A lezione, parlando delle relazioni sociali, abbiamo parlato anche dell'"amicizia" come forma culturale, non come sentimento spontaneo ma come pratica sociale codificata, più o meno implicitamente.
Mi ricordo di aver fatto notare una "stranezza" di Facebook rispetto ad altri social networks sotto questo punto di vista. Servizi come Twitter, Academia o FriendFeed ti permettono di farti seguire da qualcuno senza nessariamente diventare un suo follower. In questo modo la relazione mimata sul social network somiglia alla relazione reale, che spesso è del tutto o parzialmente asimmetrica, per cui io posso "considerarmi" amico di Tizio, senza che Tizio mi consideri amico suo (su Academia io sono un follower di Noam Chomsky, che ovviamente non si sogna neppure lontanamente di reciprocare e non sarà mai un mio follower).
Su Fb, invece, l'amicizia è per forza una relazione simmetrica: se x è amico di y, allora y è amico di x, falsando così profondamente la natura della relazione amicale "reale" (per cui spesso vale la regola: se x è amico di y, y considera x uno scocciatore...). Io credo che questa finta simmetria dell'amicizia sia una delle ragioni del successo planetario di Fb, che semplifica fittiziamente la complicata natura dello scambio semiotico tra persone che si considerano amiche nella realtà.
Da questa asimmetria naturale appiattita nella finzione di Facebook deriva il profondo senso di delusione che a volte porta al "suicidio da Facebook" di cui ho già parlato in questo blog più di un anno fa: l'utente percepisce il senso di falsità della relazione impostata e decide di uscire da un gioco vacuo se non pernicioso. Altre volte, non è tanto la sensazione di stare giocando una partita truccata a creare delusione, quanto invece la delusione di verificare che quel che nel vitro di Fb sembra costituirsi come un gruppo, in vivo si sfalda senza remissione. Sandrone Dazieri, uno scrittore di gialli con un suo certo seguito, racconta la storia del suo suicidio da Fb in modo decisamente accorato. Dopo aver provato a gestire le amicizie su Fb contenendole agli amici reali, cede alla speranza di costituire un gruppo effettivo di amici virtuali, ma rimane fregato quando si illude che quegli amici pronti a cliccare qualunque cazzata sul sito siano anche pronti ad alzare il culo e andare a sentire una presentazione del suo libro.
Con l'acume che gli è proprio, Massimo Mantellini sul suo blog (che consiglio a tutti) analizza questo caso come un eccesso di fiducia, come una speranza mal riposta in uno strumento che, sostiene Mantellini, è definitivamente orientato alla relazione punto-a-punto e che non riusce ad aggregare se non per eventi politici (vedi popolo viola) perché è uno strumento che agisce secondo la "logica dei piccoli numeri".
Non so, non sono sicuro che la spiegazione di Mantellini mi convinca, ma credo che valga ancora la pena di riflettere su questo scollamento sempre più evidente tra "comunità virtuali" e "frustrazioni reali". Se Fb non riesce ad aggregare se non gruppi minuscoli off line, non riesco a capire cosa stiamo facendo, noi 400milioni online su quel sito. Appurato che non si tratta di amicizia, che tipo di relazione sociale attiviamo su Facebook?