Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
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mercoledì 7 gennaio 2009
Aridaje su Facebook
Ok, questi sono i miei ultimi commenti su Fb, tanto per evitare che qualcuno creda che si tratti di "prodromi" di alcunché.
Proviamo a ripartire dalla mia ipotesi, che cerco di elaborare un poco più analiticamente per evitare fraintendimenti.
1. Fb, come molti altri siti social, è nato come fenomeno locale, e gli utenti early adopters sono stati geeks che come tutti i geeks utilizzavano questo strumento in parte come mezzo di comunicazione, in parte come strumento di identificazione differenziante: noi siamo quelli che usano Fb, gli altri no.
2. Questo meccanismo è diffuso su Internet praticamente dal suo apparire. Il capitale culturale necessario a saper usare alcune forme di comunicazione via web è stato sistematicamente utilizzato per differenziarsi socialmente da parte dei detentori di quel capitale. Non disponendo di capitale economico (o trovando il capitale economico disdicevole ai fini di una differenziazione sociale) molti utenti attivi della rete si sono comportati esattamente come si sono sempre comportati gli intellettuali dal Cinquecento in poi: hanno fatto della loro competenza uno strumento di distinzione sociale. Ho parlato spesso di questo atteggiamento distintivo sul mio blog, basta cercare i post taggati social distinction.Non c'entra nulla la differenza oggettiva in classi né il finto populismo dell'analista. La matrice di quel che dico sta nell'opera di Pierre Bourdieu: non ci sono soggetti e non si sono istituzioni, piuttosto ci sono habitus e campi di forza e quel che i singoli fanno è agire secondo i loro habitus (acquisiti ed ereditati) cercando di muoversi tra diversi campi di forza. In Rete, l'habitus che ha pagato socialmente per lungo tempo è stato lo sfoggio di competenza (non di ricchezza).
3. Una moda come un'altra (ricordo l'euforia per Second Life, e il fuoco di paglia italiano di Twitter) Fb ha preso piede in Italia dalla scorsa estate. E quel che dico vale solo ed esclusivamente per gli utenti italiani di Fb, non per Fb di per sé.
4. Pur essendo stato aperto nel febbraio 2004, Fb ha avuto un numero contenuto di utenti fino a questa estate. Anche qui, le ragioni dell'esplosione repentina mi sono oscure, ma credo che abbiano a che fare con il raggiungimento del tipping point, del punto di svolta dopo il quale alcuni comportamenti diventano epidemici.
5. Mentre gli early adopters italiani potevano usare Fb come strumento di distinzione, dal momento in cui è diventato fenomeno di massa, ha cessato di essere per alcuni strumento di distinzione. Di massa non significa "frequentato dai coatti", come sembrerebbe credere qualche lettore, ma "frequentato ANCHE dai coatti".
6. A questo punto, alcuni utenti italiani di Fb hanno preferito un bel opt out, cancellando il loro account o comunque iniziando a parlare del "vuoto" che caratterizzerebbe questo sito.
La mia ipotesi è che 6 sia stato causato da 5. Tutto qui: non ho fatto ipotesi sul perché tanta gente si è iscritta a Fb (perché sì, come dice Andrea Tarabbia, è per me un motivo sufficiente) ma perché alcune persone siano uscite da Fb e ne abbiano iniziato a parlare in tono sdegnato.
Non ho alcuna intenzione di fare grandi teorie né turismo della realtà (anche se, devo ammettere che, come antropologo, sentirmi dare del turista ha ferito il mio orgoglio in modo che ancora mi brucia… :-) ). Mi stavo semplicemente chiedendo come mai Fb suscitasse questo atteggiamento emotivamente carico. Mi faceva impressione leggere commenti in cui Fb veniva descritto come "una schifezza", e mi è venuto in mente che Pierre Bourdieu racconta all'inizio de La distinzione che vuole occuparsi delle ragioni per cui alcune cose "ci fanno vomitare". Il "mi fa cagare" che sta nel titolo del mio post su Fb era proprio un'implicita citazione bourdiana (che usava il linguaggio dei suoi informatori francesi degli anni Sessanta, più morigerato). Ho pensato che in quell'atteggiamento di disgusto ci fosse una questione di distinzione sociale, e finora non ho trovato controargomenti sostenuti, ma tutt'al più un "mi fa cagare il tuo argomento", che per me suona una paradossale conferma della validità della mia ipotesi. Quando io dico che alcuni utenti cercano di distinguersi stando alla larga da Fb (ora, porca miseria, ora che su Fb "ci sono tutti", mica un anno fa quando eravamo ventimila) non ha molto senso replicare che "io su Fb ci stavo e avevo duecento amici, ma ora ne sono uscito", perché a me questa sembra la prova migliore che quel che dico è sensato. E non voglio sostenere che oggi si esce da Fb solo per questo motivo.
