Valeria aveva già fatto il grosso, sistemando le cose sue, quelle di Rebecca e quelle di Amanda, quando ha fatto l’ondata di freddo il mese scorso. Io me l’ero cavata ancora per un po’ con i vestiti di mezza stagione, qualche completo e un paio di maglie pesanti rimaste dalle vacanze di Erice la scorsa estate. Ma girare con lo scooter al mattino presto con i vestiti estivi non era più possibile, così sono sceso “in cantina” (in realtà lo sgabuzzino che sta a fianco del garage) e ho tirato fuori le due valigie con i miei vestiti invernali, le mie giacche e pantaloni rigorosamente di lana, quasi tutti scuri, così comodi da scegliere se devo pescare qualcosa nella cabina armadio mentre Valeria ancora dorme.
Ho portato su tutto e ho “fatto il cambio di stagione”, un rituale al quale mi sottraggo fin quando è possibile, e che poi realizzo in tempi solitamente brevi. Seleziono le cose da lavare e le metto da parte, mentre ripiego le giacche e i pantaloni puliti e li sistemo in valigia al posto di quelli che tiro fuori.
Ogni anno, due volte l’anno, l’operazione più delicata è la ripulitura delle tasche. Prima di portare le cose in lavanderia frugo nelle tasche e nei taschini, e ne tiro fuori fazzoletti usati, spiccioli, foglietti che Rebecca ha scritto per me (o che ha scritto per altri ma che trovano in me il loro ricettacolo inevitabile, tipo “me lo tieni un secondo”), sorprese mutilate degli ovetti Kinder, liste della spesa compilate sui quei fogli quadrati che si comprano a blocchi, biglietti della metro, il gettone di una sala giochi. Cose così. Quasi sempre non significano nulla, sono ancora freschi d’uso, lasciati sopire al massimo per qualche settimane. Mi ricordo di tutti loro. Ero distratto, non ci pensavo più, lo ammetto, ma ogni volta che ne rivedo uno posso ricostruirne la storia, che è sempre piuttosto breve.
Mi piace scrivere un diario, ma sono sempre stato uno scrittore infedele. Posso resistere per un mese, anche un anno di seguito, ma non sono uno che “tiene il diario”, sono uno che “tiene dei diari, ogni tanto”. Così la mia memoria (che è il vero motivo per cui tengo un diario, perché mi fa ricordare le cose dentro il mio corpo, non perché le imprigiona fuori di esso, dato che non rileggo mai i miei diari), la mia memoria è piena di alti e bassi, di buchi, come dicono sia lo spazio profondo, pieno di vuoti in mezzo ai pieni, un groviera del tempo.
Allora, quest’anno l’ho fatto apposta, visto che non sto tenendo un diario. Invece di ripulire le tasche e di portare in lavanderia tutto quello che non era perfettamente immacolato, ho deciso di portare a lavare solo quello che era decisamente sporco, e ficcare il resto (la gran parte, quindi) in valigia con un paio di tavolette antitarme. Senza ripulire le tasche. Non so, veramente non so cosa posso aver dimenticato apposta nelle tasche dei vestiti e dei pantaloni che ho messo in valigia, e che rivedrò non prima di aprile o maggio. Allora, sarà passato abbastanza tempo per rendere quelle cose meno ovvie, ma spero non abbastanza tempo da rendermele sconosciute. Quando troverà quel bigliettino di Rebecca, il mio io futuro non dirà subito “Ah, sì!”, ma dovrà aggrottare la fronte e fare uno sforzo, cercare di ricostruire i frammenti sparpagliati. Il biglietto del cinema che avrò tra le mani dovrà fare i conti con una trama che non ricordo bene, con attori vaghi e innominati, che sarà piacevole sforzarmi di ricostruire nei gesti e nelle battute.
Lo so, è un piccolo trucco per far finta che la vita abbia una continuità di senso, che le cose si succedano in qualche ordine, che possiamo ricostruire con un po’ di pazienza e un po’ di memoria.
È una piccola consolazione, lo so.
Ma so anche che la prossima primavera sarà meno tedioso fare il cambio di stagione.