Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
Il
test preliminare (esonero) delmodulo B di Antropologia
culturaledi Roma Tor Vergata si terrà, come
concordato,lunedì 21 dicembrealleore
12:00sulla piattaformaClassMarker.
Gli
studenti e le studentesse dovranno collegarsinon prima delle 12:00 e
non oltre le 12:10a uno dei link riportati
qui sotto, e seguire le istruzioni che comunque riportiamo.
Si
tratta di un test arisposta multiplaper complessive15
domande. Ogni domanda vale2 punti. Le
domande sono generate in sequenza casuale, presentate una per pagina e non
possono essere percorse "a ritroso" né si può passare a una
successiva senza aver risposto a quella in corso.
Alla
fine del test sarà visibile ilpunteggio conseguito. Chi
volesse chiarimenti sul test può prendere appuntamento con la prof. Casentini
che farà vedere gli eventuali errori e potrà formulare ulteriori domande
relative al programma.
Come
al solito, sono stati generatidue link, uno
pertuttigli studenti e le studentesse e l'altro riservato agli studenticertificati
CARIS. I due test sonoidentici, con
l'unica differenza nelladurata: il
test standard ha un tempo massimo di20 minuti, il
testi EXTENDED Caris ha una durata massima di26
minuti. NON commettete l'errore di fare un test EXTENDED se non siete in
possesso di una certificazione CARIS, altrimenti il vostro test verrà comunque
annullato, anche se dovesse essere portato a termine entro 20 minuti.
Ricordo che se si accede al test Caris senza averne le
credenziali, il test non verrà in alcun caso valutato.
L’ingresso alla piattaforma è limitato alla
fascia oraria indicata (tra le 17:00 e le 17:10),
se si prova a entrare prima delle 17:00 o dopo le 17:10 il sistema non consente
l’accesso.
Una volta che si è entrati, si vede una prima schermata
informativa, dopo di che si accede al test, che consiste di 15 domandea cui
rispondere in 20 minuti(26minuti per i certificati Caris).
Si può passare alla domanda successiva solo una volta
che si sia risposto alla domanda in corso. La sequenza delle domande è lineare
e unidirezionale, per cui non è possibile tornare sui propri passi una
volta che si sia risposto a una domanda e cliccato sul pulsante “successiva”.
Le 15 domande del test sono sorteggiate da un
archivio di 30 domande e vengono poi presentate in sequenza casuale, e
anche le risposte sono randomizzate. Questo significa che di fatto non ci
sono due test uguali, e il tempo di svolgimento del test non consente
verifiche incrociate tra test di due diversi candidati.
Viste le spiacevolissime occorrenze di test alterati durante
il primo esonero, il punteggio di questo test farà in ogni caso media
con il primo test, anche se dovesse essere un voto basso, bassissimo, o pari a
zero. Se nel primo test si è preso 30 e a questo si prende 8, la media finale
degli scritti sarà 38/2 = 19.
Chi non prenderà il test in questa forma ridotta e
facilitata, farà l’esame a gennaio o più avanti, con molte più domande e
molto più dettagliate, così come concordato anche per la parte generale del modulo
(“dispense”).
Chi volesse verificare il punteggio del test e controllare
le risposte esatte e sbagliate potrà presentarsi al ricevimento
online (orari sul calendario). Il ricevimento potrà diventare, se lo riterrò necessario,
un colloquio orale di valutazione dell’intero programma e venire conteggiato
con un punteggio che entrerà a tutti gli effetti nella media finale.
AGGIUNTA DOPO LA PUBBLICAZIONE
Chiarimento evidentemente necessario: alla fine del test ogni candidato potrà vedere il voto conseguito. NON potrà però vedere i risultati delle specifiche risposte, che non renderò più disponibili d'ora in avanti dopo il vergognoso mercato delle vacche durante il primo esonero.
Chi vuole sapere cosa e dove ha sbagliato si collega durante il mio ricevimento online, oppure mi chiede un appuntamento se il mio orario di ricevimento (martedì mattina) coincide con altri suoi impegni.
Durante il colloquio il candidato potrà vedere tutte le risposte e io mi sentirò libero di fare altre domande, su tutto il programma d'esame, che andranno eventualmente a integrare (in alto o in basso) il voto degli scritti.
Scusate sono in emergenza sanitaria familiare. Il secondo test di Antropologia culturale modulo A si terrà come previsto il 30 novembre, alle ore 17. In mattinata posterò sul blog e sui social i link e l'indicazione precisa dell'orario.
La finestra coinciderà con la durata del test:15 o 20 minuti attorno alle 17. Gli studenti certificati Caris avranno un loro link e il 30 percento di tempo in più. Chi fa il test Caris senza la certificazione vedrà il suo test invalidato, come è successo per il primo esonero.
Chi non può farlo il 30 lo farà a gennaio. Il voto dell'esonero del 30 farà comunque media con quello del primo esonero, anche se fosse basso o molto basso. Se qualcuno a preso 30 al primo esonero e 6 al secondo esonero, raggiungerà la media del 18.
Chi non lo fa il 30 novembre ne farà, come per le "dispense", una versione maggiorata e più difficile a gennaio.
una quindicina di domande in sequenza senza tasto "indietro". Alla fine del test ci sarà voto e percentuale senza feedback sulle risposte. Non sarà quindi possibile per gli early birds passare i risultati a chi si collega dopo, perché non ci sarà alcun "dopo" e tutti faranno il test nello stesso identico momento.
Purtroppo ci sono stati casi spiacevoli al primo esonero e come in tutti i gruppi gli scrocconi la fanno pagare a tutti.
