Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
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domenica 22 luglio 2007
Albania 1: bunker
(giugno 1995) Ma lungo le strade che collegano le cittadine e i villaggi, almeno nella zona che ho visitato io, zona di confini, i poliziotti sono solo una delle costanti del panorama. L’altra è costituita dai bunker. Fatti costruire dalla “Guida Luminosa della Rivoluzione” sono il segno più ridicolo e sfacciato di un sistema di potere che quando ti viene raccontato anche solo per rapidi accenni ti domandi come abbia fatto a dar vita, nonostante tutto, a esseri umani. I campi coltivati sono pieni di questi bunker e tra i contadini vengono usati come misura agraria. Quando la terra è stata privatizzata ogni contadino aveva diritto a una certa quota, che molto spesso era conteggiata in bunker. Sono costruzioni di cemento armato emisferiche, a prima vista ricordano il Caracol dei Maya, solo che gli Albanesi, invece di scrutare le stelle, per anni hanno scrutato da quelle postazioni il nemico, per impedire che venisse ad invadere il paese più avanzato del mondo, per sottrargli il segreto del suo benessere e per ridurlo alla schiavitù del capitalismo (non è ironia, cito testualmente quel che dicevano le voci ufficiali dell’epoca. Ho capito un po’ come potessero essere prese per vere le panzane sulle orrende case popolari spacciate dal governo come “le migliori case in cui essere umano abbia mai abitato” e altre simili bugie clamorose quando ho detto a Ylber che fino alla fine degli anni Ottanta io non sapevo praticamente nulla dell’Albania e lui mi ha risposto: Voi non sapevate nulla di noi, ma noi non sapevamo assolutamente nulla del resto del mondo). Oggi i bunker sono utilizzati come depositi per l’immondizia. Quando sono colmi si dà fuoco al pattume che sta all’interno. Una volta che il bunker è rovente, viene bagnato rapidamente con acqua fredda. Lo sbalzo termico fa crepare il cemento, dal quale è possibile così recuperare senza eccessivo sforzo il ferro che costituiva l’armatura, ferro che è ovviamente prezioso e viene utilizzato direttamente o rivenduto. Questa distruttività benefica mi è parsa allo stesso tempo simbolica e sintomatica, un gesto di incazzata vendetta che non si accartoccia in se stesso, ma produce effetti materiali e simbolici assieme, un po’ come se a dire “cornuto!” all’arbitro fosse l’amante di sua moglie, e insistesse a cornificarlo durante le partite.