Stiamo assieme per un'ora e mezza, chiacchieriamo, mangiamo qualche dolcetto (solitamente ci troviamo dopo pranzo, di venerdì) e intanto chi ha esperienze, belle o brutte, le condivide, le racconta, attraverso diverse culture, a volte con qualche aiuto per elaborare il tutto in italiano, la lingua che usiamo tra noi.
Intanto io registro tutto con il mio registratorino portatile, che non dà fastidio e non imbarazza nessuno. Le mie fidatissime collaboratrici, Daniela Iuppa, Agnese Vannozzi e Maria Ludovica Ventura, provvedono poi a trascrivere queste conversazioni e poco alla volta stiamo raccogliendo un piccolo corpus di memorie e piccoli eventi della genitorialità, che stiamo lentamente montando in una pubblicazione da distribuire alle stesse mamme del progetto e ad altre del quartiere.
L'intento è quello di gestire il fatto di essere genitore come un evento sociale che può essere condiviso, uscendo dalla logica fallimentare della "privatizzazione" anche della genitorialità. Essere padri e madri, oggi, è forse complicato come lo è sempre stato, non di più. Certo, siamo tutti compressi in un sistema di mutamento accelerato, per cui è difficile potersi appoggiare a qualsivoglia tradizione nel nostro ruolo. Io la sintetizzo così: nel decidere come gestire i tempi del cellulare di Rebecca, mia figlia maggiore, non posso andare da mio padre e chiedergli cosa fece lui quando io avevo l'età di Rebecca, visto che non esistevano cellulari, allora!
Eppure, questa eventuale ulteriore difficoltà può essere affrontata meglio se usciamo dalla logica della genitorialità securitarizzata, per cui saremmo noi, singolo padre e singola madre, i guardiani e i responsabili assoluti dei nostri figli. Meglio recuperare una qualche condivisione, raccogliere i pareri di "zii" e "zie" del vicinato, sentire loro che farebbero, o hanno fatto, al posto nostro.