev’essere veramente modesto quanto a contenuti, se è costretto a proporre come scoop un testo che circola da diciotto anni esatti).
Era
il 2003, vale a dire erano passati dieci anni dalle “monetine del Raphael”
contro Craxi e pensando a quegli eventi di dieci anni prima li
collegavo alla situazione in corso nel paese. Nel 2003 eravamo nel pieno del Berlusconi
II, e di nuovo (come nel 1994) tutto sembrava indicare una voglia di
normalità e normalizzazione. Forza Italia aveva fatto cappotto,
ma Alleanza Nazionale aveva nel governo 4 ministri e 14 sottosegretari,
la Lega Nord 3 ministri e 6 sottosegretari, più l’usuale sottobosco dei
rimasugli pentapartitici della prima repubblica.
Del
resto, Berlusconi era andato di nuovo al potere promettendo non solo uno splendido
avvenire per l’Italia, ma una sorta di pace sociale in nome dell’anticomunismo
come sentimento popolare.
Questo
contesto di finzione sociale mi fece vedere “le monetine” del Rapahel
per quello che erano state: non un gesto di rivolta contro il Potere, ma
piuttosto l’ennesimo attacco di lagnite nazionale. Mani Pulite, si
era presentata (almeno per alcuni, tra cui, confesso, c’ero anch’io) come un
progetto di rinnovamento radicale ma si era rivelata, ormai ad anni di distanza,
come un bieco tentativo giustificazionista dell’indignazione come sentimento
a buon mercato, che aveva individuato ne “i politici” la causa del
malessere nazionale.
Il
testo del 2003 è stato quindi la mia presa di distanza da quel modo veramente
osceno di fare politica con l’insulto (le monetine) e un atto di accusa
preventivo allo stile dei V-Day che sarebbero iniziati quattro anni
dopo, nel 2007. Con quelle parole iperboliche, in cui dicevo che avremmo dovuto
sbranare Craxi, stavo contestando la possibilità di fare davvero politica
con lo sdegno, visto che il risultato di quella serata e di Mani Pulite
in generale era stato solo quello di consegnare il paese alla peggior classe
politica che il paese avesse mai visto. I grillini, con la loro
incredibile capacità di abbassare oltre l’inimmaginabile l’asticella del minimo
sindacale del lavoro politico, erano ancora di là da venire ma nel 2003 ci
trovavamo in molti a rimpiangere il pentapartito e la politica della prima
repubblica, e quel che quelle mie parole terribili indicavano era un’ucronia,
vale a dire che cosa sarebbe successo se di fronte al crollo del sistema
congelato dalla Guerra fredda avessimo avuto, come cittadini, la forza di creare
condizioni politiche totalmente nuove e diverse.
Un
amico mi ha chiesto “perché Craxi, e non chiunque altro dell’epoca” e
gli ho risposto che era a Craxi che avevamo gettato le monetine, era con
Craxi che ci eravamo posti in questa postura penosa di massa ubriaca
ma di fatto addomesticabile, e che per quel che mi riguarda si sarebbe
potuto trattare di Forlani o del Compagno Greganti. Quel che
intendevo era che avevamo avuto un’occasione simbolica per fare i conti
con il Potere come strumento della vita associata, e non come Grande
Altro cui, alternativamente, sottomettersi o ribellarsi come
un branco di adolescenti umorali in attesa della prossima sottomissione.
Personalmente,
ci sono due cose di questa storia che mi dispiacciono davvero. La prima
è che oggi, a diciotto anni di distanza, penso a quanto quelle mie parole
possano aver ferito il sentimento di chi a Bettino Craxi voleva umanamente
bene. Non ho alcuna solidarietà per gli scherani e i giannizzeri che
fingono ora lo scandalo per un tornaconto personale (Facci è tra questi)
ma mi spiace davvero per quel che ho scritto di un padre, di un fratello,
di un compagno, di un amico vero. Ho ferito sul serio molte persone,
con quelle parole, e chiedo scusa pubblicamente, aggiungendo a mia discolpa
quel che ho appena spiegato, e cioè che non ce l’avevo con Craxi, ma piuttosto
con quel sedicente popolo con la bava alla bocca che pretendeva di avere
ragione e, senza fare nulla di concreto, si accontentava che
quella ragione gli venisse riconosciuta.
La seconda cosa che mi dispiace è che il modo in cui le mie parole sono state presentate (modo legittimo, in questo sistema della comunicazione) fa di me un bolscevico da operetta, mentre io, nel 2003, come oggi, ero e sono solo un piccolo borghese snob che fatica ad accettare la piccineria della massa, e che non crede più alla fantasia di un popolo in grado di prendere in mano il proprio destino.