Il tema di questa lezione è
l’INTERPRETAZIONE, ovvero quanto il dato etnografico sia in realtà costituito
da un processo ermeneutico costante: sul campo, l’antropologa raccoglie letture
stratificate e cerca di organizzarle in un quadro di senso.
[MINUTO 02:00] THIN DESCRIPTION e THICK DESCRIPTION. Uno
dei concetti più elusivi della teoria della descrizione, possiamo riassumere
dicendo che la thin è una descrizione INSENSATA, mentre la THICK è la
descrizione che incorpora in sé il SENSO DELL’AZIONE DAL PUNTO DI VISTA DELL’ATTORE
SOCIALE. [MINUTO
03:30] riprendo un po’ teatralizzata la storiella dell’OCCHIOLINO
raccontata da Gylbert Ryle proprio per spiegare in cosa consista la
differenza tra thin e thick.
[MINUTO
09:45] non è l’osservazione quel che conta per la vita
umana, ma l’interpretazione del senso di quel che osserviamo. Se non abbiamo un
quadro di senso, non osserviamo se non cose senza senso. L’antropologa sul
campo si impegna cercare, nel reale che “osserva”, non tanto il suo senso, il
punto di vista dell’osservatore ignorante, ma piuttosto il senso dell’attore sociale,
il suo punto di vista.
[MINUTO
15:00] Un altro modo di raccontare questa differenza è con
il racconto del MARZIANO che assiste a un BATTESIMO: La versione thin della storia,
per quanto dettagliata, non ne coglie il senso, non ci dice quel che gli attori
stanno facendo davvero (cioè quel che gli attori sociali immaginano di stare
facendo).
[MINUTO 20:33] La cultura costituita dalle
RETI DI SIGNIFICATO che gli umani hanno tessuto, secondo quando ci ha insegnato
MAX WEBER (tramite Clifford Geertz)
[MINUTO 22:59] -EMIC
vs -ETIC. La descrizione dal punto
di vista dell’attore sociale (-emic) contrapposta alla descrizione condotta dal
punto di vista dell’osservatore (-etic). La storia linguistica di questa opposizione,
che ricalca in profondità quella tra thin (=etic) e thick (=emic).
KENNETH PIKE (1953) ha contropposto phonetic a phonemic,
per distinguere, rispettivamente, il livello delle differenze oggettive tra
i suoni prodotti, e il livello delle differenze significative che quella
lingua riconosce.
[MINUTO
31:30] Come non morire di noia quando si legge o si ascolta
una storia. L’attenzione è garantita se riesci a infilarti in quella rete di
significati. A questo punto, comincia la mia lettura effettiva della STORIA DI
COHEN, che riprendo nella sintesi che ne ho dato nel mio La ninfa e
lo scoglio.
L’antropologo che più ha insistito sulla
dimensione interpretativa della cultura è stato CLIFFORD GEERTZ, e uno
dei racconti più memorabili di questo lavorio culturale è stato quello del
mercante ebreo Cohen nel Marocco agli albori del colonialismo
francese, nel 1912.
Rovinato nell’onore da una banda di
predoni berberi che gli hanno ucciso due clienti in casa, Cohen si rivolge ai
militari francesi, arrivati da poco a presidiare la zona, per chiedere loro il
permesso di riattivare il vecchio patto commerciale con lo sceicco della
zona, che gli avrebbe garantito il suo diritto di farsi giustizia per
questa patente violazione delle norme sociali della regione: non si
interferisce con un mercante mentre ospita un cliente per una trattativa, e
questa interferenza va ricompensata con un valore mercantile pari a quattro o
cinque volte il danno subito, così che l’onore (’ar) del
danneggiato sia reintegrato pubblicamente. I francesi non capiscono nulla di
queste liturgie culturali locali, e scacciano Cohen con un secco “fai come ti
pare!”. Il mercante ebreo interpreta pro domo sua questo disinteresse
dei colonizzatori come un assenso implicito e parte a cercare giustizia
sollevando dal torpore il suo sceicco (pensionato anzitempo dai francesi
stessi, preoccupati di porsi come gli unici monopolisti della giustizia, in
nome dell’incipiente modernizzazione che avrebbe trasceso le vecchie
solidarietà tribali) e una banda di compaesani parimenti stralunati.
