LEZIONE 02 del 6 ottobre 2021.
Lo scopo
di questa lezione è stato duplice:
1.
dimostrare che la cultura non è un accidente o una conseguenza della nostra umanità,
ma ne è invece l'ingrediente più vistoso, fin dentro la forma fisica.
2.
Secondariamente, la lezione ha anche la funzione di farci riflettere sulle costrizioni
che ciò comporta sull'identità, che non è una "libera scelta"
ma la risultante di questo sistema di de-limitazioni e costruzioni del nostro
essere tra "indole" e "ambiente", in una circolarità costante.
Un effetto immediato della coscienza di
avere una coscienza è il dramma della riflessività,
come racconta l'apologo del millepiedi e della formica: la consapevolezza
della propria coscienza produce un nuovo campo del reale, che dobbiamo chiamare
simbolico, un campo attraverso cui gli
umani hanno imparato a connettere qualunque cosa con qualunque altra
cosa.
Quindi, gli esseri umani non solo sono
coscienti, non solo sono coscienti di esserlo, ma sono consapevoli di questa
coscienza della coscienza, e ne parlano da sempre. Il mito di Prometeo e
Epimeteo raccontato nel Protagora di Platone (che noi abbiamo letto nella
sintesi che ne ha dato DAN SPERBER
nel suo Il
sapere degli antropologi) è proprio una riflessione su questa incompletezza costitutiva della
nostra specie, che ha bisogno di risposte extrasomatiche per completarsi.
Ma questa costruzione della propria
identità non è solo nel corpo come materia inerte, lo è anche nel corpo come sistema
di funzioni e schemi di azione, come ci ha raccontato MARCEL MAUSS
con "Le
tecniche del corpo" e i suoi esempi.
Abbiamo proseguito accennando quanto
questa costruzione del corpo da parte della cultura tocchi certamente anche le differenze di genere, ma ho chiarito che il tema è
davvero troppo complesso per pensare di poterlo elaborare di passaggio.
Quanto questa costruzione "fisica"
della cultura sia misurabile è chiaro da un articolo scientifico del
2000, in cui è stato misurato l'ippocampo di un gruppo di tassisti londinesi
confrontato con l'ippocampo di un gruppo di persone che non guidano. Quello dei
tassisti nella sua parte posteriore è mediamente più spesso in misura
significativa dell'ippocampo dei non-tassisti, e questo dato è così letto dagli
autori dell'articolo: "Sembra che ci sia una variazione
plastica locale nella struttura del cervello umano adulto sano in risposta agli stimoli ambientali".
Niente male come interazione tra corpo e ambiente, no?
Per esemplificare ulteriormente questa
capacità del corpo di "fare sua" la conoscenza appresa, vale a dire
la cultura, abbiamo letto un passaggio dal libro Pensare
come un antropologo, di MATTHEW
ENGELKE, in cui un malinteso sul senso della parola "cricket"
diventa una rappresentazione plastica del riflesso del vomito.
Abbiamo aggiunto un aspetto interessante
sempre in questa direzione: che cioè il senso del disgusto che abbiamo elaborato molto prima di diventare umani,
per difenderci dal pericolo di ingerire qualcosa di intossicante
o altrimenti pericoloso, è stato dirottato in senso
morale (quel personaggio mi fa
schifo, questa azione è veramente perversa e mi dà la nausea) ma è sollecitata
dalla stessa zona cerebrale (la corteccia insulare, non me lo ricordavo
a lezione, ma questo lo racconta ROBERT SAPOLSKY con
la sua usuale maestria; nel video linkato spiega poi come questa connessione
tra disgusto fisico e disapprovazione morale si ripercuota nel nostro giudizio
del mondo, traendone inferenze errate come questa, che possono avere
conseguenze politiche enormi: se una cosa mi ripugna, dev’essere moralmente sbagliata).
Questo fatto, che cioè il nostro sapere
culturale si inscrive nel corpo mutandolo,
è al centro dell'articolo di CLIFFORD GEERTZ che costituisce con EDELMAN
la lettura di riferimento di queste prime due lezioni, vale a dire "L'impatto
del concetto di cultura sul concetto di uomo", ma non abbiamo avuto il
modo di parlarne veramente in questa lezione, e lo riprenderemo alla prossima.
Per concludere, ci siamo posti una domanda
retorica: ma allora, se il sapere appreso (la cultura) agisce in
profondità nella Psiche e nel Soma degli umani, che differenza
c'è con il sapere innato, che invece prevale comunque negli animali? C'è
davvero una differenza nella loro natura costitutiva, tra questi due
tipi di sapere, oppure, visto che l'effetto è sempre quello di far interagire
funzionalmente il corpo adattivamente con il suo ambiente, possiamo
disinteressarci della genesi (naturale o culturale, rispettivamente) di
questo sapere e trattare il tutto come un sistema adattivo?
Ecco, abbiamo concluso la lezione proprio
tornando un poco sui nostri passi: se pure gli animali hanno cultura, se pure
gli umani hanno istinti e riflessi condizionati, tra sapere acquisito
prevalentemente per trasmissione genetica (come quello delle api, che
sanno comunicare informazioni molto complesse con le compagne) e sapere culturale (come quello di una
banda di cacciatori di conigli) vi è una differenza enorme per quanto riguarda
la flessibilità e
fragilità: il sapere culturale è molto
più flessibile (può adattarsi più rapidamente) del sapere trasmesso
geneticamente, ma è anche molto più fragile nel suo mantenimento perché ha
bisogno di costante manutenzione per essere trasmesso. Venerdì
ripartiamo da qui.