2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

lunedì 27 maggio 2019

Il doppio record del Municipio delle Torri


Guardando a queste europee dalla periferia romana, colpisce il doppio dato del VI municipio, detto delle Torri, quello dove si trova l’università per cui lavoro, Tor Vergata, e il polo culturale ex Fienile con cui lavoro sul territorio.

Il dato è il doppio record, di voti alla Lega (il massimo in città, 36,8%, mentre nel comune è al 26%) e di affluenza alle urne (in questo caso il minimo a Roma, 42,4, nettamente inferiore al 56,5 dell’intero comune). Allora, dalle mie parti si vota pochissimo, e si vota a destra alquanto arrabbiati, pare.
Non ho idea di come la prenderanno i locali amici 5S, convinti che la valanga che aveva eletto Virginia Raggi avesse un’impronta sanamente popolare, e non biecamente populista come altri temevano.

A me resta il senso di sgomento per le prospettive di questa città. Per prendere il 26 (e quasi il 37 in periferia) la Lega ha potuto pescare candidati ovunque nel paese, date le dimensioni ultraregionali dei collegi elettorali. Ma se spera di bissare il successo alle prossime comunali (come sembra aver puntato da mesi, da quando Salvini ha iniziato a stuzzicare la sindaca ad ogni occasione) la Lega dovrà trovare candidati nella città metropolitana, e su questo c’è veramente da temere.

Se il M5S poteva far conto su una marea sbriciolata di semplicioni un po’ bislacchi ma anche bonari e fondamentalmente innocui (ormai è evidente: si sono candidati e sono stati eletti quasi tutti “individui”, veri cani sciolti con pochissimi precedenti legami intermedi con il corpo sociale e politico della città, e senza veri contatti con l’associazionismo, che è invece la spina dorsale che ancora impedisce a Roma di collassare su sé stessa), la strategia di reclutamento della Lega dovrà essere ben altra. Per fare l’amministratore grillino bastava avere un po’ di buon cuore, tanto amore per il popolo e una dose di risentimento adeguata, ma per candidarti nella Lega a Roma devi proprio essere cattivo, di quelli duri, che gli viene la bavetta all’angolo della bocca a forza di parlare nel megafono; che parla male di papa Francesco e dei suoi cardinali comunisti; che strizza l’occhio agli ultrà più violenti e che pensa che la crisi abitativa (cronica in questa città) vada risolta una volta per tutte con gli sgomberi; che crede veramente che i rom non si meritino le case popolari in nessun caso (ma non meritino neppure di vivere nei campi, e vai di ruspa); che credono veramente che “Mussolini ha fatto anche cose buone”; che non hanno alcun ritegno nell’incazzarsi e nel mostrare i bicipiti; che amano indossare divise, possibilmente di Forze dell’ordine.

Dove li andrà a reclutare, tutti questi celoduristi in una città come Roma, da sempre attenta ad essere tollerante, molliccia fino al fastidioso, pigra fino al punto di essere pacifica pur di risparmiare energie? Io ho il timore che dovrà proprio raschiare il fondo del barile sociale della città, prendersi il peggio del peggio e consegnargli la città: tiè, fanne strame.

Per questo dobbiamo continuare a lavorare, a fare il nostro lavoro di formazione, di inclusione, di preparazione. Portare i tanti disillusi a partecipare, a votare, a far sentire la loro voce anche se non è un urlo incazzato, anche se è solo una storia di periferia, di vita quotidiana, di battaglia coi bus e con i servizi che mancano.
Per questo non molliamo, noi del fienile, con la nostra Scuola di politica, e domani ospitiamo Renato Curcio. Un nome condannato dalla sua condanna (scontata tutta), un sociologo che ha molte cose da insegnare (più ora, direi, di quante non ne avesse quando è stato messo in galera) e una testa che non ha mai smesso di pensare connettendosi al pensiero di altri. Vi aspettiamo, alle 18, a largo Mengaroni, a Torbellamonaca.