Il test (o esonero) sulla monografia prevista per il modulo A di Antropologia culturale 2020/21, vale a dire Oltraggi della memoria. Generazioni, nostalgie e violenza politica nella sinistra in Turchia, Milano, Meltemi, 2020, si terrà online sulla piattaforma ClassMarker il giorno lunedì 30 novembre 2020 alle ore 17:00.
Ricordo che il libro è disponibile in formato cartaceo e anche in formato kindle (non serve avere il kindle, dato che esiste una app kindle gratuita per pc, tablet e cellulari), oltre che in formato epub (qui trovate un buon lettore gratuito per epub). Il libro cartaceo si può anche ordinare direttamente dall'editore. Per chi è a Roma, il libro si può ordinare in qualunque libreria (questo vale ovunque vi troviate, ovviamente) e dovrebbe essere già disponibile presso Universitalia, in via di Passolombardo a Tor Vergata, e il Booklet Le Torri, di via Amico Aspertini a Torbellamonaca.
Con l'autore, sto mettendo a punto il questionario per il test di verifica, che sarà dettagliato abbastanza da avere circa una ventina di domande, da rispondere in una ventina di minuti circa, anche connesse alla parte generale del corso.
Lunedì 16 novembre inizia il modulo B di Antropologia culturale di Tor Vergata, tenuto dalla professoressa Giulia Casentini, che farà un corso intersectional, sui temi dell'immigrazione e del genere.
Si tratta di una bella opportunità, finalmente, di ascoltare un po' di antropologia culturale a Tor Vergata con una particolare expertise su immigrazione dall'Africa e in Africa, argomento su cui Giulia Casentini lavora da molti anni, avendo condotto fin dal dottorato ricerche in particolare in Africa Occidentale.
Le lezioni si terranno su Zoom, come per il modulo A, e il link sarà disponibile sempre sul mio calendario online su questo blog, e l'orario di svolgimento DIVERSAMENTE da quanto indicati sui siti istituzionali, sarà il seguente:
Lunedì ore12:00-14:00
Mercoledì ore 12:00-14:00
Venerdì ore 12:00-14:00
Il corso inizierà lunedì 16 novembre e avrà termine lunedì 21 dicembre.
Inoltre, la prof terrà il suo ricevimento (sempre online, presto linkato sul mio calendario online) al
Martedì ore 12:00-14:00
Buon lavoro a lei e a tutte le studentesse e tutti gli studenti di Tor Vergata che parteciperanno a questa bella nuova avventura. Come per il modulo A, le lezioni verranno registrate in video e rese disponibili sulla piattaforma YouTube, sempre nel mio canale con una playlist dedicata.
La finestra per sostenere l’esonero
di Antropologia culturale modulo A del 9 novembre 2020si aprirà alle 16.15 e
rimarrà aperta fino alle 19.45.
Dovrebbe essere tutto chiaro
ma è meglio ribadire: una volta iniziato, il test NON può essere interrotto e
ripreso più tardi. Ognuno ha un solo tentativo, quando iniziate, dovete portare
a termine il test, che comunque si interrompe nell'arco di tempo previsto (75
minuti standard, 100 per chi ha diritto all’estensione con il certificato Caris).
Potete tornare indietro e correggere eventuali errori, fino alla chiusura del test.
Una volta concluso,
avrete la correzione immediata, con la percentuale di risposte esatte e i
"punti" guadagnati. Dato che il totale dei punti disponibili è 60,5,
il voto finale va calcolato dividendo il punteggio per 2 (se avete presto 58
punti, il vostro voto è 58:2= 29).
Il punteggio minimo per considerare il test
superato è dunque 36.
Un voto "basso" può essere recuperato con il voto del secondo test
(sulla monografia) e con la tesina finale. Prima di "rifiutare" il voto il mio consiglio è che aspettiate anche la valutazione delle altre prove.
VERSIONE REGOLARE (per tutti
tranne gli studenti certificati CARIS):
Per due anni, noi del PEF- Polo Ex Fienile e soprattutto noi del LaPE - Laboratorio di Pratiche Etnografiche, abbiamo organizzato una festa al Fienile, carinamente intitolata "Mortacci nostra".
E' stato un modo per dire che a noi Halloween ci faceva un baffo, non nel senso che lo schifavamo come l'ennesima americanata, ma che ce lo ricordavamo come una tradizione ben radicata nella memoria popolare, e cioè la commemorazione (seria, scherzosa o grottesca, a seconda degli stili locali) delle persone defunte.
Da antropologi quali siamo, ci sembrava un'emerita stronzata ridurre il ricordo dei morti a una questione in cui dovessero competere solo le religioni istituzionali o i responsabili della mercificazione di qualunque cosa. Anche noi normali, il 99% si potrebbe dire, avevamo il diritto di non alienare il ricordo della morte, la presenza inevitabile della morte, il senso della morte nelle nostre vite.
Mortacci nostra è stato un modo di inventare una tradizione, e attorno al fuoco o nella sala teatro del PEF abbiamo ascoltato e raccontato storie da brividi, storie da lacrime, storie insomma.
Quest'anno non si può, come è noto. E con molta sofferenza ci siamo adeguati alle necessità sanitarie. Il che non significa che non ci si possa incontrare anche a distanza, senza baci e abbracci, certo, ma con qualche storia.
Per le studentesse e gli studenti di Antropologia culturale di quest'anno ho pensato così di offrire un piccolo spazio online al link delle mie lezioni su Zoom. Porteranno una piccola storia, una foto da mostrare, un oggetto di una persona cara. Oppure una canzone da condividere o una poesia da ascoltare (YouTube è una miniera fantastica, per questo). I più coraggiosi potranno anche recitare i loro versi, o una storia scritta da loro.
Basta venire nell'aula Zoom di Antropologia culturale oggi, 31 ottobre, tra le 21.30 e le 22.30, prenotandosi sulla chat della classe per chi volesse può avere tre minuti di microfono e video.
