2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

domenica 20 dicembre 2020

Esonero Antropologia culturale MODULO B (prof. GIULIA CASENTINI)


Il test preliminare (esonero) del modulo B di Antropologia culturale di Roma Tor Vergata si terrà, come concordato, lunedì 21 dicembre alle ore 12:00 sulla piattaforma ClassMarker.

Gli studenti e le studentesse dovranno collegarsi non prima delle 12:00 e non oltre le 12:10 a uno dei link riportati qui sotto, e seguire le istruzioni che comunque riportiamo.

Si tratta di un test a risposta multipla per complessive 15 domande. Ogni domanda vale 2 punti. Le domande sono generate in sequenza casuale, presentate una per pagina e non possono essere percorse "a ritroso" né si può passare a una successiva senza aver risposto a quella in corso.

Alla fine del test sarà visibile il punteggio conseguito. Chi volesse chiarimenti sul test può prendere appuntamento con la prof. Casentini che farà vedere gli eventuali errori e potrà formulare ulteriori domande relative al programma.

Come al solito, sono stati generati due link, uno per tutti gli studenti e le studentesse e l'altro riservato agli studenti certificati CARIS. I due test sono identici, con l'unica differenza nella durata: il test standard ha un  tempo massimo di 20 minuti, il testi EXTENDED Caris ha una durata massima di 26 minuti. NON commettete l'errore di fare un test EXTENDED se non siete in possesso di una certificazione CARIS, altrimenti il vostro test verrà comunque annullato, anche se dovesse essere portato a termine entro 20 minuti.

LINK ESONERO MODULO B

https://www.classmarker.com/online-test/start/?quiz=n645fdf84e660fd3

 

 LINK ESONERO MODULO B EXTENDED (STUDENTI CARIS)

https://www.classmarker.com/online-test/start/?quiz=7cy5fdf8b0494147


lunedì 30 novembre 2020

Esonero Antropologia culturale Modulo A 2020/21: test su Oltraggi della memoria

 


Il secondo test del modulo A di Antropologia culturale 2020/21 si terrà online sulla piattaforma ClassMarker lunedì 30 novembre alle ore 17:00.

Gli studenti e le studentesse dovranno cliccare su questo link tra le 17:00 e le 17:10:

https://www.classmarker.com/online-test/start/?quiz=xqx5fc43adf265cc

Solo gli studenti certificati Caris dovranno linkare invece su questo link, sempre nella fascia compresa tra le 17:00 e le 17:10.

https://www.classmarker.com/online-test/start/?quiz=pgf5fc439c63d146

Ricordo che se si accede al test Caris senza averne le credenziali, il test non verrà in alcun caso valutato.

L’ingresso alla piattaforma è limitato alla fascia oraria indicata (tra le 17:00 e le 17:10), se si prova a entrare prima delle 17:00 o dopo le 17:10 il sistema non consente l’accesso.

Una volta che si è entrati, si vede una prima schermata informativa, dopo di che si accede al test, che consiste di 15 domande a cui rispondere in 20 minuti (26 minuti per i certificati Caris).

Si può passare alla domanda successiva solo una volta che si sia risposto alla domanda in corso. La sequenza delle domande è lineare e unidirezionale, per cui non è possibile tornare sui propri passi una volta che si sia risposto a una domanda e cliccato sul pulsante “successiva”.

Le 15 domande del test sono sorteggiate da un archivio di 30 domande e vengono poi presentate in sequenza casuale, e anche le risposte sono randomizzate. Questo significa che di fatto non ci sono due test uguali, e il tempo di svolgimento del test non consente verifiche incrociate tra test di due diversi candidati.

Viste le spiacevolissime occorrenze di test alterati durante il primo esonero, il punteggio di questo test farà in ogni caso media con il primo test, anche se dovesse essere un voto basso, bassissimo, o pari a zero. Se nel primo test si è preso 30 e a questo si prende 8, la media finale degli scritti sarà 38/2 = 19.

Chi non prenderà il test in questa forma ridotta e facilitata, farà l’esame a gennaio o più avanti, con molte più domande e molto più dettagliate, così come concordato anche per la parte generale del modulo (“dispense”).

