2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

venerdì 27 novembre 2015

Ancora su Islam Giustizia Violenza

I ragazzi di Soggiorno Stampa (so che "ragazzi" suona paternalistico e poco professionalizzante, ma veramente "sorragazzi", anche se "sobbravi") hanno stesso un pezzo sull'incontro che si è tenuto a Tor Vergata il 20 novembre scorso con Jasser Auda. Lo riporto qui di seguito, con il link alla sintesi audio.
La legge islamica condanna gli attentati di Parigi  Camminando per le strade si sentono voci e culture che spesso si scontrano tra loro, ma che comunque mantengono la peculiarità della dimensione multiforme della società. “Quelli di Parigi erano attentatori islamici provenienti dalla Siria: cacciamoli dall'Italia” oppure “ho paura ad andare in giro: sai quanti musulmani ci sono a Roma?”. Il terrore e l'odio dell'altro è quello che gli attentatori vogliono far passare nelle teste dei popoli 'occidentali'. Ma davvero la legge islamica, la famosa Shari'a, obbliga i musulmani a sterminare i cristiani?  Il ricercatore di Antropologia culturale presso l'Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, Piero Vereni, ha organizzato l’incontro “Islam Giustizia Violenza” proprio per discutere della legge islamica e della comunità musulmana che rappresenta una realtà importante della società italiana del Ventunesimo secolo.  Sabrina Lei, direttrice di “Tawasul Europe”, ha spiegato che “secondo la Shari'a, ogni credente islamico è responsabile singolarmente davanti a Dio e non si può parlare di collettività in caso di errore personale”. Questo vuol dire che anche chi ha provocato la morte di altre persone, come a Parigi, non deve essere preso come unione di più persone ma come individuo singolo. “Islam”, continua Lei, “è un invito che fa Dio nei confronti dell'uomo e la comunità islamica è fondata sull'equilibrio: chiunque si avvicini all'estremismo non segue la vita islamica”.  Jasser Auda, direttore esecutivo del “Maqasid Institute” di Londra, ha spiegato che “la parola Shari'a non vuol dire legge islamica ma etica islamica. È un modo di vivere che proviene dal divino, ispirato dal Profeta”. C'è un'altra parola, Kanun, che invece indica la 'legge del posto', basata sulla Costituzione di uno Stato. Quest'ultima è molto diversa dalla Shari'a.  “La parte stabile delle legge islamica”, continua Auda, “è legata alle azioni di culto e si lega all'etica delle persone. C'è anche una parte variabile che riguarda le attività quotidiane dei musulmani. Bene, la Giustizia islamica è equilibrio”.
 AUDIO Jasser Auda 

Il cambiamento non avverrà se il popolo islamico non vorrà. Finché le persone non sentiranno il bisogno di cambiare e trovare una base comune, ci saranno sempre dei conflitti. Il convegno ha rivelato come organizzazioni come l'Isis siano il frutto di violenze e tirannie pregresse: queste creano delle bestie che non rappresentano la parte religiosa, ma quella cattiva. Auda descrive l'Isis e gli attentatori come persone non intelligenti. Queste 'bestie' non rappresentano e non rappresenteranno mai l'Islam. Non confondiamo.

domenica 22 novembre 2015

Sapessi che giornata, passare una mattina a Tor Vergata

  Non è facile raccontare uno stato d’animo quando questo si mischia con una molteplice responsabilità, ma vorrei provare comunque a riferire la mia gioia per un evento di cui sono stato promotore, grazie alla sollecitazione amichevole e allo sforzo indispensabile degli amici di Tawasul Europe, Sabrina Lei e Abdel Latif Chalikandi.

L’incontro con Jasser Auda di venerdì 20 novembre è andato bene, per dirla senza giri di parole. Speravo in una buona partecipazione e aver dovuto richiedere l’aula Moscati perché l’aula Massimo Rosati non bastava è stato il segno più evidente della grande attenzione che l’incontro ha attratto. Dico solo che non era scontato, che era venerdì, giorno pestifero per gli atenei, ma la presenza di così tanti studenti per me è stata un’ulteriore prova che il nostro compito (non ruolo, per cortesia, compito) di insegnanti non è un’offerta che cala nel vuoto, ma sorge da una richiesta vera. Le giovani e i giovani vengono all’università non solo per conquistarsi un titolo di studio, per poter migliorare le loro chance di successo in un sistema del lavoro sempre più fragile e spietato, ma anche perché hanno bisogno di formarsi, di costruirsi come persone, come adulti maturi ma non incancreniti nella rigidezza di una forma di vita costretta dalla necessità e dall’inerzia. Vengono all’università per imparare un sacco di cose a prima vista “inutili” - nella patetica (e orribile) metafora quantitativa dei debiti e crediti - ma sentite invece come fondamentali nella qualità e nel senso delle loro vite.