Mi pare che sia successo o stia succedendo con Fb quel che è successo con i romanzi di Umberto Eco. Quando uscì Il pendolo di Foucault, un amico scrittore mi disse di non averlo letto perché Umberto Eco era troppo di moda, lo leggevano tutti… (poi il mio amico era così intelligente da non farsi fregare da questa fregola distintiva, e lo lesse, e riconobbe che era un ottimo romanzo). Cioè: va bene leggere La struttura assente, o meglio ancora il Trattato di semiotica generale, dato che hanno avuto (in proporzione) pochi lettori, uniti da questo marchio distintivo, ma va male leggere Il nome della rosa, o Il pendolo di Foucault, dove Eco elabora gli stessi concetti semiotici, ma lo fa in forma narrativa riuscendo ad attrarre milioni di lettori. Quindi come lo stesso autore può essere elitario in una sua fase e biecamente popolare in un'altra, così un sito può essere una figata per noi fighi all'inizio per diventare dopo un po' una schifezza senza senso (perché si sono entrati cani e porci, oltre a noi fighi, che tanti fighi non riusciamo più ad essere, lì dentro). Pensate a quell'amico a cui parlate dell'ultimo disco del gruppo X (gruppo che ha venduto due miliardi di copie, di cui parlano tutti) e pensate al suo sopracciglio sollevato mentre vi compiange, ricordando come "il primo disco del gruppo X" (quello che ha venduto 2mila copie ma che noi fighi abbiamo comprato tutti, dato che siamo in 2mila in tutto) "quello sì che era un gran disco". Mica la merda commerciale e omologante che fanno oggi, quelli del gruppo X. Ecco, io ci vedo nelle microfughe da Fb questo atteggiamento. Non ho avuto una visione mistica, né mi sono fatto le pippe in solitaria: ho ricevuto due mail su Fb e le ho messe assieme a tre post su diversi blog che rimandavano a diversi articoli di giornale che rimandavano ad altri post di blog. Insomma, avevo del materiale da interpretare e ho provato a interpretarlo.
Vorrei provare ora a rispondere ad alcune considerazioni un po' più puntuali.
Dice Sergio Garufi:
>gli intellettuali sono sicuramente élite perché pochi, non certo perché influenti o abbienti
Appunto, è esattamente quel che sostengo: gli intellettuali hanno bisogno di essere in pochi, altrimenti non si sentono più tali. Non è una questione economica, né di snobismo elitario, ma di semplice habitus. Da almeno 200 anni l'intellettuale sa che avrà pochi soldi (altrimenti è venduto o organico al sistema) e avrà pochi simili (altrimenti è un divulgatore e quindi negatore de facto della sua vocazione analitica). Non c'è nulla di sbagliato in questa forma di identità, è una soggettività nobilissima e perfettamente legittima. Semplicemente non si capisce perché dovrei parteciparvi per forza. Di fatto, non sono un intellettuale secondo questa definizione, dato che mi ci riconosco mentre ci agisco dentro, la vedo cioè nella mia vita ma non la prendo necessariamente come una forma positiva del mio essere sociale (anzi, penso che spesso il mio habitus da intellettuale mi impedisca di comprendere a fondo alcune determinanti sociali). Però non capisco perché debba essere banale o turistica qualunque riflessione che emerga da un piano identitario non militantemente intellettuale come il mio. Le mie riflessioni non sono "propedeutiche" ad alcunché, non mi chiamo Piccolo e neppure Bajani, quindi le cose che li riguardano non mi riguardano.
Scrive invece Enrico Maria Milic (AKA morbin):
>la visione (ovviamente un po' semplificatoria) per cui facebook è un fenomeno molto buono per la massa e i blog non lo sono, è vera fino a un certo punto. nel senso che la visione dei blog come "fighettata da elite" è quella che è stata propagandata dai media main stream e dalle cosiddette blogstar (tutte di solito maschi, molto ben istruiti, tecnologizzati e politicizzati). ma se ti guardi i dati sul blogger medio e sul suo lettore medio scopri presto che di solito i blog sono un diario scritto da e per interessati a temi non politici e non tecnologici e non strettamente di alto profilo culturale (o wanna be tale).