martedì 21 maggio 2019

Tiziano Scarpa al Macro


Giovedì 23 maggio Tiziano Scarpa sarà al Macro Asilo per parlarci di “figura umana”, vale a dire di tutto. Di tutto quello di cui si è occupato e di cui ha scritto; per contribuire con la sua sapienza al percorso di messa a fuoco dell’UMANO, la parola che mi è stata affidata per la Stanza delle parole di quest’anno.
Credo che Tiziano Scarpa sia un importante autore della letteratura italiana dei nostri tempi. Molto importante. Non ho le competenze per porlo in qualche graduatoria, ma le cose che ho letto di lui sono sempre state importanti non solo per il mio grandissimo piacere di lettore (di nuovo, non ho un quadro comparativo amplio, ma come non notare il folle lavoro di cura che Tiziano Scarpa mette nella sua scrittura?) ma anche, non so come dirlo altrimenti, nel mio impegno di cittadino.
La sua politica dell’umano è nitida, ed è lo sforzo di essere verace, di parlare proprio di quell’umanità comune, spesso pochissimo eroica se non affettuosamente meschina, nella quale siamo tutti ingolfati noi che non pretendiamo di essere eletti alla prossima tornata, che non ci mettiamo di profilo perché ci devono premiare, che non accettiamo il sopruso, la prevaricazione e la violenza come nostre strategie dominanti. Una mansuetudine però del tutto irrequieta, non pacificata, mai sottomessa, insomma uno stile umano che io trovo molto vicino alla mia vita, e che mi pare raffiguri un ritratto sociale molto importante per capire dove stiamo e cosa facciamo.
Io dico che questo evento è imperdibile. Il LaPE sarà al Macro per documentare tutto, giovedì 23 maggio ore 17.

sabato 18 maggio 2019

Come siamo diventati novax

Roma Today, per noi poracci cittadini capitolini, non è male come giornale online. Una città così sbriciolata come Roma, incapace di produrre un'immagine complessiva e comprensibile di sé e sempre ancorata alle sue millanta microscopiche identità locali e rivali ha bisogno di uno spazio almeno nominale di raccordo (altro che anulare) e Roma Today con le sue sezioni per municipio costruisce le notizie fino a farle diventare qualcosa che somiglia più a un picasso ubriaco che a un compiuto ritratto borghese, ma del resto non si può cavare sangue dalle rape e ognuno ritrae quel che c'è, e se quel che c'è è frammentato è giusto che così venga rappresentanto.

Insomma, non ce l'ho con Roma Today, ma vorrei ricostruire un dettaglio sottile della comunicazione, del tutto irriflesso immagino, e prenderlo come sintomo di qualcosa di più grande, forse di quel che sta succedendo e che fatichiamo ancora a delineare.
Guardate l'immagine qui a sinistra, una schermata del mio cellulare. Il "caso xylella" ha già i suoi esegeti (Luciano Capone ha fatto un lavoro certosino) che ne hanno evidenziato la natura esemplare nel tenere assieme: cattiva magistratura (i magistrati che si mettono a fare ipotesi "scientifiche" è un fatto ributtante in un paese civilizzato), cattiva informazione (ci arrivo subito), cattiva politica (il modo il cui il M5S ha cavalcato fobie irragionevoli più che irrazionali è imbarazzante) e cattiva cittadinanza (una battaglia completamente sbagliata è stata assunta come senso comune del popolo).

Morale? La xyella si è diffusa e continua ad essere una peste ingestibile perché "la gente" aveva paura che si diffondesse; "la giustizia" ha interrotto il lavoro della "scienza" provando a sostituirla, e "l'informazione", con pochissime eccezioni, ha lucrato sulla paura per vendere copie e click.
Tornate ora a guardare l'immagine in alto a sinistra e guardate il soggetto e il verbo: l'Unione Europea AMMETTE. Nel significato qui impiegato, ammettere, ci dice il vocabolario Treccani, significa

"b. Riconoscere, consentire: ail proprio erroreadi aver tortoain giudizio le proprie responsabilitàala buona fede dell’avversarioammetto che sia così

Ammettere, in sintesi, è ritrarsi da un errore commesso. Quindi l'Unione Europea, a pochi giorni dalla richiesta di archiviazione che lo stesso tribunale di Lecce è stato costretto a fare per le accuse agli scienziati sul caso xylella, sembrerebbe riconoscere qualche suo errore o torto. Se questo non bastasse, il sommario dell'articolo sembra inoltre confermare che una sedicente cura è efficace:

Xylella, l'Ue ammette: "C'è un'alternativa agli abbattimenti, ma non elimina il batterio"
Secondo l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, "una diminuzione statisticamente significativa della gravità della malattia è stata osservata negli alberi trattati" con il metodo del ricercatore italiano Marco Scortichini.


