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lunedì 28 aprile 2025

Maschio Sigma, ovvero la tentazione di essere Dio senza creazione

Lo conoscete il maschio sigma, no? Quello che non vuole essere alfa, perché è troppo raffinato per le gare di branco. Quello che sta per conto suo, enigmatico e magnetico come un buco nero. Quello che vi dice: io non ho bisogno di nessuno. E non lo dice con rabbia, eh — lo dice con una calma glaciale, tipica di chi ha appena finito di leggere Nietzsche in originale, con lo sguardo perso nel vuoto mentre si accende l’ennesima sigaretta immaginaria.

Il maschio sigma è una creatura figlia dell’algoritmo e del risentimento. Una sorta di superuomo da discount, liscio, sradicato, impermeabile alle relazioni ma assetato di performance. Un Dorian Gray delle relazioni affettive, ma senza neppure il quadro a ricordargli che, nel frattempo, sta morendo di sterilità emotiva.

Ora, siccome ogni idealtipo ha il suo controcanto, mi è
venuta voglia di metterlo a confronto con una figura apparentemente antitetica: il padre cristiano, modello neotomista, relazionale, fondato non sull’autonomia ma sulla dipendenza reciproca, sulla generatività e sulla responsabilità. Il padre che si piega, non per debolezza, ma per amore. Il padre che sa di non bastarsi.

E qui inizia il gioco.

Il sigma si definisce per separazione. Sta fuori dal gioco perché teme che il gioco lo contamini. Vive in una sorta di castità affettiva, un ascetismo narcisistico che però non sfocia mai in una vera rinuncia: è solo una protezione. Il suo motto? “Meglio solo che umano”.

Il padre cristiano, invece, si definisce per relazione. Secondo l’antropologia tomista, l’essere è sempre essere-in-relazione. Non c’è identità senza alterità. E infatti, il padre è tale solo nella misura in cui esiste un figlio. Non si difende dalla relazione: ci si espone.

Il sigma agisce per strategia. Non ama, seduce. Non costruisce, ottimizza. Si muove nel mondo come un algoritmo ben addestrato: risultato massimo con la minima esposizione emotiva. L’agire morale? Una reliquia da museo.

Il padre cristiano agisce per virtù. Fa scelte che non massimizzano il ritorno, ma rendono il mondo più abitabile per l’altro. Cura, ascolta, accompagna. Fa cose inutili, lentissime, faticose — ma giuste. Come insegnare a un figlio a chiedere scusa.

Il maschio sigma rifiuta il potere oppure lo esercita in modo totalitario. Il potere lo intriga solo finché può esserne immune, come il Joker con la laurea in business administration.

Il padre cristiano prende sul serio il potere come carico, come servizio. È potente perché è responsabile, non perché domina. Insegna a portare pesi, non a schivarli. Non è "libero", è liberante. Come dice il Vangelo, “Chi vuole essere il primo tra voi, sia vostro servo” (Mt 20,26).

Il sigma vive in un eterno presente performativo. Il passato è debolezza, il futuro è ansia. Solo l’istante ha valore, purché sia instagrammabile.

Il padre cristiano pensa in termini di eredità. Non nel senso dei beni, ma dei segni lasciati attraverso le generazioni. Il padre è un ponte tra le anime, un custode della memoria che prepara la via a chi verrà. Sa che la vita non si realizza nel picco, ma nel solco.

Il sigma si definisce per esclusione: non è beta, non è alfa, non è follower, non è simpatico. È un’assenza che si fa stile. Ma a forza di non essere niente, rischia di non essere nessuno.

Il padre cristiano si definisce per apertura: verso la donna, verso i figli, verso la comunità. Maschio non come categoria di potere, ma come figura della cura e del dono. Capace di tenerezza senza perdere forza. Capace di sacrificio senza farsi vittima.

Il maschio sigma è l’ennesima figura dell’uomo disincantato, un Narciso che ha smesso di guardarsi allo specchio solo perché ha imparato a farsi i selfie. Ma alla lunga, la sua forza non convince, la sua distanza non affascina, la sua neutralità affettiva non seduce.

Il padre cristiano — con tutte le sue fragilità — è invece una figura pienamente adulta. Uno che non ha paura di essere ferito, perché sa che solo chi si espone può amare davvero. Uno che non si costruisce una identità, ma la riceve nel dono e nel compito.

Chi è più maschio, tra i due? Chi si fa padrone del proprio tempo, o chi lo trasforma in una promessa per altri?

Come scriveva Dietrich Bonhoeffer, “la libertà non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nell’essere ciò che si deve”. E per essere ciò che si deve, a volte, bisogna avere il coraggio di mettere al mondo qualcuno che ci guarderà per sempre.