Non è facile (e non sono certo il solo nell'università
italiana, né tantomeno a Tor Vergata),
avere centinaia di studenti tutti
ficcati nello stesso corso. Non è la brutale noia mestierante del professore
che si scoccia a fare tanti esami, quella la lascio a chi ha
più pelo sullo stomaco di me. Io, confesso, mi diverto ad insegnare, lo ritengo una delle parti più creative del mio lavoro, perché mi
costringe a fare i conti con quanto il mio sapere è trasmissibile, e quindi sensato.
Quest’anno a Lettere di Tor Vergata è stata particolarmente
dura, con un modulo A da oltre 360
iscritti e un B che ha raggiunto il centinaio.
Si tratta di restare efficaci,
spingere la carretta in modo che gli studenti non vedano il tutto come una
piccola farsa, in cui io fingo di
spiegare e loro fingono di capire, ci si annusa qualche minuto all'esame e non
si fa male nessuno.
Dipende, credo, dalla mia disciplina, che o si impara come
un modo di pensare, o non si impara
affatto, per quanto si possano memorizzare e perfino riconoscere un sacco di
termini esotici (subincisione
penica, doppia cugina incrociata, couvade;
io mi sono limitato a spiegare la seconda, questo semestre). E allora (e
qui lo affermo a gran voce: NON lo farò mai
più perché è stato un bagno di sangue) ho pensato di chiedere agli studenti
di commentare online i post in cui
riassumevo i contenuti delle diverse lezioni e ponevo loro una o più domande. Mi sono trovato con circa duecento rispondenti, per 13 post ciascuno. Visto che però non
ero convinto del sistema di valutazione (che di fatto misurava la comprensione dei concetti, più che lo studio dei testi) ci ho messo sopra
anche un orale obbligatorio, sulla
mia monografia macedone. In pratica, se non fosse stato per il prezioso aiuto
di Chiara Cacciotti, starei ancora a
macinare punticini e segnetti sul foglio elettronico, che allo stato attuale compare così. Ho messo i nomi visibili solo nelle prime lettere, per
ragioni di rispetto della privacy, “sì” significa che il post in questione è
stato commentato; una casella vuota indica un post non commentato; i post 4, 12
e 14 erano valutati su una scala A/B/C; il voto proposto è riportato nell’ultima
colonna; chi deve fare l’orale ancora non ha un voto proposto; se ci sono
errori o mancanze (e ce ne saranno di sicuro) NIENTE PANICO e soprattutto non
scrivetemi o telefonatemi: venite lunedì 8 gennaio all’esame oppure ai miei
ricevimenti con le prove dei miei errori.
Hanno completato
il percorso del modulo A 150 studenti,
un’altra cinquantina è in chiusura, il resto passerà per le forche caudine
degli scritti canonici. Mi sono
chiesto più volte se non stessi facendo una cavolata, che non solo mi stava
sovraccaricando di lavoro, ma che rischiava pure di sottrarre alle studentesse
e agli studenti la doverosa responsabilità
dello studio. Poi, leggendo i test, un po’ di sono riconfortato. Certo, qualche
post qualcuno se l’è proprio scroccato alla grande, ma in generale sono
contento di come è andata, e in alcuni casi le risposte mi hanno impressionato
per sensibilità e profondità.
Ma se volete capire come è andato questo semestre, io vi
consiglio di spendere dieci minuti a leggere il file di Alessia
Pomposelli. Alessia è una mia studentessa legata in una rete (per me difficile da districare, con tutto che faccio l’antropologo)
di zie, cugine, sorelle e amiche (c’è pure qualche
uomo, ma ormai ho capito che in questo matriclan
i maschi sono solo una minoranza
dignitosa). Nonostante il lavoro e
nonostante gli impegni di madre, si
è presa il piacere intellettuale di rispondere a tutti i post del blog, e lo ha fatto in un
modo che sintetizza quel che mi piace
insegnare, quel che credo sia importante
dell’antropologia culturale, vale a dire la sua trasportabilità, la capacità di
portarla sempre con sé in giro come una app,
utile per capire un po’ di più il mondo in cui siamo immersi, tutte e tutti.