Chi volesse verificare il punteggio del test e controllare le risposte esatte e sbagliate potrà presentarsi al ricevimento online (orari sul calendario). Il ricevimento potrà diventare, se lo riterrò necessario, un colloquio orale di valutazione dell’intero programma e venire conteggiato con un punteggio che entrerà a tutti gli effetti nella media finale.

AGGIUNTA DOPO LA PUBBLICAZIONE
Chiarimento evidentemente necessario: alla fine del test ogni candidato potrà vedere il voto conseguito. NON potrà però vedere i risultati delle specifiche risposte, che non renderò più disponibili d'ora in avanti dopo il vergognoso mercato delle vacche durante il primo esonero.
Chi vuole sapere cosa e dove ha sbagliato si collega durante il mio ricevimento online, oppure mi chiede un appuntamento se il mio orario di ricevimento (martedì mattina) coincide con altri suoi impegni.
Durante il colloquio il candidato potrà vedere tutte le risposte e io mi sentirò libero di fare altre domande, su tutto il programma d'esame, che andranno eventualmente a integrare (in alto o in basso) il voto degli scritti.
 15,8 milioni di miliardi

domenica 29 novembre 2020

Esonero Oltraggi della memoria

 Scusate sono in emergenza sanitaria familiare. Il secondo test di Antropologia culturale modulo A si terrà come previsto il 30 novembre, alle ore 17. In mattinata posterò sul blog e sui social i link e l'indicazione precisa dell'orario.

La finestra coinciderà con la durata del test:15 o 20 minuti attorno alle 17. Gli studenti certificati Caris avranno un loro link e il 30 percento di tempo in più. Chi fa il test Caris senza la certificazione vedrà il suo test invalidato, come è successo per il primo esonero.

Chi non può farlo il 30 lo farà a gennaio. Il voto dell'esonero del 30 farà comunque media con quello del primo esonero, anche se fosse basso o molto basso. Se qualcuno a preso 30 al primo esonero e 6 al secondo esonero, raggiungerà la media del 18.

Chi non lo fa il 30 novembre ne farà, come per le "dispense", una versione maggiorata e più difficile a gennaio.

una quindicina di domande in sequenza senza tasto "indietro". Alla fine del test ci sarà voto e percentuale senza feedback sulle risposte. Non sarà quindi possibile per gli early birds passare i risultati a chi si collega dopo, perché non ci sarà alcun "dopo" e tutti faranno il test nello stesso identico momento.

Purtroppo ci sono stati casi spiacevoli al primo esonero e come in tutti i gruppi gli scrocconi la fanno pagare a tutti.

venerdì 13 novembre 2020

Modulo A: il test di verifica sulla monografia "Oltraggi della memoria" di Lorenzo D'Orsi

 




Il test (o esonero) sulla monografia prevista per il modulo A di Antropologia culturale 2020/21, vale a dire Oltraggi della memoria. Generazioni, nostalgie e violenza politica nella sinistra in Turchia, Milano, Meltemi, 2020, si terrà online sulla piattaforma ClassMarker il giorno lunedì 30 novembre 2020 alle ore 17:00.

Ricordo che il libro è disponibile in formato cartaceo e anche in formato kindle (non serve avere il kindle, dato che esiste una app kindle gratuita per pc, tablet e cellulari), oltre che in formato epub (qui trovate un buon lettore gratuito per epub). Il libro cartaceo si può anche ordinare direttamente dall'editore. Per chi è a Roma, il libro si può ordinare in qualunque libreria (questo  vale ovunque vi troviate, ovviamente) e dovrebbe essere già disponibile presso Universitalia, in via di Passolombardo a Tor Vergata, e il Booklet Le Torri, di via Amico Aspertini a Torbellamonaca.

Con l'autore, sto mettendo a punto il questionario per il test di verifica, che sarà dettagliato abbastanza da avere circa una ventina di domande, da rispondere in una ventina di minuti circa, anche connesse alla parte generale del corso.

