Roy Richard Grinker ha scritto un libro sulla
“simbiosi sociale” tra due popolazioni dell’Africa Centrale, i Lese,
agricoltori che vivono in villaggi, e gli Efe, cacciatori raccoglitori della
foresta. Ne parla con ampio dettaglio Francesco Remotti nel suo libro Prima lezione di antropologia. Racconta Grinker (che leggo nella sintesi che ne dà
Remotti) che tra Lese e Efe sussiste una “strana” relazione sociale. I Lese si
considerano superiori, più evoluti, più raffinati dei “primitivi” Efe, e sono
nevroticamente ossessionati da questa loro superiorità, che di fatto non
riescono a gestire da soli. Per quanto li disprezzino, di fatto i Lese hanno
bisogno degli Efe per la loro vita quotidiana e per la solidità simbolica della
loro quotidianità. Non solo gli Efe procurano ai Lese carne, miele e erbe
medicinali dalla foresta, ma hanno costituito una relazione di servitù hegelianamente inestricabile. Le donne Efe aiutano nel parto le donne Lese,
possono anzi esse stesse partorire figli Lese agli uomini del villaggio, e nei
racconti del mito sono stati anzi gli Efe a insegnare ai Lese come ci si
accoppia. Ma è nella gestione della magia che più appare evidente la necessità
Efe per l’esistenza Lese. Ci sono in effetti due tipi di magia, nel complesso
culturale Lese-Efe, e questi due tipi si chiamano aru e kunda.
Aru è la magia che viene da fuori, viene
“proiettata” intenzionalmente sui propri avversari, spesso è legata a questioni
di corna e rivalità amorose, e tipicamente un uomo getta aru sul marito della
propria amante di un altro villaggio. Non è particolarmente pericoloso, aru, ci
si può con-vivere in effetti, e costituisce la normale scocciatura di gestire
le relazioni umane con il “fuori”. Il vero problema, però, è il kunda. Si
tratta della stregoneria più nera, una forza oscura che viene da dentro e che i
Lese non sanno proprio gestire. Se aru è magia intenzionale, malevola e
meschina, kunda è subconscia, feroce e distruttrice. Nasce da dentro l’animo
umano, da quella parte nascosta anche al soggetto, esce fuori senza che neppure
te ne accorgi, e si riversa sui tuoi cari, su tuo fratello, su tuo figlio, sui
parenti più stretti. Nessun Lese riesce a controllarla, o a diagnosticarla per
tempo. Solo dopo che ha colpito si deve provare a contenerla, individuandone la
sorgente umana, che è sempre un vicino, che magari sarà più sorpreso di tutti
nello scoprire di essere uno stregone del kunda. Sono gli Efe, in verità, a
compiere questo lavoro diagnostico, e sono gli Efe gli unici in grado di
trattare i corpi morti infetti dal kunda.
Non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma vale la pena
di sottolineare che il kunda è un concetto totalmente culturale, non c’è alcuna
base “materiale” che imponga il kunda come un oggetto della realtà, eppure i
Lese ne parlano come di un dato di fatto, un’ovvietà che solo un folle potrebbe
negare. È una delle caratteristiche più tipiche delle credenze magiche, questo
suo apparire, per chi le vive, del tutto scontata, reale come le pietre di una
montagna, come l’acqua che scorre in un fiume. Certo, il male esiste, la morte
e il dolore sono dentro l’orizzonte della vita, ma perché i Lese incapsulano
tutto il male mortifero dentro un unico concetto, e lo pongono al centro
incontrollabile della loro cultura? Se il male esiste, perché viene “da dentro”
quando è ingestibile ed invece viene attribuito all’esterno se è oggettivamente
meno pericoloso? Cosa stanno “dicendo” i Lese di se stessi e del Male? Si noti
che non è una strategia antitetica all’originario “capro espiatorio” ebraico.
Il male della comunità, il male prodotto dalla comunità, veniva riversato sul
capro e quello gettato all’esterno, allontanato. I primitivi Efe compiono
questa funzione per i “complessi” Lese, i “confusi” Lese, i “moderni” Lese.