Questo punto mi consente di chiarire (anche a me stesso, a dir la verità) come concepisco l'opposizione di fondo tra blogger e utente Fb. Il blogger si esprime in solitaria, vuole essere letto ma tendenzialmente non vuole una comunicazione. Il blogger è un monologhista, e in questo senso Beppe Grillo, che si rifiuta di partecipare a qualunque dibattito ma che spara contro chi gli pare dal suo bunker, incarna l'URblogger, in prototipo perfetto (in senso ovviamente deleterio, per come la vedo io). Questo stesso post mi costa fatica, perché ho dovuto leggere i commenti degli altri, e provare a rispondere articolando, quando quello che mi piace veramente, come blogger, è avere un'intuizione immediata che butto giù e pubblico al volo, senza chiedere permesso, senza chiedere scusa: pura volizione egocentrica che sta interamente nelle mie mani.
L'utente di Facebook, invece, è uno che vive (come utente di Rete, non come essere umano) nella relazione sociale e nella comunicazione. Se un lettore va sulla pagina del mio blog ci trova il mio elefantiaco Ego che parla di tutto lo scibile umano. Se invece va sulla mia pagina su Fb ci trova che Antonio Marcelli è passato da "relazione complicata" a single (con quattro commenti, nessuno di persone che conosco), che ho avuto un invito per cause "Boicottiamo Gigi D'Alessio", che mi sono iscritto al gruppo "Il paese dei filosofi con gli stivali", che Maria Rossi mi fa gli auguri di buon anno, Barbara Bianchi mi contatta dopo dieci anni per sapere come sto, e così via, producendo, a voler essere buoni, un'immagine caleidoscopica del sottoscritto, ad essere sinceri un accrocco
caotico che io faccio fatica a controllare, e che anzi non controllo quasi per nulla. E' questa la chiave di volta: il controllo sull'immagine che ho di me. Come blogger ho il pallino in mano (tanto più se ho scelto di filtrare i commenti, così evito pure gli scocciatori paranoici che sparano insulti per ogni post), mentre come utente Fb sono "un fascio di relazioni" e sono costretto ad ammettere che la mia immagine non è tanto mia, quanto a produzione.
Sempre Enrico Maria Milic:
>non mi azzarderei in una grossa distinzione tra facebook e altri social network, almeno nel senso di come tu l'hai fatta.
se ti leggi danah boyd vedrai, invece, come in america sia molto più fighetta l'utenza di fb di quella di myspace...
e i dati di mercato per l'italia probabilmente vanno in una simile direzione. credo.
Non ho i dati per parlare della composizione sociologica degli utenti dei social networks, mi bastava dire che IN ITALIA vi è stata un'espansione di utenza di Fb che ha cannibalizzato gli altri social network e che ha attratto molti utenti finora poco avvezzi alla produzione di contenuti. Io non so come definire certi gruppi, ma certo mi paiono poco "fighetti" questi gruppi su Fb:
Scarceriamo le turiste Britanniche arrestate per la gara di sesso orale! (24.363 iscritti)
regala anche tu una molotov ai zingari (1.514 iscritti, notare l'articolo "ai", non mi aspetto che utenti del genere abbiano una grande consuetudine con la scrittura)
Pensavo fosse amore e invece...MAVATTENAFFANCULO (24.363 iscritti)
Giusy Ferreri, ora che novembre è finito piantala di rompere i coglioni! (93.145 iscritti)
Potrei continuare per ore, ma il senso di quel che voglio dire mi pare chiaro…
Andrea Tarabbia dice:
> Scusami Piero, ma non capisco cosa intendi dire quando scrivi: "Fb è stato e viene ancora sistematicamente usato come strumento di pressione politica."
Mi riferivo all'uso che se ne è fatto in Egitto e in Birmania lo scorso anno, quando centinaia di migliaia di persone sono state coinvolte in attività di dissenso politico grazie alla rete messa in piedi con Fb. Era uno dei motivi del mio sconcerto di fronte ai commenti risentiti contro Fb di alcuni utenti o ex utenti italiani: com'è possibile che si giudichi Fb sulla base dell'uso meschino che a volte ne fanno i buzzurri utenti italiani (vedi sopra) e non si tenga conto del fatto che Fb aggrega migliaia di dissidenti, attivisti, gente che rischia il carcere quando non la pelle per fare attività politica su Fb? È proprio di fronte a questo dato di fatto politico enorme come un macigno che ho cominciato a pensare che il risentimento di chi "se ne va" da Fb avesse un'origine socialmentedistintiva e non politica.