Antropologia culturale: inizia il modulo B


Lunedì 16 novembre
inizia il modulo B di Antropologia culturale di Tor Vergata, tenuto dalla professoressa Giulia Casentini, che farà un corso intersectional, sui temi dell'immigrazione e del genere.
Si tratta di una bella opportunità, finalmente, di ascoltare un po' di antropologia culturale a Tor Vergata con una particolare expertise su immigrazione dall'Africa e in Africa, argomento su cui Giulia Casentini lavora da molti anni, avendo condotto fin dal dottorato ricerche in particolare in Africa Occidentale.
Le lezioni si terranno su Zoom, come per il modulo A, e il link sarà disponibile sempre sul mio calendario online su questo blog, e l'orario di svolgimento DIVERSAMENTE da quanto indicati sui siti istituzionali, sarà il seguente:

Lunedì ore12:00-14:00
Mercoledì ore 12:00-14:00
Venerdì ore 12:00-14:00

Il corso inizierà lunedì 16 novembre e avrà termine lunedì 21 dicembre.
Inoltre, la prof terrà il suo ricevimento (sempre online, presto linkato sul mio calendario online) al 
Martedì ore 12:00-14:00
Buon lavoro a lei e a tutte le studentesse e tutti gli studenti di Tor Vergata che parteciperanno a questa bella nuova avventura. Come per il modulo A, le lezioni verranno registrate in video e rese disponibili sulla piattaforma YouTube, sempre nel mio canale con una playlist dedicata.

lunedì 9 novembre 2020

Test di Antropologia culturale modulo A (Esonero)


 La finestra per sostenere l’esonero di Antropologia culturale modulo A del 9 novembre 2020 si aprirà alle 16.15 e rimarrà aperta fino alle 19.45.

Dovrebbe essere tutto chiaro ma è meglio ribadire: una volta iniziato, il test NON può essere interrotto e ripreso più tardi. Ognuno ha un solo tentativo, quando iniziate, dovete portare a termine il test, che comunque si interrompe nell'arco di tempo previsto (75 minuti standard, 100 per chi ha diritto all’estensione con il certificato Caris). 

Potete tornare indietro e correggere eventuali errori, fino alla chiusura del test. 

Una volta concluso, avrete la correzione immediata, con la percentuale di risposte esatte e i "punti" guadagnati. Dato che il totale dei punti disponibili è 60,5, il voto finale va calcolato dividendo il punteggio per 2 (se avete presto 58 punti, il vostro voto è 58:2= 29). 

Il punteggio minimo per considerare il test superato è dunque 36. 

Un voto "basso" può essere recuperato con il voto del secondo test (sulla monografia) e con la tesina finale. Prima di "rifiutare" il voto il mio consiglio è che aspettiate anche la valutazione delle altre prove.

VERSIONE REGOLARE (per tutti tranne gli studenti certificati CARIS):

https://www.classmarker.com/online-test/start/?quiz=nb45fa86b168c165

VERSIONE ESTENSIONE DI TEMPO (solo per studenti certificati CARIS):

https://www.classmarker.com/online-test/start/?quiz=mfp5fa86dd9958b9

sabato 31 ottobre 2020

Parlare di morte

 

Per due anni, noi del PEF- Polo Ex Fienile e soprattutto noi del LaPE - Laboratorio di Pratiche Etnografiche, abbiamo organizzato una festa al Fienile, carinamente intitolata "Mortacci nostra". 

E' stato un modo per dire che a noi Halloween ci faceva un baffo, non nel senso che lo schifavamo come l'ennesima americanata, ma che ce lo ricordavamo come una tradizione ben radicata nella memoria popolare, e cioè la commemorazione (seria, scherzosa o grottesca, a seconda degli stili locali) delle persone defunte.

Da antropologi quali siamo, ci sembrava un'emerita stronzata ridurre il ricordo dei morti a una questione in cui dovessero competere solo le religioni istituzionali o i responsabili della mercificazione di qualunque cosa. Anche noi normali, il 99% si potrebbe dire, avevamo il diritto di non alienare il ricordo della morte, la presenza inevitabile della morte, il senso della morte nelle nostre vite.

Mortacci nostra è stato un modo di inventare una tradizione, e attorno al fuoco o nella sala teatro del PEF abbiamo ascoltato e raccontato storie da brividi, storie da lacrime, storie insomma.

Quest'anno non si può, come è noto. E con molta sofferenza ci siamo adeguati alle necessità sanitarie. Il che non significa che non ci si possa incontrare anche a distanza, senza baci e abbracci, certo, ma con qualche storia.