Quindi il titolo e il sommario sembrano indicare che la battaglia popolare (giudici veramente a servizio del popolo, politici non corrotti  e cittadini consapevoli e non sottomessi) era una battaglia giusta, visto che l'UE ha ammesso un suo errore, e la cura sembra efficace.

Eppure, se leggiamo il contenuto dell'articolo leggiamo una storia completamente, diversa, addirittura opposta:

Xylella, l'Ue ammette: "C'è un'alternativa agli abbattimenti, ma non elimina il batterio"
Xylella, l'Ue ammette: "C'è un'alternativa agli abbattimenti, ma non elimina il batterio"

Il documento era balzato agli onori della cronaca nei giorni scorsi perché, di fatto, ha sancito che finora non esiste una cura scientificamente provata che elimini il batterio della Xylella. Motivo per cui, ha ribadito l'autorità, le uniche misure da attuare per fermare il contagio sempre più devastante, come denunciato dalla stessa Efsa, sono quelle che prevedono l'abbattimento degli ulivi malati. Che stando a dati della Coldiretti, avrebbero raggiunto i 21 milioni

Xylella, l'Ue ammette: "C'è un'alternativa agli abbattimenti, ma non elimina il batterio"

Il danno al settore olivicolo pugliese e italiano è enorme. E la paura è che il contagio possa colpire il resto dell'Europa. Eppure, c'è chi ancora si oppone agli abbattimenti. E lo fa anche portando l'esempio delle ricerche effettuate negli ultimi tre anni dal batteriologo Marco Scortichini e dal suo team


Luca Sofri riflette da tempo sul sistema della titolazione attribuendone le storture anche alle ristrettezze dello spazio disponbile, ma è chiaro che qui stiamo assistendo a qualcosa di più complicato. Un giornale fa dell'informazione corretta (dice che la cura è inefficace e che non ci sono alternative all'eradicazione delle piante per fermare il contagio) ma nasconde questa notizia corretta sotto una titolazione che invece sembra messa lì apposta per attrarre i complottisti (ecco, l'UE ammette!) e i cultori delle cure para-scientifiche (te l'avevo detto che c'era una cura, basta affidarsi agli scienziati "veri", mica a quel magna magna di professoroni e Big Pharma).

Nella corsa folle a capire il senso di un mondo semplicemente troppo complicato per poter essere lasciato a stesso, che ci interpella quindi e pretende che gli diamo un senso, scorriamo le news tra un whattsapp e l'attesa della metro, mentre la figlia si organizza per la scuola e il collega vuole sapere se abbiamo presentato quel rapporto al direttore.

Di tutta la storia della xylella (giudici sempre più convinti di essere il baluardo della civiltà; panico tra la folla; politici che raccattano consenso sullo sdegno ignorante) ci resteranno in tasca e in qualche meandro subconscio del cervello solo "l'UE ammette" e "la diminuzione statisticamente significativa della malattia" e riprenderemo la nostra marcia angosciata nel mondo convinti di aver avuto un'altra conferma che è tutto un magna magna e che noi, cittadini accorti e informati, la sappiamo lunga, sappiamo veramente come stanno le cose.

venerdì 17 maggio 2019

Diritti e rovesci. Un FATTO che non riesce a diventare NOTIZIA

Le righe seguenti hanno il solo scopo di convincervi a firmare questo appello per portare all'attenzione dell'opinione pubblica il caso di palese violazione dei diritti umani in corso a Giugliano. L'intento è quello di restituire un poco di umanità all'immagine pubblica dei rom. Che finora SOLO la Chiesa Cattolica si sia fatta sentire è un segnale molto grave dello stato morale del nostro paese.