Sempre Andrea:
>Stiamo sempre parlando di qualcosa da cui si può essere esclusi in qualsiasi momento senza una motivazione apparente, qualcosa che ha delle regole ben precise che nessuno di noi veramente conosce
Sì, ma questo è vero anche per yahoo (ho un account mail che non ho mai cancellato), per google (io NON conosco le regole di Gmail, e ho scoperto da poco che se voglio più spazio di memoria devo pagare, e non so bene cosa ci fanno con tutte le informazioni che IO ACCETTO DI DARGLI in cambio di un client di posta elettronica che per me non ha rivali e che sono disposto a tenermi così, con tutti gli ads contestuali sulla colonna di destra che si adattano al contenuto delle mie mail) e vale anche per Amazon (che mi dà dei consigli a volte utilissimi, a volte senza senso) e per mille altri snodi di scambio di merci e/o informazioni, come cercavo di dire. Il fatto che il mondo funzioni anche attraverso transazioni economiche non mi spaventa. Credo nella reciprocità come forma fondamentale dello scambio economico, così come l'ha descritta Marcell Mauss e come funziona in Wikipedia e altri wiki cooperativi. Fb mi sta bene per alcune cose, come invitare le persone alla mia campagna per fare in modo che l'Istituto Centrale per la DemoEtnoantropologia sia diretto da un antropologo (e non da uno storico dell'arte, come vuole il suo regolamento attuale) e continuerò a usarlo in questo modo. Se poi salta fuori il compagno del liceo che mi chiede come sto anche se per cinque anni in classe non ci siamo scambiati una parola, o l'ex studente del mio corso che mi manda un "invito a bere una birra virtuale", non credo che la mia vita venga omologata da questo, e non mi importa come qualche orrendo Grande Vecchio potrà usare la terribile notizia che mi sono iscritti al gruppo "fan di Italo Calvino".
>In definitiva non capisco dove sta lo scarto che rilevi: se c'è omologazione non ci può essere cambiamento.
Anche su questo punto finale, io provo a essere un po' pragmatico: chi l'ha detto che omologazione e cambiamento non possano convivere in un ircocervo come Facebook? Per ogni stronzo che monta un gruppo "contro gli zingari" c'è un Tiziano Scarpa che è fan di Alfred Erik Leslie Satie e di Andreï Tarkovski, e io credo che Tiziano sappia benissimo cosa farci col suo "essere fan" e mi posso anche aspettare che il suo essere fan domani produca un cambiamento dentro Fb, o anche solo dentro uno stronzo che smette di fare gruppi contro gli zingari e magari si fa convincere a diventare un fan di Tarkovski. A me pare che da questo punto di vista Fb faccia paura per il motivo congiunto che sembra facilmente controllabile ma insieme complesso come la vita ordinaria, e quindi ci fa temere che la vita ordinaria possa essere facilmente controllabile. Invece, delle due premesse (Fb è controllabile, Fb somiglia alla complicatezza della vita ordinaria) solo la seconda è vera, e lo è solo in parte.
Io da tempo non la penso così, da quando ho imparato che ogni tentativo di omologazione passa necessariamente per la comunicazione, ma ogni comunicazione passa necessariamente per la lettura di ognuno di noi, e quindi la nostra dimensione agentiva come soggetti interpretanti sottrae potere alle intenzioni omologanti dell'emittente. Fuori di metafora: Mark Zuckerberg può avere le peggiori intenzioni del mondo, ma non è detto affatto che le sue intenzioni siano le nostre, e non c'è per lui verso di avere la certezza che riuscirà a convincerci. Su questo i miei studi di antropologia dei media mi confortano: sono infiniti i casi di emittenti che speravano di trasmettere il loro "messaggio" e che si sono trovati con letture devastanti, del tutto contraddittorie rispetto a quello che avevano in mente. Facebook, con la sua caoticità, con la sua apertura a terze parti, è molto, molto più malleabile di qualunque canale televisivo, e quindi mi fa molto, molto meno paura.
Sperando ovviamente di non sbagliare di grosso, resto un utente di sicuro non entusiasta, ma neppure schifato o spaventato. Cerco di USARE Fb, letteralmente, portandolo lì dove voglio io. Finora mi sembra un cavallo un po' riottoso, francamente bruttino e pure puzzolente, ma per quel che gli ho chiesto sta facendo il suo lavoro. Non ho mai preteso fosse un Pegaso alato, ma non ho paura sia il messaggero della Morte. È un ronzino un po' scoreggione, mi dà fastidio ma a volte serve.