Per le studentesse e gli studenti di Antropologia culturale di quest'anno ho pensato così di offrire un piccolo spazio online al link delle mie lezioni su Zoom. Porteranno una piccola storia, una foto da mostrare, un oggetto di una persona cara. Oppure una canzone da condividere o una poesia da ascoltare (YouTube è una miniera fantastica, per questo). I più coraggiosi potranno anche recitare i loro versi, o una storia scritta da loro.

Basta venire nell'aula Zoom di Antropologia culturale oggi, 31 ottobre, tra le 21.30 e le 22.30, prenotandosi sulla chat della classe per chi volesse può avere tre minuti di microfono e video.

Fare antropologia non è solo capire, fare antropologia è anche vivere capendo un po' di più.

sabato 24 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 06 del 16 ottobre 2020: di chi è l’intepretazione? Thin vs thick

 


[Tutta la tiritera che segue è orientata a introdurre la lettura di “Verso una teoria interpretativa della cultura” di Clifford Geertz]

La teoria REFERENZIALE del significato è inadatta a spiegare la sostanza più specificamente specifica del linguaggio umano.

La teoria DELL’USO invece sembra funzionare molto meglio. Il “secondo” Wittgenstein è uno dei pensatori che più ci ha aiutato a capire che il significato di un segno è nel suo uso, cioè nei modi “sensati” (appunto) in cui possiamo usare quel segno, sia esso una parola, o un anello di matrimonio.

Abbiamo fatto l’esempio delle “cotolette di cane” che solitamente qualcuno NON capisce non perché nel nostro contesto culturale è “insensato” dire di aver mangiato cotolette di cane.

Nella Teoria Referenziale = il Significato somiglia alla voce di DIZIONARIO;

Nella Teoria dell’uso = il Significato somiglia alla voce di ENCICLOPEDIA.

La RETE di SEGNI è più di una metafora

Se ogni segno è composto di un significante e di un significato, e ogni significato è di fatto una “connessionecon altri segni, ecco che dal segno Cane devo agganciarmi (in Italia) alla Amicizia, alla Fedeltà, alla Compagnia, che sono tutti Segni, ognuno dotato di un Significante e di un Significato, e ogni segno a sua volta è agganciato ad altri segni nella teoria dell’uso.

In Italia e in Corea le rispettive reti che definiscono il segno “cane” sono molto poco sovrapposte, dato che in Corea il segno ‘cane’ può essere associato ai segni del Cucinare e quindi la rete che rende possibile l’uso sensato del segno ‘cane’ in Corea rende “sensata” anche l’espressione “ieri ho mangiato cotolette di cane”.

Insomma, la RETE DEI SEGNI È LA CULTURA, CULTURA È LA RETE DEI SEGNI e per quanto qualcuno potrebbe (anche a buona ragione) contestare che la rete dei segni NON CONCLUDE tutta la cultura, di certo ogni specifica società è dotata di una rete condivisa di segni tra i suoi membri che ne costituisce l’ossatura simbolica, e senza la quale non solo non esisterebbe comunicazione all’interno di quella società ma anche per ogni individuo non ci sarebbe modo di sentirsi tale, perché gli eventuali significati idiosincratici che fosse mai riuscito a elaborare nella solitudine del suo cervello non avrebbero mai modo di uscire fuori.

È questa consapevolezza che porta Clifford Geertz a elaborare la sua concezione semiotica della cultura con l’immagine dell’animale impigliato nelle reti di senso che egli stesso ha intessuto, secondo la metafora di Max Weber.

Quindi, mentre le scienze sperimentali cercano CAUSE tramite la SPIEGAZIONE, le scienze umane cercano SIGNIFICATO tramite l’INTERPRETAZIONE.

La PAREIDOLIA è il modo più evidente di questa disposizione del nostro cervello animale trovare significati anche dove non ce ne sono di intenzionali. Diciamo che l’antropologia insegue questa disposizione degli umani non solo nella percezione visiva, ma nel quadro generale dell’IMMAGINAZIONE: immaginiamo (oggetti, valori e relazioni) sulla base di MODELLI che abbiamo già acquisito per altri campi.