Fare antropologia non è solo capire, fare antropologia è anche vivere capendo un po' di più.
[Tutta la tiritera che segue
è orientata a introdurre la lettura di “Verso una teoria interpretativa
della cultura” di Clifford Geertz]
La teoria REFERENZIALEdel significato è inadatta a spiegare la sostanza più
specificamente specifica del linguaggio umano.
La teoria DELL’USOinvece sembra funzionare molto meglio. Il “secondo”
Wittgenstein è uno dei pensatori che più ci ha aiutato a capire che il
significato di un segno è nel suo uso, cioè nei modi “sensati” (appunto) in cui
possiamo usare quel segno, sia esso una parola, o un anello di matrimonio.
Abbiamo fatto l’esempio delle “cotolette di cane”
che solitamente qualcuno NON capisce non perché nel nostro contesto culturale è
“insensato” dire di aver mangiato cotolette di cane.
Nella Teoria Referenziale = il Significato somiglia
alla voce di DIZIONARIO;
Nella Teoria dell’uso = il Significato somiglia alla voce
di ENCICLOPEDIA.
La RETE di SEGNIè più di una metafora
Se ogni segno è composto di un significante e di un
significato, e ogni significato è di fatto una “connessione” con
altri segni, ecco che dal segno Cane devo agganciarmi (in Italia) alla
Amicizia, alla Fedeltà, alla Compagnia, che sono tutti Segni, ognuno dotato di
un Significante e di un Significato, e ogni segno a sua volta è agganciato ad
altri segni nella teoria dell’uso.
In Italia e in Corea le rispettive reti che
definiscono il segno “cane” sono molto poco sovrapposte, dato che in Corea il
segno ‘cane’ può essere associato ai segni del Cucinare e quindi la rete che
rende possibile l’uso sensato del segno ‘cane’ in Corea rende “sensata” anche l’espressione
“ieri ho mangiato cotolette di cane”.
Insomma, la RETE DEI SEGNI È
LA CULTURA, CULTURA È LA RETE DEI SEGNIe
per quanto qualcuno potrebbe (anche a buona ragione) contestare che la rete dei
segni NON CONCLUDE tutta la cultura, di certo ogni specifica società è dotata
di una rete condivisa di segni tra i suoi membri che ne costituisce l’ossatura
simbolica, e senza la quale non solo non esisterebbe comunicazione all’interno
di quella società ma anche per ogni individuo non ci sarebbe modo di sentirsi
tale, perché gli eventuali significati idiosincratici che fosse mai riuscito a
elaborare nella solitudine del suo cervello non avrebbero mai modo di uscire
fuori.
È questa consapevolezza che porta Clifford Geertz
a elaborare la sua concezione semiotica della cultura con l’immagine
dell’animale impigliato nelle reti di senso che egli stesso ha intessuto,
secondo la metafora di Max Weber.
Quindi, mentre le scienze sperimentalicercano CAUSEtramite la SPIEGAZIONE,
le scienze umanecercano
SIGNIFICATOtramite
l’INTERPRETAZIONE.
La PAREIDOLIA
è il modo più evidente di questa disposizione del nostro cervello animale trovare
significati anche dove non ce ne sono di intenzionali. Diciamo che l’antropologia
insegue questa disposizione degli umani non solo nella percezione visiva, ma nel
quadro generale dell’IMMAGINAZIONE: immaginiamo (oggetti, valori e
relazioni) sulla base di MODELLI che abbiamo già acquisito per altri
campi.
L’esempio dell’AMICIZIA che per noi non è
formalizzata ma per altre
culture lo è: studiare l’altrove ci consente non solo di riflettere sulle
regole culturali altre (to’, guarda che strani, quelli fanno un rituale
per stabilire formalmente che quello è un amico speciale e cominciano a chiamarlo
“fratello”) ma anche di riflettere sulle nostre regole culturali (siamo
sicuri che l’amicizia sia solo una relazione spontanea lasciata alla nostra
libera scelta? Guardate quanti diventano amici perché hanno figli nella stessa
scuola, e poi ripensateci).
Quindi l’antropologia insegue il significato
culturale, vale a dire il senso che “le cose” hanno nel contesto in
cui sono vissute e praticate. Cerchiamo insomma di raggiungere quella che Gilbert
Ryle ha definito una THICK DESCRIPTION,
una DESCRIZIONE DENSA, cioè una descrizione
di una situazione cercando di offrire il senso che vive l’attore sociale
dell’azione che stiamo analizzando. Se invece ci limitiamo a utilizzare la nostra
rete di significato (e non quella dell’attore sociale) otteniamo al
massimo una THIN DESCRIPTION, cioè una
descrizione che si sforza di essere “neutra” o “oggettiva” ma che
in realtà non riesce a cogliere il senso dell’azione per chi la sta compiendo e
impone su quell’azione le categorie dell’analista.
(46:00) Abbiamo ripreso l’esempio
dell’occhiolinocontrapposto al tic
nervoso, che Geertz cita da Ryle, e ci abbiamo ricamato un po’ sopra.
Con un po’ di problemi di connessione, abbiamo cercato
di riflettere sul fatto che la thick description NON è una descrizione “più
accurata”, visto che può consistere di una sola parola (“battesimo”) per
chi la sa interpretare, e che la thin description NON è una descrizione superficiale
nel senso che sia “frettolosa”. Se non sapessi cos’è un battesimo in una
chiesa cattolica potrei andare avanti giorni raccontando tutti i dettagli
di questo strano posto con delle decorazioni alle pareti dove un uomo con un camicione
butta dell’acqua sulla fronte di un bimbo piccolo, ma la cura maniacale del
dettaglio della mia descrizione NON la renderebbe meno thin, dato
che la sua superficialità non sarebbe data dalla mancanza di precisione “oggettiva”,
ma dalla incapacità di “coglierne” il senso dal punto di vista dell’attore
sociale.
