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mercoledì 30 settembre 2020

Istituzioni totali

 

Credo di avere amici mediamente comprensivi, capaci e intelligenti. Non frequento gentaglia programmatica, qualche pasticcione c'è sempre ma sono pochi i "cattivi" con cui mi accompagno, e per cattivi intendo gli stronzi convinti e contenti di esserlo.

Con molti amici posso avere idee politiche diverse, con altri si parla di sport (e lì mi annoio, perché proprio non riesco a comportarmi da tifoso, tanto meno sfegatato), oppure di gusti estetici vari, financo di personaggi pubblici. Io ho le mie idee, a volte si concorda, a volte no.

Quando si parla di politica, è noto che non ho una grande simpatia per il MoVimento e ancora di meno ne ho per la Lega, ma ho parlato e collaborato più volte con eletti M5S, e in quanto nato e cresciuto in Veneto, oggi a Roma trovo bizzarro parlare con leghisti che abbondano di consonanti doppie (ero abituato a quelli delle mie parti, sempre avari di doppie) ma riesco ancora a farmene una ragione. Credo che dipenda anche dal mio lavoro, che mi ha sempre portato a cercare di capire di farmi capire con persone alquanto diverse da me, a partire dalla lingua.

C'è però un argomento inossidabile se voglio essere sicuro di essere frainteso, di non trovare ascolto, di vedere sopracciglia alzate, e questo argomento sono "i Rom" (ormai credo che anche Salvini e i fascisti dichiarati fatichino a dire "gli Zingari" senza provare un po' di imbarazzo). I Rom, con il loro mischiare povertà economica e illegalità diffusa, miseria morale e distanza sociale sono in Italia l'incarnazione perfetta dell'Alterità assoluta. E non c'è verso di ragionare sul fatto che quella Alterità sia una costruzione sociale, sia il prodotto di pratiche di emarginazione, di esclusione e di vera ghettizzazione, perché c'è sempre un però, un ma, un eppure che legherà quei Rom alla loro condizione naturale di emarginati, fosse anche nella disgraziata versione della "differenza culturale" spacciata come un dato di fatto oggettivo e indiscutibile con il valore della pressione atmosferica.

Tante persone ragionevoli mi citano il furto subito a casa, o in metropolitana, le condizioni spaventose di quel bimbo in braccio alla madre che elemosina, e proprio il fatto che "loro" ce l'hanno nel sangue la vita di schifo che fanno, che non è certo questione di razza, ci mancherebbe, ma dovremmo tutti accettare il fatto che è proprio la loro cultura a fare schifo e a ridurli a quel modo abietto. 

Domani al PEF - Polo ex Fienile di Torbellamonaca (siamo in largo Mengaroni 29) a parlare di Rom e dei cosiddetti "campi rom" come istituzioni totali.

Ce ne parleranno Mauro Palma, Nicola Valentino, Angela Tullio Cataldo e Claudia Aglietti. Un'occasione importante per capire un po' di più il mondo in cui viviamo. Perché non viviamo soli e capire significa cominciare a relazionarsi.

mercoledì 16 settembre 2020

Meritocrazia e anti-intellettualismo (dai peones di Trump all'élite dei Governi Conte)

 Michael Sandel ha scritto da poco il libro  THE TYRANNY OF MERIT. What’s Become of the Common Good?

e una bella recensione sul NYT ne ricostruisce il quadro, per cui la fasulla nozione di merito instilla negli educati (che se lo possono permettere, in USA) un falso senso di superiorità che induce al disprezzo di chi non ce l'ha fatta non per incapacità intellettuali, ma piuttosto per mancanza di risorse economiche. Sandel conclude chiedendo ai colti di essere più umili, di non considerare la loro condizione come il frutto del loro sforzo solitario ma piuttosto di una serie anche fortuita di circostanze, e quindi di non disprezzare chi "non ce l'ha fatta".
Tutto giusto, no? eppure Arlie Russell Hochschild,  l'autrice della recensione, fa notare che questa necessaria critica del disprezzo per l'ignoranza come postura tipica della classe educata trascura un atteggiamento forse ancor più diffuso in America, vale a dire quello dell'anti-intellettuale, che anche in Italia sta prendendo piede di gran carriera.
Se DOnald Trump ha così tanto seguito non è solo perché protegge gli ignoranti dal disprezzo dei colti, ma perché legittima gli ignoranti, in un modo molto americano, a sentirsi fieri della loro ignoranza, della loro naturalità, della loro genuinità. Trump sguazza in questo disprezzo per lo studio, per la conoscenza e per la scienza, e buona parte del suo successo deriva da una radicata indisposizione ad accettare il sapere astratto come forma di vita auspicabile, in confronto a cose molto più concrete, come fare i soldi, saper raccogliere pannocchie e pulire il carburatore del fuoristrada.
Se di fronte ai roghi della California Trump può prendersi la libertà di dire "Non credo che la scienza sappia di che si tratta" lo può fare impunemente (anzi, accumulando ulteriore consenso) non solo perché così l'ignoranza di tanti americani si trova affettivamente confortata, ma soprattutto perché quella ignoranza può rispecchiarsi legittimata in un potere che l'ha fatta sua come strategia del successo. Si può essere addirittura il presidente degli Stati Uniti ed essere orgogliosi della propria ignoranza, vantarsene, esibirla come fonte di successo.
Questo è il punto in cui si deve citare Anti-Intellectualism in American Life (1963) dello storico Richard Hofstadter, che ha studiato molto la dimensione morale e simbolica dell'attività politica e che andrebbe riletto oggi per capire come è possibile che il disprezzo per il sapere sia diventato un valore condiviso e un'arma di successo in politica. Ogni riferimento alla politica italiana è ovviamente intenzionale, ma per capire come l'anti-intellettualismo si sia spostato sempre più a destra a partire dall'America basta vedere questa ricerca. A me fa venire la pelle d'oca.