L’esempio dell’AMICIZIA che per noi non è formalizzata ma per altre culture lo è: studiare l’altrove ci consente non solo di riflettere sulle regole culturali altre (to’, guarda che strani, quelli fanno un rituale per stabilire formalmente che quello è un amico speciale e cominciano a chiamarlo “fratello”) ma anche di riflettere sulle nostre regole culturali (siamo sicuri che l’amicizia sia solo una relazione spontanea lasciata alla nostra libera scelta? Guardate quanti diventano amici perché hanno figli nella stessa scuola, e poi ripensateci).

Quindi l’antropologia insegue il significato culturale, vale a dire il senso che “le cose” hanno nel contesto in cui sono vissute e praticate. Cerchiamo insomma di raggiungere quella che Gilbert Ryle ha definito una THICK DESCRIPTION, una DESCRIZIONE DENSA, cioè una descrizione di una situazione cercando di offrire il senso che vive l’attore sociale dell’azione che stiamo analizzando. Se invece ci limitiamo a utilizzare la nostra rete di significato (e non quella dell’attore sociale) otteniamo al massimo una THIN DESCRIPTION, cioè una descrizione che si sforza di essere “neutra” o “oggettiva” ma che in realtà non riesce a cogliere il senso dell’azione per chi la sta compiendo e impone su quell’azione le categorie dell’analista.

(46:00) Abbiamo ripreso l’esempio dell’occhiolino contrapposto al tic nervoso, che Geertz cita da Ryle, e ci abbiamo ricamato un po’ sopra.

Con un po’ di problemi di connessione, abbiamo cercato di riflettere sul fatto che la thick description NON è una descrizione “più accurata”, visto che può consistere di una sola parola (“battesimo”) per chi la sa interpretare, e che la thin description NON è una descrizione superficiale nel senso che sia “frettolosa”. Se non sapessi cos’è un battesimo in una chiesa cattolica potrei andare avanti giorni raccontando tutti i dettagli di questo strano posto con delle decorazioni alle pareti dove un uomo con un camicione butta dell’acqua sulla fronte di un bimbo piccolo, ma la cura maniacale del dettaglio della mia descrizione NON la renderebbe meno thin, dato che la sua superficialità non sarebbe data dalla mancanza di precisione “oggettiva”, ma dalla incapacità di “coglierne” il senso dal punto di vista dell’attore sociale.

Uno degli esempi più chiari della differenza tra Thin e Thick è quello (che rubo a Marshall Sahlins) dell’ACQUA BENEDETTA. Cosa c’è di oggettivamente diverso tra acqua normale e acqua benedetta? Nulla, ovviamente, e un chimico mi dirà che si tratta sempre della stessa sostanza, ma se voglio capire la differenza devo vedere le cose dal punto di vista del credente, che pensa che l’acqua benedetta abbia una qualità spirituale, e possa essere taumaturgica.

(1:09:45) THIN E THICK SI SOVRAPPONGONO A -ETIC e -EMIC, facendo però attenzione al fatto che “il punto di vista del nativo” (che sarebbe l’-emic) non coincide esattamente con il senso dell’azione consapevole dell’attore sociale. Il millepiedi non sa come fa a camminare, ed è inutile, spesso, chiedergli come fa aspettandosi una risposta coerente. Di fatto, l’antropologo lavora anche a livello del subconscio culturale, cogliendo sensi che NON sono praticati consapevolmente dagli attori sociali.

Tutto, questo, dicevamo, per introdurre il racconto che Geertz ci farà del vecchio mercante ebreo Cohen.

Abbiamo concluso (1:20:00) con un TEST sul “SIGNIFICATO”.

Le ultime considerazioni (1:32:15) sono sulla fragilità epistemologica dell’opposizione THIN/THICK (come di quella -etic/-emic): diciamo che sono opposizioni di cui abbiamo bisogno come “limite” o come “obiettivo” ma l’antropologa sul campo non può che aspirare a ricostruire il punto di vista -emic o a produrre una thick description, ma questo lavoro di ricostruzione sarà sempre incompleto (basta parlare con “un’altra persona ancora” e il quadro può mutare).

Il punto insomma è che questa incompletezza della nostra ricostruzione culturale è intrinseca e irrinunciabile.

