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giovedì 3 gennaio 2019

La fine della politica


Fino allo scorso anno accademico la valutazione degli studenti, per i miei moduli di Antropologia culturale, veniva effettuata con una prova scritta di dieci domande a risposta aperta su tutto il programma. Da quest’anno, visto il numero degli studenti (si sommano infatti gli ordinari studenti in corso a Tor Vergata e gli studenti del Percorso Formazione Insegnanti; ormai gli iscritti ad Antropologia culturale si contano nell’ordine delle centinaia, ben oltre ottocento lo scorso anno, siamo a quota 450 quest’anno, senza ancora gli iscritti del Percorso Formazione Insegnanti che arriveranno ora) sono stato costretto a cambiare metodo di valutazione, con un test a risposte multiple e solo due domande aperte. Ma ancora continuano a sostenere l’esame studenti residuali dello scorso anno, cui sottopongo la vecchia prova con dieci domande aperte.
Una domanda, l’ultima, dell’ultimo appello, faceva così: 
Perché la presenza straniera tra gli squatters a Roma eccede di molto la loro percentuale media sul territorio e quale ruolo attribuiscono a questa presenza i leader delle occupazioni e i mass media? 
La domanda (che in realtà ripropongo uguale ad ogni appello, visto che tratta dell’unico argomento che non ho spiegato a lezione ma che gli studenti devono affrontare per conto loro) fa riferimento a un testo che ho scritto nel 2015 (Cosmopolitismi liminari. Strategie di identità e categorizzazione tra cultura e classe nelle occupazioni a scopo abitativo a Roma”, ANUAC, 4, 2: 130-156. ISSN: 2239-625X –DOI: 10.7340/anuac2239-625X-1978) per cercare di raccontare le diverse economie morali (vale a dire i sistemi di giudizio e il loro modo di circolazione) di fronte alla presenza straniera tra gli occupanti a scopo abitativo. Il saggio parte dalla considerazione puramente statistica (un “dato”, dunque) che se a Roma ci sono circa il 12% di stranieri residenti rispetto alla popolazione, nelle occupazioni questo numero schizza ad oltre il 50%. Il numero di stranieri occupanti, dunque, non ha nulla a che fare con il modo in cui esso viene giudicato o rappresentato. La domanda infatti implica un dato di fatto (che gli squatters stranieri siano in percentuale maggiore degli stranieri tout court a Roma) e chiede che giudizio danno di quel dato di fatto da un lato i leader politici delle occupazioni a scopo abitativo (in sintesi, dico che ne danno un giudizio positivo ma tendono a sottovalutare il senso della diversità culturale di cui quegli stranieri sono portatori, per accentuare invece la loro condizione di classe) e dall’altro il sistema della comunicazione (in sintesi, dico che i media esasperano la presenza straniera nelle occupazioni e anzi alterizzano proprio l’azione dell’occupare come fosse una nuova tendenza indotta dagli stranieri, e non invece quel che è, vale a dire una tradizione italiana e anzi romanissima, visto che l’emergenza abitativa costituisce la storia di Roma da quando è capitale italiana, che ha semplicemente accolto gli stranieri come nuova massa critica).
Il saggio, dunque, su questo aspetto è lineare: c’è un dato di fatto che viene letto moralmente in modo antitetico dai suoi protagonisti politici e dai responsabili pubblici della sua rappresentazione. Ovviamente, leggo di tutto nelle risposte, spesso perché, nonostante le mie raccomandazioni, molti studenti tendono a studiare solo quel che ho spiegato in classe e reso disponibile in formato mp3. Ci sono arrampicate sugli specchi, confusioni imbarazzanti (spesso chi non ha letto pretende di spiegare perché ci siano “così tanti stranieri a Roma”) ma a volte mi capita di leggere cose più preoccupanti, come questa: 
Secondo i leader delle occupazioni e i mass media la presenza degli stranieri tra gli squatters a Roma eccede di molto la loro percentuale media sul territorio per la peculiarità con cui è sorta e si è poi diffusa l’edilizia delle periferie.
Non voglio proseguire (lo studente poi dirà che le “urbanizzazioni inesistenti o scarse hanno visto proliferare l’illegalità e l’assenza delle istituzioni”, e ormai è luogo comune il nesso tra illegalità e immigrazione, sancito nella condizione del “clandestino” che le condensa in un unico simbolo) e mi accontento di analizzare questa frase di apertura. Non vale neppure la pena di notare che “leader” e “mass media” sono accorpati in un giudizio unanime (“Secondo i leader delle occupazioni e i mass media”), anche se il saggio dice l’esatto opposto. Dobbiamo invece prestare attenzione a quel “Secondo” iniziale, che trasforma il dato in un giudizio. La struttura logica della domanda era:
Ci sono tanti stranieri tra gli occupanti (dato)Perché i leader politici tendono a sottovalutare la loro presenza e i mass media invece la sopravvalutano (giudizio morale)?
La domanda si è ribaltata in questa risposta:
Roma è stata costruita da schifo, dando spazio all’illegalità (dato)E quindi
Secondo i leader e i mass media ci sono tanti stranieri tra gli occupanti (giudizio morale)
La numerosa presenza straniera tra gli squatters (che nella domanda era un punto di partenza dato) diventa nella risposta una valutazione di ordine morale promanata dal Popolo: leader politici e giornali assieme hanno detto che ci sono troppi stranieri in città.
La cosa moralmente eccepibile diventa la presenza straniera, non il giudizio conflittuale tra leader e mass media, e l’edilizia immorale di Roma diventa un dato di fatto che giustifica il giudizio moralistico sull’eccesso di stranieri che sguazzano nell’illegalità.
Questa incapacità di distinguere una razionalità oggettiva (ci sono più stranieri tra gli occupanti che tra i cittadini ordinari: chiamatela dato di fatto, chiamatela realtà) da una razionalità soggettiva (ci sono troppi stranieri a Roma) è la fine della politica, che dovrebbe essere il tentativo di far quadrare soggettività divergenti dentro un contesto oggettivamente condiviso.
Come professore (specifico sempre per i nostalgici renziani: sono solo un professorino, ancora associato, e in più insegno una materiucola marginale come l’antropologia culturale) mi sento profondamente chiamato in causa da sintomi come questa risposta alla mia domanda, e mi chiedo che cosa dovrei fare. Di fronte a chi mi dice che “a scuola non si fa politica” io, che una scuola di politica la gestisco direttamente, cosa dovrei rispondere? Che non devo parlare di occupazioni a scopo abitativo? Che non devo parlare di immigrazione a Roma? Che dovrei tornarmene da bravo antropologo obbediente nelle Trobriand e curarmi dei miei selvaggi mentre qui Coloro che La Sanno Lunga si occupano delle Cose Importanti?