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martedì 17 giugno 2025

L’Edipo culturale

C’è un’intera generazione – o forse meglio: una intera postura culturale trasversale alle generazioni – che ha deciso che il Potere è un padre cattivo. E come ogni padre cattivo, va abbattuto. Ma non con la lotta politica, l’azione organizzata, la mediazione istituzionale. No: va castrato simbolicamente, delegittimato con hashtag, svuotato di ogni aura di legittimità e trattato come mostro onirico. Il Capitale. Lo Stato. Il Patriarcato. L’Impero. L’Occidente. Israele. L’Uomo Bianco. È l’intero catalogo edipico del presente – una teoria delle proiezioni morali che scambia il trauma per analisi, l’infanzia per prassi rivoluzionaria, la litania per scienza sociale.

Si tratta, in fondo, di un ritorno del rimosso in forma di meme: ogni forma di autorità viene erotizzata, psicologizzata, proiettata come figura del Male Assoluto. Non ha più importanza cosa fa lo Stato di Israele, importa che è lo Stato di Israele: basta questo per attivare il riflesso condizionato della condanna. Che poi nel frattempo si finisca per sostenere il regime teocratico e misogino degli ayatollah iraniani – quello sì, letteralmente patriarcale – pazienza. Il principio edipico esige fedeltà alla struttura, non alla realtà.

Questa saldatura simbolica tra il wokismo post-identitario, l’anticapitalismo post-marxista e l’antisionismo militante si tiene tutta su un presupposto freudiano inespresso: l’autorità è colpevole perché è autorità. E ogni volta che l’autorità reagisce – per esempio se Israele risponde a un attacco armato – il riflesso è lo stesso: “Ma come osa?”. È come se il padre della psicanalisi si fosse reincarnato in forma di algoritmo moralizzante, pronto a punire ogni tentativo di esercizio del potere da parte di chi è già stato classificato come oppressore. Poco importa se l’altro sia apertamente genocidario: nel teatro edipico globale, conta solo chi sembra più potente, non chi fa cosa.

E infatti si arriva presto all’asilo geopolitico (inteso come scuola materna), dove gli adulti non parlano più tra loro, ma si scrivono cartelli da manifestazione. From the river to the sea non è più un programma politico: è una nenia. Il boicottaggio accademico di Israele non è un’azione strategica: è una purga simbolica, un “papà cattivo vai via” scritto con il pennarello rosso sulle pareti dell’ONU. E quando Israele bombarda un sito nucleare iraniano, non si cerca di capire se fosse una minaccia reale, ma ci si rannicchia subito sul tappetino delle emozioni per dire: “Non si fa, non si alza la voce contro gli altri bambini!”

Ma gli altri bambini in questione sono ayatollah che impiccano gli omosessuali. Regimi che rinchiudono le donne se si tolgono il velo. Stati dove la stampa libera è un ossimoro e la teologia è legge. Tuttavia, nel mondo dell’Edipo culturale, l’elemento centrale non è la realtà, bensì il ruolo simbolico. E se sei maschio, bianco, occidentale, democratico – peggio ancora, se sei uno Stato-nazione moderno – sei già colpevole. L’innocenza è una funzione delle manette: chi è incapace di esercitare potere è buono per definizione.

Così l’antisionismo militante diventa il parco giochi prediletto di una generazione che ha sostituito la prassi politica con il ressentiment moralista. Si scende in piazza non per affermare diritti, ma per sentirsi nel giusto. Non si argomenta più: si sventola un trauma, e lo si fa brillare come un santino. La messa in scena è tutto. E se l’Occidente dovesse cadere, pazienza – meglio distruggere la casa del padre che fare i conti con la sua eredità.

Ma come sempre, la tragedia edipica ha un epilogo: una volta ucciso il padre, il figlio scopre che non c’è nulla da ereditare, tranne i suoi debiti. E quando la realtà bussa alla porta – con gli eserciti veri, le guerre vere, i muri veri – il bambino non può che rimettersi a piangere, cercando un altro colpevole, un altro padre da detronizzare, un altro sogno da rovinare.

D’altronde – lo ricordava Walter Benjaminogni documento di cultura è anche un documento di barbarie. Solo che oggi la barbarie si scrive con i pennarelli colorati, ma sempre sullo stesso muro.