“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Comincia tutto da qui. Ma non per il papa, non solo per la Chiesa: comincia da qui, o dovrebbe cominciare da qui, anche l’antropologia culturale. Non nel senso che tutti dobbiamo convertirci al cristianesimo (non sia mai), ma nel senso che l’atto di riconoscere una posizione radicalmente altra, di prenderla sul serio nelle sue condizioni di verità interne, di ascoltarla prima di ridurla al nostro schema interpretativo, è il fondamento stesso del nostro mestiere.
La prima omelia di Leone XIV è, da
questo punto di vista, una lectio magistralis. E ci ricorda che questo
papa non è né bergogliano né anti-bergogliano, né conservatore
né progressista, né populista né elitarista. È, ed è qui
che molti inciampano, un papa cristiano.
A volerlo incasellare – come già si sta
facendo, e peggio si farà – si tradisce un riflesso tipico dell’etnocentrismo:
quello per cui ogni enunciato, ogni gesto, ogni parola deve necessariamente
rientrare in uno dei nostri schemi di senso, pena l’irrilevanza. Come se
la realtà fosse lì per essere confermata dalla nostra griglia
interpretativa, e non per metterla in crisi. Come se Cristo, per parlare
alla storia, dovesse diventare un po’ socialdemocratico, oppure un
po’ tradizionalista con sensibilità ecologista.
Quello che Leone XIV fa, invece, è esattamente
il contrario. Si mette fuori da tutti i circuiti prevedibili dell’analisi.
Non è “contro” il mondo: semplicemente non lo prende come riferimento
prioritario. Non dice che la fede cristiana è più ragionevole del
pensiero moderno, dice che è un’altra cosa. Non chiede che la Chiesa
diventi rilevante nei dibattiti della società contemporanea: dice che la
Chiesa è il corpo vivente del Cristo, il luogo in cui l’umano viene trasfigurato
perché Dio si è fatto carne.
Questa distinzione, che è teologica, è
anche un richiamo epistemologico per chi fa il nostro mestiere: è la
differenza tra interpretare a partire dai soggetti e interpretare sui
soggetti. E noi, diciamolo chiaramente, troppo spesso facciamo la seconda. Come
se gli attori sociali non sapessero quel che dicono, come se i nostri informatori
andassero decodificati, smascherati, “tradotti” nel nostro gergo
teorico.
Ma Leone XIV ci invita a un’altra postura:
quella di chi ascolta senza precomprensioni, di chi assume come plausibile
– almeno come punto di partenza – ciò che viene detto in nome di un altro
mondo possibile. È l’approccio emic, lo ripeto in tutti i miei corsi: assumere il punto di vista interno, non per rinunciare alla critica,
ma per evitare l'arroganza di chi pensa di sapere già come stanno le cose.
E c’è di più. Leone XIV sembra esigere questa serietà
dell’ascolto anche dai cristiani stessi. Lo fa quando critica quello
che chiama “ateismo di fatto”, cioè la riduzione del Cristo a un profeta
tra gli altri, a un uomo esemplare, magari anche stimato e seguito, ma
pur sempre addomesticato dentro le nostre categorie culturali e morali.
È proprio contro questo atteggiamento che si scaglia: contro quel modo di fare finta
di ascoltare, per poi imporre alla parola dell’Altro le nostre griglie
interpretative. Come a dire: “sì, parla pure, tu, Altro. Tanto io so già
come la pensi, e appena taci te lo dico”. No, dice Leone XIV: l’Altro ha
un messaggio sconvolgente da portare, e non possiamo addomesticarlo
nelle nostre scatoline predisposte.
Quando il papa parla della fede come
testimonianza che può essere disprezzata, compatita, ridotta a superstizione;
quando descrive la figura di Gesù rifiutato dai potenti e abbandonato dai
suoi; quando chiede che chi ha autorità nella Chiesa impari a “sparire
perché rimanga Cristo”... non sta facendo né politica, né sociologia,
né etica pubblica. Sta dicendo qualcosa che ha senso solo se si accetta
la premessa: che Cristo è davvero il Figlio del Dio vivente.
E se così è, allora tutto il resto – le etichette,
le classificazioni, le griglie interpretative – va messo tra
parentesi. È un cambio di sguardo. È il punto zero dell’analisi
culturale: non capire per giudicare, ma capire per lasciarsi
interrogare.
Chi ha orecchi, ascolti. Ma ascolti davvero.