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sabato 10 maggio 2025

Leone XIV e l’etnocentrismo


 “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Comincia tutto da qui. Ma non per il papa, non solo per la Chiesa: comincia da qui, o dovrebbe cominciare da qui, anche l’antropologia culturale. Non nel senso che tutti dobbiamo convertirci al cristianesimo (non sia mai), ma nel senso che l’atto di riconoscere una posizione radicalmente altra, di prenderla sul serio nelle sue condizioni di verità interne, di ascoltarla prima di ridurla al nostro schema interpretativo, è il fondamento stesso del nostro mestiere.

La prima omelia di Leone XIV è, da questo punto di vista, una lectio magistralis. E ci ricorda che questo papa non è né bergoglianoanti-bergogliano, né conservatoreprogressista, né populistaelitarista. È, ed è qui che molti inciampano, un papa cristiano.

A volerlo incasellare – come già si sta facendo, e peggio si farà – si tradisce un riflesso tipico dell’etnocentrismo: quello per cui ogni enunciato, ogni gesto, ogni parola deve necessariamente rientrare in uno dei nostri schemi di senso, pena l’irrilevanza. Come se la realtà fosse lì per essere confermata dalla nostra griglia interpretativa, e non per metterla in crisi. Come se Cristo, per parlare alla storia, dovesse diventare un po’ socialdemocratico, oppure un po’ tradizionalista con sensibilità ecologista.

Quello che Leone XIV fa, invece, è esattamente il contrario. Si mette fuori da tutti i circuiti prevedibili dell’analisi. Non è “contro” il mondo: semplicemente non lo prende come riferimento prioritario. Non dice che la fede cristiana è più ragionevole del pensiero moderno, dice che è un’altra cosa. Non chiede che la Chiesa diventi rilevante nei dibattiti della società contemporanea: dice che la Chiesa è il corpo vivente del Cristo, il luogo in cui l’umano viene trasfigurato perché Dio si è fatto carne.

Questa distinzione, che è teologica, è anche un richiamo epistemologico per chi fa il nostro mestiere: è la differenza tra interpretare a partire dai soggetti e interpretare sui soggetti. E noi, diciamolo chiaramente, troppo spesso facciamo la seconda. Come se gli attori sociali non sapessero quel che dicono, come se i nostri informatori andassero decodificati, smascherati, “tradotti” nel nostro gergo teorico.

Ma Leone XIV ci invita a un’altra postura: quella di chi ascolta senza precomprensioni, di chi assume come plausibile – almeno come punto di partenza – ciò che viene detto in nome di un altro mondo possibile. È l’approccio emic, lo ripeto in tutti i miei corsi: assumere il punto di vista interno, non per rinunciare alla critica, ma per evitare l'arroganza di chi pensa di sapere già come stanno le cose.

E c’è di più. Leone XIV sembra esigere questa serietà dell’ascolto anche dai cristiani stessi. Lo fa quando critica quello che chiama “ateismo di fatto”, cioè la riduzione del Cristo a un profeta tra gli altri, a un uomo esemplare, magari anche stimato e seguito, ma pur sempre addomesticato dentro le nostre categorie culturali e morali. È proprio contro questo atteggiamento che si scaglia: contro quel modo di fare finta di ascoltare, per poi imporre alla parola dell’Altro le nostre griglie interpretative. Come a dire: “sì, parla pure, tu, Altro. Tanto io so già come la pensi, e appena taci te lo dico”. No, dice Leone XIV: l’Altro ha un messaggio sconvolgente da portare, e non possiamo addomesticarlo nelle nostre scatoline predisposte.

Quando il papa parla della fede come testimonianza che può essere disprezzata, compatita, ridotta a superstizione; quando descrive la figura di Gesù rifiutato dai potenti e abbandonato dai suoi; quando chiede che chi ha autorità nella Chiesa impari a “sparire perché rimanga Cristo”... non sta facendo né politica, né sociologia, né etica pubblica. Sta dicendo qualcosa che ha senso solo se si accetta la premessa: che Cristo è davvero il Figlio del Dio vivente.

E se così è, allora tutto il resto – le etichette, le classificazioni, le griglie interpretative – va messo tra parentesi. È un cambio di sguardo. È il punto zero dell’analisi culturale: non capire per giudicare, ma capire per lasciarsi interrogare.

Chi ha orecchi, ascolti. Ma ascolti davvero.