Ho poi finito con un doppio appello di eventi al PEF – Polo Ex Fienile, che però è andato completamente a vuoto… (anzi no, una ex studentessa sabato è venuta a darci una mano a fare pacchi al PEF).


lunedì 19 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 05 del 14 ottobre 2020: La forma simbolica del culturale

 


Abbiamo visto il pregiudizio della omogeneità interna e della separatezza delle culture e in questa lezione abbiamo cercato di capire da dove venga quel pregiudizio. Ci sono delle motivazioni di ordine cognitivo, e altre di ordine politico. In questa lezione abbiamo solo le prime, lasciando le motivazioni politiche a una prossima lezione. 
Il pregiudizio (o bias, ogni tanto dico) cognitivo dipende dal fatto che abbiamo bisogno di categorie dove "incasellare" la fantasmagorica complessità del reale percepito, ma queste categorie non sono affatto innate, o lo sono per grandi contrapposizioni (animato/inanimato, per esempio, che possiamo elaborare già verso i 6 mesi) e non ci consentono quelle sottigliezze necessarie nella vita associata. In pratica, impariamo gran parte delle etichette o categorie con cui riduciamo la complessità ingestibile del reale e ci mettiamo anche un po' ad impararle, come dimostra questo video:


Per non essere sopraffatti dalle occorrenze del reale (dalle carte che il mondo ci fa vedere, con tutte le figure) dobbiamo imparare presto a inscatolarle in etichette. Le etichette si possono chiamare types, le occorrenze tokens, ma il senso è quello indicato. Senza etichette possiamo contare le occorrenze solo fino a un certo punto, oltre il quale ci perdiamo e veniamo semplicemente travolti. In questo video una definizione di Type e di Token:

Quindi come animali abbiamo bisogno di scatole, etichette o categorie, ma proprio perché non le possediamo incorporate nei geni, quei types possono e debbono essere in gran parte appresi.
La Realtà è lì, inossidabile, ma Kant ha ragione quando ci dice che è inconoscibile direttamente (noumeno) mentre può essere afferrata solo dentro le categorie.
Senza entrare in polemica con Kant, diciamo che a fianco di alcune generali e universali categorie per conoscere il mondo gli esseri umani hanno bisogno anche di categorie più specifiche (quali labbra femminili siano belle e quali invece considerate volgari) e questo livello di categorizzazione dipende dalla cultura cui apparteniamo.
Creare categorie significa trovare le somiglianze e le differenze e dare RILEVANZA ad alcune e considerare IRRILEVANTI altre. NON c'è nella realtà alcuna ragione intrinseca per cui alcune somiglianze o alcune differenze siano rilevanti, dato che la RILEVANZA è un giudizio esercitato dagli esseri umani, non è una qualità della realtà. La realtà certo che ha qualità intrinseche (forma, colore, peso, attrattiva, ecc.) ma la rilevanza di alcune qualità e non di altre è una decisione umana, e gli uomini sembrano in grado di decidere molto diversamente rispetto alla rilevanza, a seconda dello spazio e del tempo in cui si collocano per quel loro giudizio.
Il racconto di Borges su Funes, o della memoria, è un buon esempio di quel che succede se si perde la possibilità di raccogliere il percepito in categorie ma si mantiene il ricordo del percepito.
Applicata alle relazioni umane, questa necessità delle categorie produce l'opposizione Noi/Loro che categorizza prima di tutto coloro con cui posso avere un rapporto cooperativo (il Noi) per distinguerli chiaramente da gli Altri, con cui invece dovrei pensarmi in relazione competitiva. NON c'è alcuna base biologica per stabilire dove si pone "naturalmente" questo confine (vedremo nelle lezioni sulla parentela che proprio i "legami di sangue" sono un modo con cui molte culture si illudono di poter stabilire almeno un confine iniziale di questo tipo) ma intanto anticipiamo che il Nazionalismo è il sistema politico che porta alla perfezione questa contrapposizione necessaria tra categorie di persone.