450 persone, esseri umani, moltissimi minori, anche neonati, sono stati "espulsi" dal Comune di Giugliano, in provincia di Napoli, da alcuni giorni, con i comuni limitrofi che diramavano "note informative" di questo tenore:

Comune di Casapesenna
NOTA INFORMATIVA
Invitiamo la cittadinanza a rimanere in stretto contatto con le forze dell’ordine per segnalare eventuali anomalie che si potrebbero verificare dopo lo smantellamento del campo rom di Giugliano. Come amministrazione abbiamo recepito e divulgato alla nostra comunità l’informativa che abbiamo ricevuto. L’inclusione e la solidarietà sono valori imprescindibili per la nostra amministrazione e su questi abbiamo costruito la nostra azione di governo. Allo stesso tempo la sicurezza e la prevenzione rappresentano delle priorità assolute, anche perché solo gli abitanti di Casapesenna sanno quanto abbiamo faticato per contrastare l’illegalità nel nostro Paese. La nostra comunità ha certamente compreso lo spirito di comunicazione e saprà utilizzarla nella maniera più corretta senza allarmismi e discriminazioni.
#AvantiCasapesenna
#CasapesennaSolidale
#CasapesennaSicura
Oggi, venerdì 17 maggio, il quotidiano Avvenire riporta la fotonotizia in prima pagina, con un articolo a pagina 11, ma sul resto della "grande stampa" non c'è traccia di questo scandalo. L'Associazione 21 luglio segue da giorni la situazione, il suo Presidente, Carlo Stasolla, è al quinto giorno di sciopero della fame,  e alla Camera dei Deputati il 15 maggio è stata convocata una dolorosa conferenza stampa dove anche padre Zanotelli ha dato la sua accorata testimonianza.
Ci aggiorna Carlo Stasolla da Facebook:
La vicenda di Giugliano, come ogni violazione istituzionale dei diritti umani, tende a nascere e restare nel buio della cronaca. Gradualmente però sta diventato un caso internazionale.
Grazie al nostro lavoro di sensibilizzazione, frutto anche dell'appello sottoscritto sino ad ora da più di 1.000 persone, organisni ed istituzioni del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite, per il nostro tramite, seguono costantemente gli sviluppi, ERIO (European Roma Information Office) ha rilanciato la notiza dello sgombero a livello europeo e Amnesty International, da Londra, ha lanciato un appello urgente internazionale indirizzando al primo ministro Conte una lettera nella quale si esortano le autorità italiane "a garantire alla comunità di Giugliano un alloggio, acqua e servizi igienici adeguati".
Quinto giorno di sciopero della fame, che si concluderà solo quando l'asticella che misura il livello di una condizione umana che può definirsi dignitosa, verrà riscontrata nella comunità rom accampata a Giugliano.
Importante è continuare a firmare l'appello, al quale ieri ha aderito l'attivista ed eurodeputata svedese Soraya Post, padre ebreo, madre rom.
Quel che è raccapricciante, dal mio punto di vista di antropologo che si occupa anche di mezzi di comunicazione di massa e di cittadino è che non sembra esserci nulla da fare: questo FATTO non è una NOTIZIA, non si riesce a farne parlare nel dibattito pubblico. Non mi accoderò alla lagna sui "giornalisti prezzolati" e mi chiedo piuttosto se questo sistema dell'informazione stia veramente selezionando la professionalità o non piuttosto il peggior professionismo. Vedo sempre più sopraccigli sollevati nel cinismo di chi la sa lunga, e sempre meno occhi puntati a cercare di capire la realtà in cui siamo immersi. Prima di esserne definitivamente sommersi.

lunedì 13 maggio 2019

Poveri noi

Quello che temiamo più di tutto, ormai è evidente, non è la diversità religiosa, non è la diversità culturale, non è la diversità di lingua e costumi. Della Diversità ormai ci facciamo vanto, ce ne ammantiamo, ce ne cibiamo, la ascoltiamo nei nostri apparecchi. Fin quando resta ricca e luccicante, quella Diversità non ci incute alcun timore, anzi, ci attrae, un poco ci scuote dalla noia mortifera dentro cui ci stiamo rassegnando.

E' invece la Povertà quello che non possiamo sopportare, quel che veramente ci fa orrore, che non sappiamo gestire. Guardatevi intorno, e vedrete che tutto quel che viene spacciato come "sicurezza" è solo il tentativo di negare la Povertà, di allontanarla dal nostro misero sguardo borghese. Ne parliamo assieme con chi ci ha ragionato, e con chi quella Povertà non vuole rimuoverla occultandola, ma combatterla modificando alla radice le forme della sua produzione.