Uno degli esempi più chiari della differenza tra Thin
e Thick è quello (che rubo a Marshall Sahlins) dell’ACQUA BENEDETTA.
Cosa c’è di oggettivamente diverso tra acqua normale e acqua benedetta? Nulla,
ovviamente, e un chimico mi dirà che si tratta sempre della stessa
sostanza, ma se voglio capire la differenza devo vedere le cose dal punto di
vista del credente, che pensa che l’acqua benedetta abbia una qualità
spirituale, e possa essere taumaturgica.
(1:09:45) THIN E THICK SI SOVRAPPONGONO
A -ETIC e -EMIC, facendo però attenzione al fatto che “il punto di
vista del nativo” (che sarebbe l’-emic) non coincide esattamente con il senso
dell’azione consapevole dell’attore sociale. Il millepiedi non sa
come fa a camminare, ed è inutile, spesso, chiedergli come fa aspettandosi una risposta
coerente. Di fatto, l’antropologo lavora anche a livello del subconscio
culturale, cogliendo sensi che NON sono praticati consapevolmente dagli
attori sociali.
Tutto, questo, dicevamo, per introdurre il racconto
che Geertz ci farà del vecchio mercante ebreo Cohen.
Abbiamo concluso (1:20:00) con un TEST sul “SIGNIFICATO”.
Le ultime considerazioni (1:32:15) sono sulla fragilità
epistemologica dell’opposizione THIN/THICK (come di quella -etic/-emic):
diciamo che sono opposizioni di cui abbiamo bisogno come “limite” o come “obiettivo”
ma l’antropologa sul campo non può che aspirare a ricostruire il punto
di vista -emic o a produrre una thick description, ma questo lavoro di
ricostruzione sarà sempre incompleto(basta parlare con “un’altra persona ancora” e il
quadro può mutare).
Il punto insomma è che questa incompletezza della
nostra ricostruzione culturale è intrinseca e irrinunciabile.
Ho poi finito con un doppio appello di eventi al PEF –
Polo Ex Fienile, che però è andato completamente a vuoto… (anzi no, una ex studentessa
sabato è venuta a darci una mano a fare pacchi al PEF).
Abbiamo visto il pregiudizio della omogeneità interna e della separatezza delle culture e in questa lezione abbiamo cercato di capire da dove venga quel pregiudizio. Ci sono delle motivazioni di ordine cognitivo, e altre di ordine politico. In questa lezione abbiamo solo le prime, lasciando le motivazioni politiche a una prossima lezione.
Il pregiudizio (o bias, ogni tanto dico) cognitivo dipende dal fatto che abbiamo bisogno di categorie dove "incasellare" la fantasmagorica complessità del reale percepito, ma queste categorie non sono affatto innate, o lo sono per grandi contrapposizioni (animato/inanimato, per esempio, che possiamo elaborare già verso i 6 mesi) e non ci consentono quelle sottigliezze necessarie nella vita associata. In pratica, impariamo gran parte delle etichette o categorie con cui riduciamo la complessità ingestibile del reale e ci mettiamo anche un po' ad impararle, come dimostra questo video:
Per non essere sopraffatti dalle occorrenze del reale (dalle carte che il mondo ci fa vedere, con tutte le figure) dobbiamo imparare presto a inscatolarle in etichette. Le etichette si possono chiamare types, le occorrenze tokens, ma il senso è quello indicato. Senza etichette possiamo contare le occorrenze solo fino a un certo punto, oltre il quale ci perdiamo e veniamo semplicemente travolti. In questo video una definizione di Type e di Token:
Quindi come animali abbiamo bisogno di scatole, etichette o categorie, ma proprio perché non le possediamo incorporate nei geni, quei types possono e debbono essere in gran parte appresi.
La Realtà è lì, inossidabile, ma Kant ha ragione quando ci dice che è inconoscibile direttamente (noumeno) mentre può essere afferrata solo dentro le categorie.
Senza entrare in polemica con Kant, diciamo che a fianco di alcune generali e universali categorie per conoscere il mondo gli esseri umani hanno bisogno anche di categorie più specifiche (quali labbra femminili siano belle e quali invece considerate volgari) e questo livello di categorizzazione dipende dalla cultura cui apparteniamo.
Creare categorie significa trovare le somiglianze e le differenze e dare RILEVANZA ad alcune e considerare IRRILEVANTI altre. NON c'è nella realtà alcuna ragione intrinseca per cui alcune somiglianze o alcune differenze siano rilevanti, dato che la RILEVANZA è un giudizio esercitato dagli esseri umani, non è una qualità della realtà. La realtà certo che ha qualità intrinseche (forma, colore, peso, attrattiva, ecc.) ma la rilevanza di alcune qualità e non di altre è una decisione umana, e gli uomini sembrano in grado di decidere molto diversamente rispetto alla rilevanza, a seconda dello spazio e del tempo in cui si collocano per quel loro giudizio.
Il racconto di Borges su Funes, o della memoria, è un buon esempio di quel che succede se si perde la possibilità di raccogliere il percepito in categorie ma si mantiene il ricordo del percepito.
Applicata alle relazioniumane, questa necessità delle categorie produce l'opposizione Noi/Loro che categorizza prima di tutto coloro con cui posso avere un rapporto cooperativo (il Noi) per distinguerli chiaramente da gli Altri, con cui invece dovrei pensarmi in relazione competitiva. NON c'è alcuna base biologica per stabilire dove si pone "naturalmente" questo confine (vedremo nelle lezioni sulla parentela che proprio i "legami di sangue" sono un modo con cui molte culture si illudono di poter stabilire almeno un confine iniziale di questo tipo) ma intanto anticipiamo che il Nazionalismo è il sistema politico che porta alla perfezione questa contrapposizione necessaria tra categorie di persone.