Una volta apprese, le categorie funzionano al punto che ci possiamo ficcare dentro anche "cose" che in sé non hanno ragione di starci, come dimostra la bellissima poesia di Fosco Maraini, letta da Gigi Proietti
E' un testo "senza senso" ma riusciamo a capire tantissimo, proprio perché utilizziamo categorie che già abbiamo per ficcarci dentro quel nonsense.
Se non parlassimo italiano, il Lonfo non avrebbe senso. Anche le parole senza senso le ficchiamo dentro qualche categoria. Come quando vediamo nelle nuvole dei volti, o degli oggetti (pareidolia). NON sono nelle nuvole, ma sono nelle categorie che abbiamo acquisito e dentro cui forziamo quel che vediamo. Questo aspetto cognitivo è stato studiato dagli psicologi ma quasi solo per gli aspetti strettamente percettivi (forme e colori) ma dobbiamo capire vale a che per i giudizi morali o estetici: una volta elaborate, alcune categorie si radicano in profondità e le utilizziamo anche per includere aspetti del reale che non erano originariamente concepiti in quella categorizzazione (Robert Sapolsky lavora su questi temi, ma non ci sono traduzioni italiane delle sue riflessioni si questi temi, o almeno io non le conosco).
Questa capacità di produrre senso, quando non è socialmente condivisa può produrre il "delirio", la fine della significazione come comunicazione. Ora, c'è una disputa tra filosofi del linguaggio per stabilire se il linguaggio sia prima COMUNICAZIONE (quindi presupponga l'altro) o sia ESPRESSIONE (per portare fuori quel che si ha dentro) e non intendo prendere posizione in proposito. Mi basta dire che il linguaggio è sempre tutte e due le cose, e quando perde la sua dimensione CONDIVISA diventa facilmente ALIENAZIONE.
Questo significa collegare la cultura come sistema categorizzante al POTERE di esercitare quella funzione. NON tutti hanno la stessa voce nello stabilire quale sia il senso di quell'aspetto culturale. Il tè è diventato comune in Inghilterra perché era una regina a consumarlo e le donne nobili l'hanno imitata, presto imitate dalle borghesi e giù nella scala sociale. Ci sono diverse teorie in questo senso (penso ad esempio alla Teoria della classe agiata di Veblen) ma quel che conta è che ci imitiamo tra gruppi e sottogruppi e spesso capita che siano quelli che dispongono le quantità maggiori di diverse forme di POTERE (economico, di prestigio, politico) a fare da modelli e a stabilire quali siano i "giusti" (dentro quella cultura) significati da attribuire a determinati segni.

Avere un quadro categoriale è quindi necessario, non possiamo farne a meno. Ma una volta che lo abbiamo incorporato, da un lato ci consente di non dubitare tutto il tempo per ogni cosa, ma dall'altro rischia di farci "perdere di vista" aspetti del reale che NON ABBIAMO NOTATO perché eravamo intenti a categorizzare altro:
Il video "Awareness test" serviva a farci capire questo punto.

I FAP (Fixed Action Patterns) sono necessari agli umani come a qualunque altro essere vivente. Ma mentre gli altri animali si basano su FAP innati, noi dobbiamo APPRENDERLI e una volta appresi, li sentiamo nostri come fossero innati. Come il nostro modo di parlare.

-EMIC -ETIC
Quando studio quindi un gruppo sociale, posso insistere sulle mie categorie di analisi oppure posso cercare di ricostruire le categorie utilizzate dal mio interlocutore (singolo o gruppo). L'antropologia è la ricerca del livello -emic.
(Il casino è che quel che chiamiamo -etic è spesso l'-emic di chi parla, ma non voglio scatenare il panico e quindi soprassediamo, anche se è evidente per tutti che un punto di vista "oggettivo" sul reale semplicemente è un'illusione, perché quello a cui puntiamo è sempre un livello inter-soggettivo, e il problema diventa a quel punto quanto ampio debba essere quell'-inter per poterlo attribuire al genere umano e non a un suo specifico sottogruppo.)
Abbiamo insistito molto su questa differenza, perché è essenziale per capire la nostra disciplina. Come si giunge a capire questo punto di vista -emic?
E' la INTERPRETAZIONE il punto di svolta.
Per cogliere il punto di vista dell'altro dobbiamo pensarci come i protagonisti di Flatlandia.
Abbiamo poi introdotto altri concetti essenziali.
SEGNO  come unione arbitraria di SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Abbiamo detto della natura MATERIALE del significante.
Abbiamo chiuso anticipando la doppia teoria del significato: Teoria referenziale vs Teorie dell'Uso.

domenica 18 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 04 del 12 ottobre 2020: la cultura è condivisa(?)