Martedì 14 maggio, all'Università di Roma "Tor Vergata", macroarea di Lettere, con Oxfam Italia, PaD e Clap.
Aula P9 nella palazzina A di via Columbia, 1, Roma.

mercoledì 8 maggio 2019

Casal Bruciato


Quello che sta succedendo a Roma va compreso a fondo. Più che il banchetto di Altaforte al Salone del Libro va rimosso dalle autorità il gazebo con il presidio di Casapound di fronte allo stabile dove si trova l’appartamento di edilizia popolare assegnato alla famiglia rom che non riesce ad entrare.

Troia ti stupro” detto da un militante dello stesso partito degli stupratori di Velletri è un’affermazione molto più grave di qualunque cosa possa essere detta nella biografia di Salvini o in qualunque altro libro fascista pubblicato finora da Altaforte.

La chiave di lettura spaziale è ancora essenziale: a Torino c’è un Noi anti-fascista che non vuole la compresenza con il Fascista; a Casal Bruciato c’è, purtroppo, un Noi fascista indisturbato (i vigili non rimuovono il gazebo perché non ci sono state richieste in questo senso da parte di nessuno) che non vuole condividere lo spazio con il Rom, immagine dell’Altro totale, che si può anche pubblicamente minacciare di stupro per quanto è Altro.

Forse il discrimine, la pratica politica da mettere in atto, non è tanto evitare sacralmente il contatto con l’Altro, ma impedire che la violenza legittimi operazioni di sradicamento dell’Altro dal suo spazio legittimo. La stessa logica dei respingimenti in mare e dei non approdi si ripercuote nelle case di Roma ed è questo il pensiero purulento che va rimosso.

Proviamo a dirla così, con uno schema: a Torino una certa visione della politica si sottrae allo spazio condiviso perché c’è l’Altro; a Casal Bruciato la politica entra in azione per impedire che l’Altro venga espulso dallo spazio condiviso della città. Il LaPE ci sarà a Casal Bruciato.


martedì 7 maggio 2019

Fascismi, libri e produzione dello spazio


Il Laboratorio di Pratiche Etnografiche (LaPE) segue con attenzione la questione scoppiata con le dimissioni di Christian Raimo dal suo ruolo di Consulente per il Salone del Libro di Torino. In particolare, condivide la visione di Luca Sofri (e altri) che le diverse risposte che stanno emergendo (non vado; vado) siano egualmente argomentabili dentro una visione politica che rimane comunque antifascista e non dovrebbero portare a gettare discredito su quelli che, conti alla mano, stanno dalla stessa parte e non è proprio il caso che si frammentino con l’aria che tira. Siamo sinceramente dispiaciuti che un collega prezioso come Claudio Sopranzetti abbia deciso di non andare a Salone, ma non ci sono da parte nostra giudizi negativi sulla sua scelta, solo il rammarico che la graphic novel che ha scritto (che cerca di spostare l’antropologia culturale su nuovi piani comunicativi) non possa beneficiare di una platea così attenta e curiosa.

Non siamo però sicuri che le giustificazioni finora avanzate per sostenere una posizione (non vado per non legittimare i fascisti) o l’altra (vado per non dare ai fascisti più rilevanza di quanta già non abbiano) tengano nella giusta considerazione un punto “simbolico” che ci pare vada invece enfatizzato. Altaforte, l’editore dichiaratamente fascista di cui si discute, esiste da prima del Salone, e pubblica testi ispirati all’ideologia fascista da tempo (anche se il catalogo del servizio bibliotecario nazionale, cioè l’insieme delle biblioteche pubbliche italiane, contiene due soli volumi di questo editore, segno di una sua scarsa penetrazione sul piano istituzionale, almeno). La sua presenza al Salone non sarebbe dunque legittimante in senso politico (i fasci esistono, e pubblicano da mo’, in effetti), ma lo è senz’altro in senso spaziale (i fasci ammessi nello stesso spazio finora detenuto dall’imprenditoria intellettuale).

(Una riflessione a parte andrebbe fatta sull’oggetto del contendere, vale a dire libri e case editrici, che si trascinano dietro un’aura sacrale dovuta a un tempo antico, in cui fare i libri era un impegno materiale notevole che quindi si poteva compiere solo a patto che il contenuto ne valesse la pena. Oggi basta un portatile con un paio di programmi taroccati per impaginare alla perfezione, a costo letteralmente zero, quel che ha tutta l’apparenza di un libro, ma non è detto contenga una briciola di pensiero, scrittura, redazione editoriale, programmazione, promozione, stampa e distribuzione. Intendo dire che l’elettronica non ha creato solo gli ebook, ma anche prodotto un aumento impensabile dei titoli-fantasma di case editrici fantasma, veri zombie del mercato editoriale che non vedono l’ora si scateni qualche casino per acchiappare un goccio di visibilità).

