Leggendo un manuale di marketing televisivo applicato alla televisione digitale (e ai pacchetti pay, satellitari o DTT; non do qui i dati bibliografici perché è ancora una bozza in lavorazione) mi viene detta una cosa interessante. Alcuni canali specializzati che si occupano di tematiche culturali o scientifiche spesso hanno un seguito piuttosto ristretto quanto a numeri effettivi (e se parlano di numeri ristretti in un mercato che viaggia a mezzi punti percentuali vuol dire proprio che si tratta di pochi spettatori, proprio pochi).
Nonostante tutti gli indicatori delle performance di ascolto per questi canali diano segnali negativi, quegli stessi canali sono conosciuti agli spettatori (sanno, insomma che nel pacchetto che compreranno c’è History Channel o National Geographic) e questo pare sia un motivo sufficiente per spingere all’acquisto del bouquet o per far desistere dall’intenzione di recedere dall’abbonamento.
Per i gestori di Pay Tv (o per i fornitori di canali) alla fine può quindi essere vantaggioso finanziare un canale che non fa audience, perché quel canale garantisce al bouquet in cui compare una forza di attrazione maggiore. I clienti insomma pagano non tanto i contenuti di un canale, quanto il prestigio ad esso associato. Credo che il meccanismo sia insieme di incentivo personale (“mi faccio un’istruzione, finalmente”) sia di incentivo sociale (“guardate un po’ come mi faccio un’istruzione”).
Un po’ come i nostri genitori accettavano di comprare quelle enciclopedie rilegate che i piazzisti vendevano porta a porta negli anni Settanta. Non si trattava di leggerle (non loro, almeno. Le compravano per noi figli) ma di fare il proprio dovere sociale.