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martedì 20 maggio 2025

“Devi essere più vicino alla tua parte emotiva” (e altre chiacchiere da divano IKEA)

 C'è una frase che da qualche anno si aggira per le stanze della psicologia pop come un mantra che pretende di guarire tutto:

"Dovresti essere più vicino alla tua parte emotiva.".

È detta con la voce morbida di chi ha letto due pagine di Daniel Goleman e tre di Osho, e si accompagna spesso a una tisana, un cuscino etnico, o un certo sguardo d’intensa comprensione. Ma a ben vedere, è una delle frasi più pericolosamente stupide del nostro tempo.

Un collega straniero, persona colta e intensa, me l’ha riportata con un certo disorientamento dopo una sessione di terapia. Gli avevano appena detto che era troppo distante dalle sue emozioni. E io, conoscendolo, ho pensato: ma se questo è uno che quando parla del suo lavoro ti fa venire la pelle d’oca?

Un uomo che soffre, si entusiasma, si arrabbia, riflette, e nel farlo mantiene sempre una compostezza, una misura, una forma, come dicevano i miei vecchi — e anche un po’ mia nonna: “puoi anche piangere, figlio mio, ma con dignità.

È da Aion, uno dei testi più densamente simbolici di Carl Gustav Jung, che ho trovato una risposta più seria di tutta questa psicologia dei cuscini. Jung, parlando dell’ombra — la parte in ombra della psiche — osserva che le emozioni non sono attività coscienti, ma eventi che accadono all’individuo. Sono possessive, dice, non partecipative. Non si scelgono, ti prendono. E se non sei pronto, ti portano giù, come le correnti d’acqua sotto i moli abbandonati.

E aggiunge — con la precisione clinica di chi ha studiato l’anima più della metà dei suoi colleghi messi insieme — che, in assenza di controllo, l’individuo regredisce a uno stato primitivo, diventando incapace di vero giudizio morale. Detto in parole semplici: essere “in contatto con le emozioni” non significa niente, se non si è in grado di educarle.

Il Cristianesimo lo sa da duemila anni. La civiltà non è il contrario delle emozioni, ma il loro giardino murato: un luogo in cui possono crescere senza diventare infestanti. L’autocontrollo non è rimozione. È disciplina. È la distanza che ci permette di vedere e valutare, non solo di sentire. “Chi segue il cuore” senza guida finisce spesso dove il cuore non abita più.

La moda attuale vuole l’individuo trasparente, accessibile, vulnerabile, in process, con lo zainetto emotivo sempre aperto come il bagagliaio di una Panda scassata. Ma il mondo non è una terapia di gruppo. E se pure lo fosse, i migliori terapeuti sono quelli che insegnano a distinguere, non a sprofondare.

Perché quando le emozioni diventano l’unico metro, quando “sentire” sostituisce “pensare” e “reagire” scalza “giudicare”, allora non si è diventati più autentici: si è solo diventati più fragili, più manipolabili, più primitivi.
E a quel punto — come diceva sempre mia zia Aurelia — “non è più sentimento, è solo melassa.”