Una volta apprese, le categorie funzionano al punto che ci possiamo ficcare dentro anche "cose" che in sé non hanno ragione di starci, come dimostra la bellissima poesia di Fosco Maraini, letta da Gigi Proietti
E' un testo "senza senso" ma riusciamo a capire tantissimo, proprio perché utilizziamo categorie che già abbiamo per ficcarci dentro quel nonsense.
Se non parlassimo italiano, il Lonfo non avrebbe senso. Anche le parole senza senso le ficchiamo dentro qualche categoria. Come quando vediamo nelle nuvole dei volti, o degli oggetti (pareidolia). NON sono nelle nuvole, ma sono nelle categorie che abbiamo acquisito e dentro cui forziamo quel che vediamo. Questo aspetto cognitivo è stato studiato dagli psicologi ma quasi solo per gli aspetti strettamente percettivi (forme e colori) ma dobbiamo capire vale a che per i giudizi morali o estetici: una volta elaborate, alcune categorie si radicano in profondità e le utilizziamo anche per includere aspetti del reale che non erano originariamente concepiti in quella categorizzazione (Robert Sapolsky lavora su questi temi, ma non ci sono traduzioni italiane delle sue riflessioni si questi temi, o almeno io non le conosco).
Questa capacità di produrre senso, quando non è socialmente condivisa può produrre il "delirio", la fine della significazione come comunicazione. Ora, c'è una disputa tra filosofi del linguaggio per stabilire se il linguaggio sia prima COMUNICAZIONE (quindi presupponga l'altro) o sia ESPRESSIONE (per portare fuori quel che si ha dentro) e non intendo prendere posizione in proposito. Mi basta dire che il linguaggio è sempre tutte e due le cose, e quando perde la sua dimensione CONDIVISA diventa facilmente ALIENAZIONE.
Questo significa collegare la cultura come sistema categorizzante al POTERE di esercitare quella funzione. NON tutti hanno la stessa voce nello stabilire quale sia il senso di quell'aspetto culturale. Il tè è diventato comune in Inghilterra perché era una regina a consumarlo e le donne nobili l'hanno imitata, presto imitate dalle borghesi e giù nella scala sociale. Ci sono diverse teorie in questo senso (penso ad esempio alla Teoria della classe agiata di Veblen) ma quel che conta è che ci imitiamo tra gruppi e sottogruppi e spesso capita che siano quelli che dispongono le quantità maggiori di diverse forme di POTERE (economico, di prestigio, politico) a fare da modelli e a stabilire quali siano i "giusti" (dentro quella cultura) significati da attribuire a determinati segni.
Avere un quadro categoriale è quindi necessario, non possiamo farne a meno. Ma una volta che lo abbiamo incorporato, da un lato ci consente di non dubitare tutto il tempo per ogni cosa, ma dall'altro rischia di farci "perdere di vista" aspetti del reale che NON ABBIAMO NOTATO perché eravamo intenti a categorizzare altro:
Il video "Awareness test" serviva a farci capire questo punto.
I FAP (Fixed Action Patterns) sono necessari agli umani come a qualunque altro essere vivente. Ma mentre gli altri animali si basano su FAP innati, noi dobbiamo APPRENDERLI e una volta appresi, li sentiamo nostri come fossero innati. Come il nostro modo di parlare.
-EMIC -ETIC
Quando studio quindi un gruppo sociale, posso insistere sulle mie categorie di analisi oppure posso cercare di ricostruire le categorie utilizzate dal mio interlocutore (singolo o gruppo). L'antropologia è la ricerca del livello -emic.
(Il casino è che quel che chiamiamo -etic è spesso l'-emic di chi parla, ma non voglio scatenare il panico e quindi soprassediamo, anche se è evidente per tutti che un punto di vista "oggettivo" sul reale semplicemente è un'illusione, perché quello a cui puntiamo è sempre un livello inter-soggettivo, e il problema diventa a quel punto quanto ampio debba essere quell'-inter per poterlo attribuire al genere umano e non a un suo specifico sottogruppo.)
Abbiamo insistito molto su questa differenza, perché è essenziale per capire la nostra disciplina. Come si giunge a capire questo punto di vista -emic?
E' la INTERPRETAZIONE il punto di svolta.
Per cogliere il punto di vista dell'altro dobbiamo pensarci come i protagonisti di Flatlandia.
Abbiamo poi introdotto altri concetti essenziali.
SEGNO come unione arbitraria di SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Abbiamo detto della natura MATERIALE del significante.
Abbiamo chiuso anticipando la doppia teoria del significato: Teoria referenziale vs Teorie dell'Uso.
