Antropologia culturale Modulo B Lezione 4 registrata il 17 novembre 2025
Questa lezione segna un passaggio cruciale
del corso: entriamo finalmente nel cuore dell’antropologia interpretativa,
affrontando uno dei testi più influenti del secondo Novecento, Verso una
teoria interpretativa della cultura di Clifford Geertz. Un saggio
che, a distanza di quasi sessant’anni, continua a porre domande scomode
all’antropologia e a chi la pratica.
Prima, però, faccio una deviazione
apparentemente anomala: Daniel Kahneman e la distinzione tra pensieri
veloci e pensieri lenti. Perché? Perché Kahneman ci obbliga a
rovesciare una sequenza che diamo per scontata. Non è vero che prima ragioniamo
e poi crediamo. Accade quasi sempre il contrario: prima crediamo,
sulla base della fiducia, dell’abitudine, della plausibilità, e solo dopo
argomentiamo. Il pensiero lento entra in scena quando “qualcosa non torna”,
quando il mondo smette di essere fluido e diventa opaco.
Questo punto è decisivo per capire Geertz.
La credenza religiosa non è una deduzione sbagliata, né un errore
cognitivo, né un residuo arcaico: è una forma di ancoraggio del senso,
resa possibile da sistemi simbolici che rendono il mondo vivibile prima
ancora che spiegabile. Crediamo all’esistenza dell’America senza averla mai
vista; allo stesso modo, crediamo in un ordine del mondo perché quel sistema di
simboli ci consente di agire come se fosse vero.
Geertz prende congedo dal funzionalismo
riduzionista, incluso quello di matrice durkheimiana o parsonsiana, che
vedeva la religione come semplice strumento di coesione sociale o di
legittimazione del potere. La cultura, per Geertz, non è un lubrificante della
struttura sociale: è una rete di significati nella quale gli esseri
umani sono immersi e dalla quale vengono costituiti.
Per questo propongo una distinzione
operativa che considero essenziale:
- Funzione:
a cosa “serve” la religione in rapporto ad altre sfere (politica,
economia, ordine sociale).
- Funzionamento:
come opera dall’interno, secondo le sue logiche simboliche, per chi
la pratica.
Senza questa distinzione, l’analisi della
religione diventa cieca. Prima di spiegare a cosa serve, bisogna capire come
funziona.
Arriviamo così alla celebre definizione
in cinque punti della religione. Un capolavoro di precisione concettuale,
spesso citato e raramente davvero compreso. La
religione è:
1.
Un sistema di simboli
che agisce,
2.
Produciendo stati
d’animo e motivazioni profondi e durevoli,
3.
Attraverso concetti di
un ordine generale dell’esistenza,
4.
Rivestiti di un’aura
di fattualità,
5.
Tale da far apparire
questi stati d’animo assolutamente realistici.
Il punto decisivo è il crocevia
semiotico tra ethos e cosmos. I simboli religiosi tengono
insieme ciò che è giusto e ciò che è vero, ciò che si sente
e ciò che si pensa. Consolidano affettivamente una visione del mondo e,
allo stesso tempo, naturalizzano un sistema morale. La morale appare
ovvia perché il mondo “è fatto così”.
La religione, in questo senso, non è fuga
dalla realtà, ma uno sforzo sistematico di combinare il mondo con il
problema del suo significato. Ed è per questo che Geertz distingue tra modello
di e modello per: la religione descrive il mondo, ma allo stesso
tempo orienta l’azione. Dice come stanno le cose e, insieme, come si deve
vivere.
Un’idea semplice, potentissima, e
tutt’altro che superata. Forse proprio per questo continua a dare fastidio.