Cacciatori della foresta, ladri di miele e di piante, gli Efe sono più vicini
alla condizione “di Natura” dei civili Lese. Per questo sono in grado di
gestire il kunda per conto dei loro sprezzanti padroni. Perché il kunda è il
ritorno del rimosso, è la Natura che i Lese provano in tutti i modi a tenere a
distanza, dalla quale vogliono a tutti i costi distaccarsi. Essendo più vicini
alla Natura, allo spazio proteiforme da cui tutti veniamo, gli Efe sono in
grado di gestire quel nero che tracima, sanno come si possa almeno incanalarlo,
gestirlo, tenerlo a bada.
Quel che succede in questi mesi in Europa altro
non è che un’esplosione di kunda. La distruzione nichilista che usa armi
bianche, fucili, bombe e camion per massacrare e massacrarsi non è un attacco
esterno. Certo, Daesh ha tutto il vantaggio a reclamare per sé la
responsabilità di tutto quel che succede da Charlie Ebdo in poi, ma è solo un
altro villaggio che confonde il suo miserevole aru con la forza brutale del
kunda, è un farsi vanto della forza altrui. L’Europa comincia a sperimentare
quel che negli Stati Uniti è una sequela di lutti insensati che ha una storia
trentennale, in cui l’Islam non c’entra proprio nulla. È una malattia
autoimmune che si chiama “mancanza di senso” e che dovremmo cominciare
seriamente a pensare come kunda, il ritorno del rimosso.
Abbiamo costruito un sistema complesso quanti
altri mai, e la sua stessa complessità è fonte di angoscia se non trova un
sostegno morale su cui fondarsi. Il “radicalizzato” di turno (che in America,
dove la religione ha tutt’altro spessore pubblico, è ancora un radicalizzato
“cristiano”, quello che imbraccia le armi e fa la strage nel campus o nel
cinema) spara su di noi e su di sé l’insensatezza, la distanza terribile tra Sé
e il Senso. Come per i Lese, fa parte della nostra forma di vita il distanziarsi
dal Vuoto Originario, ma questa distanza diventa incapacità di gestione. Sono
uomini Lese che percepiscono per sé un passato da Efe (non a caso uomini, maschi, ma è un
altro aspetto, questo), quelli che imbracciano il Nulla e lo spargono in giro
per le città dell’Europa. Europei-col-trattino, franco-magrebini,
tedesco-iraniani, anglo-pakistani, non perché il loro essere Altri porti con sé chissà quale
belluina ferocia (gli Efe non hanno kunda, che è una prerogativa dei Lese!) ma
perché il loro essere diventati Lese da poco ho prodotto un surplus di
consapevolezza della distanza tra Cultura e Natura, con la vertigine che ne
deriva. Il Nulla della cultura occidentale dentro cui sono cresciuti rimbomba
nella carcassa mitologica della cultura da cui provengono, ed è lo scarto tra
il Vuoto presente e forse il mito di un Passato ancestrale ancora gravido di
senso che non riescono a gestire. Diagnosticano il Nulla del kunda che tutti
abbiamo nel petto, ma per loro questa diagnosi è insopportabile e diventa
macello nello scarto con qualche forma di Altrove o Passato ancora dotato di
Senso.
Come fossimo Lese senza più memoria, incapaci
di pensare alternative o di concepire un passato moralmente diverso dal vuoto
totale dentro cui ci siamo ficcati, sprofondiamo nella nostra depressione o
proiettiamo nei nostri mobile devices quel poco di desiderio che ancora
riusciamo a spremere dai nostri nervi consunti. Chi invece riesce ad
agganciarsi a qualche fittizia fonte di Senso (si chiami Islam, si chiami
Famiglia, si chiami Amore, si chiami Onore) -- e un passato familiare di emigrazione può esserne
una sorgente insperata -- può provare a
misurare quella distanza. Se pensa che lo iato sia colmabile, farà di quella
radice uno strumento di salvezza, un perno di solida struttura di sé. Ma chi
vede lo scarto e lo trova incolmabile, da quella voragine farà esplodere il
Nulla.