Abbiamo raccontato la storia dei due archeologi per dimostrare che abbiamo incorporato alcune regole culturali (in questo caso regole fonologiche su come si pronunciano i suoi nasali in italiano) SENZA SAPERE che le abbiamo e che le sappiamo usare con estrema precisione. CHI è che sa quelle regole? I parlanti, certo, ma a che livello di CONSAPEVOLEZZA lo "sanno"? Molto basso, possiamo dire. E certo questo esempio è indicativo di come funzioni tanta parte dell'apprendimento culturale. Siamo a volte "culturati" dalla nostra cultura, ci pare del tutto inevitabile che le cose siano così, perché non concepiamo le ALTERNATIVE al nostro comportamento. Gli italiani monolingue non riescono a pensare che una nasale di fronte a una occlusiva velare si possa realizzare in maniera DIVERSA da come la realizzano loro. Estendete questa idea al modo in cui ci pone a distanza dagli altri (qual è la distanza di cortesia? E quale quella di distacco sprezzante?) oppure al modo in cui ci si debba salutare tra estranei, o al mondo in cui si considerano belle le labbra di una donna, o al modo in cui ci si debba comportare con i figli, o con i genitori, quale sia la giusta decisione da prendere in quel caso e quale invece sia completamente sbagliata, ed ecco che di colpo la cultura si appare per quel che è: uno strumento molto potente di controllo nella conformità. Non sto dicendo che la cultura sia la nostra gabbia, ma Franz Boas, che di diversità culturale decisamente se ne intendeva, parlava di "shackles of culture", cioè i ceppi, le catene che si mettevano ai piedi degli schiavi o dei prigionieri per contenerne in movimenti entro un raggio di azione limitato. Questo fa la cultura, e non c'è nulla di mostruoso o di eccessivamente drammatico in questo, perché lo DEVE fare, vista la nostra disposizione a collegare tutto con tutto. Se non avessimo quei ceppi la nostra vita sarebbe un inferno (come in effetti a volte è la vita dei bravi antropologi...). Diceva Boas:
Il pregio dell'antropologia è il suo potere di impressionarci con il valore relativo di tutte le forme di civiltà. Noi siamo troppo portati a considerare la nostra cultura come la meta ultima dell'evoluzione umana, privandoci così dei benefici ricavabili dagli insegnamenti altrui. Ciò che penso della vita è determinato da una domanda: come possiamo riconoscere le catene della tradizione? Perché, se riuscissimo a riconoscerle, potremmo anche spezzarle
La cultura è quindi un sapere appreso che fa di tutto per nascondersi in quanto appreso, e il lavoro dell'antropologo è anche e soprattutto portare a galla quel sapere sotterraneo o inconsapevole.
Per capire come questo lavoro di consapevolezza sia tutt'altro che confortante, abbiamo raccontato l'apologo del bruco e della formica (dal minuto 31:45), come esempio della complicatezza di agire SAPENDO di agire, osservandosi nel proprio agire. La CONSAPEVOLEZZA è una conseguenza della riflessività, dell'osservarsi mentre ci si confronta con l'Altro, questo oggetto primigenio della riflessione antropologica.
Piccola digressione su quanto il lavoro dell'antropologia sia stato efficace in questo senso e quanto invece sia stato zeppo di errori e di complicità con il potere. E per parlare della natura intrinsecamente "progressista" dell'antropologia.
Vediamo ora (42:00) se e quanto la cultura è CONDIVISA da parte di coloro che la POSSIEDONO. Condivisione e Possesso sono due termini economici, che hanno a che fare con la proprietà materiale. Ma la cultura è un oggetto materiale che può passare di mano come un campo di terra o un orologio?
SE FOSSE COSI' SAREBBE FORIERA DI DISTINZIONE netta tra gruppi ma invece sappiamo che le culture non sono divise in questo modo (anche se si raccontano così) e che "la roba" intera (the cultural stuff di F. Barth) sappiamo che viene usata per creare confini: DE-LIMITAZIONE e DE-FINIZIONE e etimologia dei termini. = Limes e Finis.
Le culture, insomma, si raccontano sempre più OMOGENEEinternamente e più NETTAMENTE SEPARATE tra di loro di quanto non ci dimostri l'analisi empirica dell'etnografia. Abbiamo dimostrato questo punto centrale della riflessione antropologia con un piccolo racconto (49:40)
Il caso delle due signore a Venezia. Una signora è Veneziana "da sempre", e l'altra signora è invece una badante venuta una ventina d'anni da dall'Europa dell'Est. La signora veneziana ha inoltre un nipote (lei è la nonna, non la zia) che le vuole bene e la va a trovare. Ci siamo chiesti se sia possibile "misurare" le somiglianze e le differenze tra queste tre persone. Quale coppia si somiglia di più tra nonna-nipote e nonna-badante, per quanto riguarda pratiche di vita, immaginario, sistema di valori, gusti estetici eccetera? Nel raccontare la storia ho citato (senza nominarlo perché il nome mi sfuggiva) un antropologo che ha fatto una bella indagine sulle badanti: si chiama Francesco Viettie il saggio si intitola Il paese delle badanti (Meltemi). Ci sono diversi studiosi che si occupano del lavoro domestico e del lavoro di cura nel mondo globalizzato e mi piace qui ricordare l'importante lavoro di ricerca coordinato dalla sociologa Sabrina Marchetti all'Università Ca' Foscari di Venezia.
Alla prova dei fatti, sappiamo che le culture sono MENO condivise all'internoe più condivise attraversodi quanto non pensiamo "istintivamente". Più o meno reddito, più o meno educazione, più o meno competenze ad hoc: chi ne sa di più tra gli elettricisti e gli idraulici?
Nessuno possiede TUTTA e SOLA la propria cultura.
(1:06) IL TEMPO e LA VARIAZIONE CULTURALE (la creazione storica dei contesti tradizionali)
Un altro esempio di cui abbiamo parlato è quello della nduja Calabrese (1:12:38).
La pasta al pomodoro napoletana del Cuoco galante (1799) è un'altra impressionante dimostrazione della finzione del primordialismo: a inizio Ottocento la pasta al pomodoro ancora non c'era, non era rappresentata in un libro di ricette napoletano.