Molta della vita politica (quale che sia l’orientamento) si svolge attraverso la delimitazione di confini noi/loro. E non parliamo di confini “simbolici” in senso morale, ma di confini veri e propri che stabiliscono dove si possa fisicamente stare, quali spazi si possano occupare e quindi produrre culturalmente con il proprio esserci. Abitare, e anche solo “stare lì (e non altrove)” sono azioni simboliche complessissime, che sottendono la natura territoriale dell’identità, la nostra concezione spaziale dell’appartenenza. (Le orrende rimostranze contro l’assegnazione di case o di spazi abitativi a “migranti” e “rom” sono un sintomo evidente di questo principio).

Quel che una certa concezione della politica (che noi troviamo del tutto legittima, non stiamo contestando, stiamo descrivendo) non tollera è la compresenza nel medesimo spazio di soggetti percepiti come Altro, come Nemico. Vista da Roma (dove questa concezione dello spazio come risorsa limitata che va accuratamente gestita per evitare il contagio dell’impurità è particolarmente forte per pure ragioni urbanistiche) questa postura spaziale (mai nello stesso spazio con il nemico) è interessante perché sembra, soprattutto, poco efficace nell’obiettivo, se l’obiettivo è il contrasto al fascismo, e non solo la salvaguardia di una propria comfort zone.

Si accetta l’Esistenza dell’Altro, ma non si accetta la sua Prossimità, in una specie di primitivo “aiutamoli a casa loro” che securitizza il nostro spazio non dall’esistenza, ma dalla presenza di questo Altro. È la concezione igienica dello spazio domestico che prevede un dentro/fuori marcato con nettezza. Con tutto il bene che gli vogliamo, Christian Raimo pensa ad Altaforte al Salone nella stessa modalità spaziale con cui nostra nonna pensava alle formiche nel suo salotto. La nonna non contestava la possibilità che il mondo potesse avere delle formiche, ma negava con tutta la forza del suo apparato detergente che le formiche potessero coabitare con lei nello spazio domestico, quello che concepiva sotto la sua assoluta giurisdizione.

Lo ripetiamo, a scanso di equivoci: Christian Raimo, Claudio Sopranzetti, Zerocalcare e quanti hanno deciso di non andare a Torino raccolgono tutta la nostra comprensione, ma ci chiediamo, come antropologi interessati a comprendere le dinamiche del qui e ora, se sia una mossa politicamente efficace. Il LaPE è antifascista ma pensiamo che l’antifascismo dovrebbe essere una prassi politica de-territorializzata e non territorializzante: c’è un’atmosfera fascistoide che prende piede, che si legittima nei corpi e nelle voci delle persone, non negli spazi di rappresentazione in quanto tali. Essere anti-fascisti oggi significa inseguire quell’atmosfera e combatterla a viso aperto, non pretendere di presidiare come fortini nel deserto spazi che non hanno più nulla di sacro, simulacri intercambiabili che confermano, forse, solo l’atteggiamento difensivo di una sinistra timorosa del clima attuale.

Fare la resistenza è importante, ma abbiamo bisogno di presidiare di nuovo il senso comune, più che il Salone del Libro o qualunque altro tempio fasullo (fasullo perché qualunque versione spazializzata delle identità e delle appartenenze è comunque destinata a subire i colpi del primo account twitter o instagram manovrato con cura). Riprendiamoci la legittimità di dire cose banali, nel senso che siano colte dal senso comune come ovvietà per tutti, e non ci sarà più bisogno di zittire la propria voce come segnale simbolico perché una volta sradicato dal senso comune il fascismo non avrà spazio al Salone. Il fascismo fa schifo, ecco, ma lo fa sempre, mica solo se parla da dentro il Lingotto Fiere di Torino e se ci parla a pochi metri di distanza. Lo fa, soprattutto, quando entra nei discorsi da bar, nei modi di dire, nelle posture dei selfie, nella programmazione televisiva generalista. È lì che dobbiamo agire, è quello lo spazio da presidiare, non impendendo all’altro di esserci, ma imponendo la forza della voce che dà forma alle nostre idee.