Cosa fa Cohen per chiedere giustizia in
quel contesto culturale? Simula un furto di tutto il bestiame razziato
fin lì dai predoni, e scappa. I predoni, quando si rendono conto che una banda
di pazzi nottetempo si è presa la briga di immobilizzare il loro pastore e
tagliare la corda con tutte le pecore, saltano sui cavalli e iniziano uno
svogliato inseguimento, più che altro allibiti che qualcuno si sia preso
un simile ardire, di andare cioè a rubare a casa dei ladri più feroci della
zona. Quando però vedono a distanza la figura allampanata di Cohen che
scappa con lo sceicco e le pecore, lo riconoscono e fanno: “Ah, è lui. Sediamoci e parliamo”.
La trattativa si conclude con Cohen che
tutto felice è riuscito a spuntare ben cinquecento pecore come compenso e
garanzia di vedere reintegrato il suo perduto onore di mercante
in grado di proteggere i suoi clienti secondo i sacri dettami dell’ospitalità,
ma quando torna in città, di nuovo i soldati francesi non capiscono nulla di
quel che Cohen dice loro (che quel gregge in realtà è il suo ’ar, il suo onore
restituito) e lo sbattono in prigione sequestrandogli le pecore, che loro
credono siano la prova della sua connivenza coi predoni berberi, visto
che lui ha insistito così tanto nell’ammettere che quel gregge gli è stato dato
proprio dai predoni, ricercati di primo grado dai francesi.
Geertz ha scritto uno dei saggi più
memorabili dell’antropologia culturale del novecento per spiegare questa
storia, per spiegare cioè che ebrei, berberi e francesi in quel 1912 condividevano
certo lo stesso mondo reale, ma lo interpretavano in modi non
sempre sovrapponibili. Quel che un’ipotetica telecamera su un satellite spia
avrebbe potuto registrare come un “furto notturno di bestiame nel
deserto fuori Marmusha, in Marocco” è in realtà un’azione sociale completamente
diversa.
Cohen compie un’azione simbolica,
una dichiarazione politica: Ridatemi il mio onore, voi che mi avete disonorato!
Sono costretto a simulare un’azione vergognosa, un abigeato notturno, per
rammentarvi che avete fatto una cosa disonorevole, umiliandomi nella mia
funzione di ospite dei miei clienti. Il “furto di pecore”, insomma, viene
correttamente interpretato dai berberi, che condividono con Cohen un
comune orizzonte morale legato al rispetto dell’onore e alla legittimità di
riscattare la sua perdita. I predoni “vedono” nella farsa del furto delle
pecore il senso che Cohen vi ha incorporato, lo comprendono e
accettano di patteggiare la compensazione. Quando torna con il suo belante ’ar
i francesi, di nuovo, non capiscono e si comportano come fanno sempre i
dominatori, esercitando la forza lì dove loro manca il senso.
Tutto questo complesso simbolico di
azioni (ammazzare clienti altrui, lamentarsi coi francesi, titillare l’orgoglio
di un sceicco fuori gioco, rubare per burla, trattare sul serio, imprigionare
perplessi) non è stato “osservato” dall’antropologo, dato che tutto quel
che ha avuto Geertz sul campo, negli anni Sessanta, è stato il racconto
di un vecchio mercante ebreo, che sornione e stanco ha raccontato allo
straniero una storia incredibile che gli era capitata mezzo secolo prima,
quando era solo un giovane sbruffone al limite dell’incoscienza.
Quel che voi avete ascoltato a lezione,
dunque, è la mia interpretazione di quel che Geertz ha scritto in
quel saggio, che condensa la sua interpretazione di quel che ha
capito dal racconto tradotto da un mediatore di un vecchio mercante
ebreo; racconto che era l’interpretazione, a cinquant’anni di distanza,
di una serie di eventi che Cohen aveva vissuto e cercato di capire
mentre li viveva. Ecco, questa è natura necessariamente interpretativa della
ricerca antropologica.
[MINUTO
1:20:00] sintetizzo la seconda parte del saggio,
anticipando una lettura più dettagliata in una lettura che caricherò come bonus
track di questa lezione.