QUINDI le culture non solo sono complicate al loro interno ora, ma LO SONO SEMPRE STATE
Abbiamo visto le Figure a pagina 8 della dispensa con gli ELEMENTI culturali e i CONFINI culturali
Questa ricostruzione post hoc di unità interna ci induce all'errore del PRIMORDIALISMO e dell'ANCESTRALITA', per cui una cosa è usata "da tempo immemore". In realtà una cosa diventa TRADIZIONALE non se è usata da sempre (nulla ha questa durata), né se è usata da tempo immemore (eh, trovarne cose così...) e neanche se quella cosa è stata "creata" da coloro che ora la usano orgogliosamente (il tè inglese, la nduja calabrese, non sono "ab ovo" né inglese né calabrese).
Le figure che vediamo (da 1:24:40) ci dimostrano un errore categoriale enorme, dato che l'illusione della condivisione omogenea e primigenia della cultura si può realizzare solo se poniamo "la nascita" delle culture in un momento "Prima del Tempo", prima del Divenire.
Questo errore di FUORIUSCITA DAL TEMPO e di presunzione che le cose siano sempre state così è un altro esempio di accettazione subconscia del culturale, dato che a livello razionale siamo tutti e tutte perfettamente consapevoli che le cose, non sono "sempre" state così, e che quel "si è sempre fatto così" è un giudizio fallace.
Siamo quindi indotti da questo tipo di pregiudizi cognitivi a considerare inossidabili categorizzazioni che esistono solo in quanto prospettiche, prodotte da una certa posizione classificatoria (con certe scatole di cui non consideriamo la costruzione storica), che sicuramente esiste, ma non ha necessariamente la priorità rispetto a prospettive alternative che raggruppano le cose e le persone in classi assai diverse. Le persone, insomma, si possono raggruppare per categorie o appartenenze in modi veramente fantasmagoricamente diversi, eppure il mondo in cui viviamo ci induce a privilegiare alcune categorie e a sottovalutarne altre.
Il video della TV Danese (che non si vede in questa registrazione per ragioni di copyright) è un esempio molto ben congegnato di questo fatto della realtà sociale che spesso tendiamo a dimenticare: ciascuno di noi appartiene a moltissime categorie, classi o raggruppamenti, e molto spesso l'Altro secondo una certa categoria può essere un Noi secondo un'altra categoria:
La parte finale della lezione è stata dedicata a un piccolo test di verifica su: la differenza tra cultura alta e cultura bassa; la nozione di tradizionale, quando un oggetto si possa considerare tradizionale; e in che senso la cultura è condivisa.
Abbiamo iniziato
confermando che per gli studenti e le studentesse che prendono iscrizione al
corso per quest’anno o che comunque portano il programma di quest’anno, per il
modulo A la MONOGRAFIAsarà Oltraggi
della memoria, di Lorenzo D’Orsi, Meltemi 2020. Si tratta di una monografia
sulla questione della memoria politica in Turchia, e diventerà un modo
per gli studenti di antropologia culturale per riflettere sul significato
sociale del passato. La storia non è una sequenza oggettiva di eventi ma è
vissuta sempre nel presente come forma di collegamento ad alcune identità, modi
di essere, sistemi di valori.
Per il modulo B, la professoressa
Casentini ha spiegato come ci saranno due monografie tra cui scegliere, a
seconda che si prediliga il tema della MIGRAZIONE o quello del GENERE.
Nel primo caso si studierà Shahram Khosravi, Io sono confine,
Eleuthera, 2019, mentre per il genere la monografia da studiare sarà Alessandra
Chiricosta,Un altro genere di forza, Iacobelli Editore, 2019. TUTTE
le informazioni per il Modulo della prof. Casentini sono ora incluse nella cartella online del Modulo B.
Nel corso della lezione
siamo partiti (dal minuto 11:45) da dove avevamo finito, e cioè la varietà
culturale. La varietà culturale quindi, essendo legata alla nostra disposizione
simbolica, è veramente enormemente vasta: nessun essere umano, da solo, può
immaginare tutto l'immaginabile, ma sicuramente gli esseri umani nel
corso della storia, dentro la varietà culturale (le diverse
"immaginazioni") che li caratterizza, hanno immaginato COME SPECIE
ben oltre l'immaginabile individuale. E una cosa evidente è che queste
immaginazioni possono essere in contrasto, opposte da posto a posto, o
da tempo a tempo. Pensate a come la pensiamo noi anziani all'utilizzo del
social e l'uso che mediamente ne fate voi. Noi abbiamo Facebook come se fosse
un salotto di casa, voi usate Instagram come un razzo spaziale per andarvene in
giro per il mondo. Pensate ad esempio alle differenze sui gusti estetici.
Per avere un esempio di
come possono essere veramente divergenti i gusti e i giudizi culturali, abbiamo
visto insieme un breve video che ci racconta quella che ho definito
"l'inevitabile tristezza giapponese di Julia Roberts. Il video è un
inglese ma l'ho tradotto in consecutiva:
Cosa diavolo è OCHOBO?
https://youtu.be/A5kTiP4wDQU
Apprezzare Julia Roberts
per quelli della mia generazione, vi assicuro, ci sembrava una questione del
tutto "naturale", ma il valore estetico di Ochobo ci dimostra
che così NON è, e che se la povera Julia fosse stata adattata da una famiglia
di Tokio sarebbe stata la racchia del quartiere...
Un punto centrale di questa
forma complessiva umana della diversità è che istituisce una importante
differenza con la diversità comportamentale entro le specie animali.