Hanno ascoltato una lezione importante, oltre che sorprendente, e qui mi riferisco ai contenuti di quel che ha detto Jasser Auda. Il senso per noi è stato chiaro, direi: non possiamo ridurre l’alterità all’immagine che la sua parte più appariscente e brutale pretende di imporci e che coincide poi con quella che il nostro sistema di alterizzazione ha anche contribuito a produrre. Nel mondo islamico c’è una varietà tale che si avvicina (per il nostro occhio assuefatto alla strutturazione gerarchica del pensiero e di quelle sue espressioni sedimentate che chiamiamo istituzioni) al caos. Ma dentro quel caos, come ci ha insegnato Jasser Auda, si sono depositate conformazioni cristalline di una bellezza perturbante. Mettersi in ascolto, dare credito alla complessità, accettare banalmente di “cambiare parere” è per noi una conquista, un lento obiettivo che si consolida nell’abitudine, nello studio, nella pazienza di non sbraitare con “i fatti, vogliamo i fatti”, ma di riprendere ad appoggiarci alla stupenda utilità dell’otium studiorum. Dentro l’Islam c’è tanto da imparare, insomma, ma tocca impararlo. Fosse stato questo il raggiungimento della nostra giornata, avrei comunque toccato il mio obiettivo di “maestro” (è un termine che non disdegno, e non relego nel disprezzo per “quello elementare” o nell’inarrivabilità del santone, e che tengo caro come etimo, colui che sa di essere in posizione superiore ai discenti, ma considera questa posizione una responsabilità nella trasmissione del sapere, non una fonte di privilegio).

   Ma l’ultima ora del nostro incontro ha dato un tono ulteriore a tutta la giornata, e di questo sono fermamente convinto. Trenta persone hanno portato da mangiare e da bere, si sono impegnate a rendere confortevole il rifocillarsi dei nostri ospiti in un clima tutto imbevuto dell’economia della reciprocità e del dono. Posso confermare che Jasser è rimasto molto impressionato dalle domande che gli sono state rivolte sia durante la presentazione, sia durante il pranzo, e ha molto apprezzato la capacità delle studentesse e degli studenti di vivere gli spazi di Tor Vergata come “i loro spazi”, memori che per essere ospitali, per far sentire l’ospite “a casa”, bisogna preliminarmente sentirsi a casa.

   Lo studio come otium, lavoro impegnativo e remunerativo solo se si ha un piano di lungo periodo; l’alterità come complessità, vale a dire come l’opposto di come spesso siamo istruiti a vederla; la condivisione come reciprocità, cioè l’impegno ad incontrare l’altro oltre le piccolezze della convenienza immediata. Abbiamo imparato tre cose, e non abbiamo guadagnato neanche un credito. È stata una giornata magnifica.

giovedì 19 novembre 2015

Islam Giustizia Violenza

Per chi non ha voglia di sentirsi in guerra ma di sentire

Per chi non vuole passare all'azione ma piuttosto passare alla riflessione

Per chi non crede che adesso basta ma adesso invece ancora, ancora dobbiamo capire tante cose, gli uni degli altri

E' un invito aperto, fate circolare per cortesia.
Ricopio qui la lettera, che ho scritto ai miei studenti invitandoli pressantemente:

Car* student* di antropologia culturale,
con molto piacere e con tutta la forza di persuasione che possiedo in qualità di "vostro docente" vi invito a partecipare all'incontro che sto organizzando per il prossimo venerdì prossimo, 20 novembre, di cui ho già accennato a lezione. Trovate la locandina in allegato.
Vi invio inoltre il link per chiedere la vostra partecipazione attiva al "pranzo sociale" che si terrà alle 12, dopo la discussione. Un piccolo gesto di condivisione (ne parleremo a lungo nel secondo semestre, per chi vorrà a dovrà esserci) e un piccolo segnale che anche nell'asettico mondo dell'università è possibile provare a tessere legami umani, relazioni tra persone oltre che gerarchie di potere.
Cliccate il link, indicate il vostro nome e impegnatevi anche solo simbolicamente (un pacco di patatine, una bottiglia di chinotto, un pacchetto di tovaglioli...) e vediamo di capire se siamo diventati una classe, non solo un'accozzaglia di gente in fila per fare l'esame:


Un caro saluto, per me sarà una bella occasione si sentire anche le vostre voci, dopo che per troppo tempo voi avete sempre e solo sentito la mia,
pv

venerdì 6 novembre 2015

Global Conversation with Prof. Michael Herzfeld

"Ciphers to this Great Accompt: From Ethnography to Global Comparison, or, Why the Big Picture Needs the Little Details"

Michael Herzfeld è uno degli antropologi viventi più noti e più attivi nel dibattito internazionale. Ha lavorato a lungo in Grecia, in Italia e Tailandia, ha un curriculum lungo come un treno merci e sentirlo parlare è sempre un vero piacere, per la lucidità e la profondità delle sue idee. Viene a Tor Vergata lunedì 9 novembre, alle ore 10:00 sarà nella saletta della biblioteca di Economia (via Columbia 2) e spiegherà agli studenti di Global Governance perché la cura del dettaglio tipica dell'antropologia culturale è fondamentale se vogliamo capire qualcosa dei grandi flussi del sistema globale.
Il suo inglese britannico non dovrebbe spaventare nessuno (e potrà rispondere alle domande anche nel suo italiano perfetto, tiene la conferenza in lingua inglese solo perché questa è la lingua del corso di Global Governance)