Nessun essere umano pratica TUTTE le tradizioni culturali, ognuno di noi
finisce per praticarne alcune, e molti sentono di praticarne una e una sola,
ma la IDOSINCRATICITÀ(vale a dire l’unicità esclusiva) della
pratica non è mai specificante, cioè NON fa di quei praticanti un gruppo
biologicamente separato da coloro che hanno pratiche diverse, proprio
perché il nostro sapere è principalmente acquisito e trasmesso
per vie non-biologiche. Mentre le api che smettessero di raccogliere
polline e iniziassero a nutrirsi di altri insetti sarebbero condannate, per
sopravvivere, a diventare un’altra specie, gli esseri umani hanno DENTRO
la loro specie una varietà di comportamenti e di pratiche che diventa l’oggetto
della nostra riflessione. Sotto il comportamento delle api possiamo
cercare il fondamento comune dell’essere ape: studio api in tutto
il mondo, guardo come si comportano e induttivamente cerco di ricavare
cosa costituisca dal punto di vista comportamentale l’essenza dell’ape, l’apismo
o l’apità dell’ape, per usare un lessico aristotelico. Ma con gli esseri
umani NON possiamo lavorare allo stesso modo, dato che la loro umanità
va vista all’inverso dell’apità, non come comunanza di pratiche (che non
c’è) ma come forma della costruzione locale della conoscenza attraverso
la comparazione delle differenze. Il video sull’Ochobo ci dice che non
ci sono comportamenti prefissati per quanto riguarda l’attrazione dei
maschi umani verso la forma delle labbra femminili, dato che in Giappone vige
un canone che sembra opposto a quello dell’Occidente Euroamericano. Come
minimo, Ochobo ci dice che per gli umani i modelli prefissati di azione (FIXED ACTION PATTERNS) vengono attivati
in forme molto, molto più peculiari a seconda dei contesti, ed è quella
peculiarità che esige attenzione e il nostro sforzo interpretativo per spiegarla.
Invece, i criteri estetici grazie a cui la femmina dell’uccello del
paradiso trova e seleziona il partner
sono specie specifici (vale a dire unici per quella specie e totalmente
uniformi all’interno della specie) e molto, molto rigidi, e
questo vale per qualunque specie animale, tranne la nostra: mentre un
leone africano e uno asiatico avranno gli stessi “gusti” (dettati proprio dall’interazione
tra la dotazione genetica e l’ambiente in cui quel patrimonio
genetico si trova ad attivarsi). L’antropologia culturale studia non tanto quel
che c’è “sotto la diffenza” ma PROPRIO la DIFFERENZA. Come dice Clifford Geertz: è la differenza
che fa la differenza.
Questo certo non sta a
significare che dobbiamo rinunciare alle generalizzazioni o che l’antropologia
culturale sia solo una scienza descrittiva. Significa piuttosto che il
nostro apporto come studiosi e studiose è quello di prestare attenzione al senso
locale di quella specifica pratica, e vedere sullo sfondo di quadri
più ampli se pratiche diverse indicano tendenze comuni, e quali. Le
regole del comportamento umano si devono quindi contenere a generalizzazioni molto
generali, del tipo: “le scelte del partner sono spesso associate a principi
estetici che valgono anche in altri ambiti della vita sociale, oltre a
quello dell’attrazione sessuale”, ma senza poter generalizzare sui contenuti di
quei principi, che dipendono dalla cultura locale.
Conclusa questa prima parte
sulla VARIETÀ del culturale umano, abbiamo ripreso la questione dell'APPRENDIMENTO.
FORMALE vs INFORMALE(l'elaborazione del GUSTO, cenni di Pierre
Bourdieu). Per questo aspetto, abbiamo visto come “sappiamo” un sacco di
cose, su quale sia un cantante veramente da adorare e quali invece facciano “schifo”,
oppure se vediamo un gruppo di persone di un certo ceto sociale è relativamente
facile individuare l’eccezione che proviene da un’altra classe, e questo grazie
a “competenze” specifiche che abbiamo ovviamente appreso, anche se fatichiamo
a dire come e dove e da chi.
Sul SAPERE
CORPOREO e SAPERE LINGUISTICOabbiamo riflettuto un po’ frettolosamente, ma possiamo
sintetizzare il fatto che il sapere corporeo, in particolare quello dellamano, le tecniche dell’artigianato e dei mestieri (“rubare con gli occhi”),
si pongono quasi consapevolmente in contrapposizione al sapere linguistico
(e non abbiamo avuto tempo di riflettere quanto questa contrapposizione sia
anche “ideologica”, vale a dire utilizzabile con intenti politici,
opponendo la “concretezza” alla “teoria”, il “saper fare” al “parlare vuoto”).
Sul sapere del corpo
abbiamo visto qualche secondo da questo, video, che parla di Paolo
Brandolisio, un "remèr" o "forcolaio" veneziano:
https://youtu.be/mOkxTjtUT1s?t=116
E questo invece è un video
(che non abbiamo fatto in tempo a vedere) sul "più veloce parlatore del
mondo", come esempio esasperato di sapere linguistico (anche se in
questo caso specifico diventa quasi corporeo...):
https://youtu.be/ExKCcndqK5c?t=41
Nell'ultima parte della
lezione abbiamo toccato un'altra distinzione che gli antropologi NON fanno
ma che considerano comunque essenziale dato che tutte le culture la fanno
eccome: la GERARCHIA DEI SAPERI, la valutazione culturale di ciò che si
sa in una scalagerarchica, e per esemplificare un poco abbiamo
parlato dei vostri fidanzati e delle vostre fidanzate, facendo un piccolo test
che, nonostante le resistenze di qualcuno espresse nella chat durante la
lezione, ha confermato il fatto che tutte le culture istituiscono GERARCHIE DI
VALORI, attribuendo più prestigio
ai portatori di certe competenze e non di altre.
Ci siamo lasciati dicendo
che la prossima lezione si aprirà con una riflessione su una delle cose
più conturbanti del sapere culturale, e cioè il suo essere molto spesso subconscio:
ci sono test che dimostrano che abbiamo delle regole in testa e che le applichiamo
con estremo rigore, eppure se non si è passato un processo di istruzione
formale di istruzione non abbiamo la minima idea di avere quelle regole e di
applicarle.