Abbiamo raccontato la storia dei due archeologi per dimostrare che abbiamo incorporato alcune regole culturali (in questo caso regole fonologiche su come si pronunciano i suoi nasali in italiano) SENZA SAPERE che le abbiamo e che le sappiamo usare con estrema precisione. CHI è che sa quelle regole? I parlanti, certo, ma a che livello di CONSAPEVOLEZZA lo "sanno"? Molto basso, possiamo dire. E certo questo esempio è indicativo di come funzioni tanta parte dell'apprendimento culturale. Siamo a volte "culturati" dalla nostra cultura, ci pare del tutto inevitabile che le cose siano così, perché non concepiamo le ALTERNATIVE al nostro comportamento. Gli italiani monolingue non riescono a pensare che una nasale di fronte a una occlusiva velare si possa realizzare in maniera DIVERSA da come la realizzano loro. Estendete questa idea al modo in cui ci pone a distanza dagli altri (qual è la distanza di cortesia? E quale quella di distacco sprezzante?)  oppure al modo in cui ci si debba salutare tra estranei, o al mondo in cui si considerano belle le labbra di una donna, o al modo in cui ci si debba comportare con i figli, o con i genitori, quale sia la giusta decisione da prendere in quel caso e quale invece sia completamente sbagliata, ed ecco che di colpo la cultura si appare per quel che è: uno strumento molto potente di controllo nella conformità. Non sto dicendo che la cultura sia la nostra gabbia, ma Franz Boas, che di diversità culturale decisamente se ne intendeva, parlava di "shackles of culture", cioè i ceppi, le catene che si mettevano ai piedi degli schiavi o dei prigionieri per contenerne in movimenti entro un raggio di azione limitato. Questo fa la cultura, e non c'è nulla di mostruoso o di eccessivamente drammatico in questo, perché lo DEVE fare, vista la nostra disposizione a collegare tutto con tutto. Se non avessimo quei ceppi la nostra vita sarebbe un inferno (come in effetti a volte è la vita dei bravi antropologi...). Diceva Boas:
Il pregio dell'antropologia è il suo potere di impressionarci con il valore relativo di tutte le forme di civiltà. Noi siamo troppo portati a considerare la nostra cultura come la meta ultima dell'evoluzione umana, privandoci così dei benefici ricavabili dagli insegnamenti altrui. Ciò che penso della vita è determinato da una domanda: come possiamo riconoscere le catene della tradizione? Perché, se riuscissimo a riconoscerle, potremmo anche spezzarle
La cultura è quindi un sapere appreso che fa di tutto per nascondersi in quanto appreso, e il lavoro dell'antropologo è anche e soprattutto portare a galla quel sapere sotterraneo o inconsapevole.
Per capire come questo lavoro di consapevolezza sia tutt'altro che confortante,  abbiamo raccontato l'apologo del bruco e della formica (dal minuto 31:45), come esempio della complicatezza di agire SAPENDO di agire, osservandosi nel proprio agire. La CONSAPEVOLEZZA è una  conseguenza della riflessività, dell'osservarsi mentre ci si confronta con l'Altro, questo oggetto primigenio della riflessione antropologica.
Piccola digressione su quanto il lavoro dell'antropologia sia stato efficace in questo senso e quanto invece sia stato zeppo di errori e di complicità con il potere. E per parlare della natura intrinsecamente "progressista" dell'antropologia. 

Vediamo ora (42:00) se e quanto la cultura è CONDIVISA da parte di coloro che la POSSIEDONO. Condivisione e Possesso sono due termini economici, che hanno a che fare con la proprietà materiale. Ma la cultura è un oggetto materiale che può passare di mano come un campo di terra o un orologio?
SE FOSSE COSI' SAREBBE FORIERA DI DISTINZIONE netta tra gruppi ma invece sappiamo che le culture non sono divise in questo modo (anche se si raccontano così) e che "la roba" intera (the cultural stuff di F. Barth) sappiamo che viene usata per creare confini: DE-LIMITAZIONE e DE-FINIZIONE e etimologia dei termini. = Limes e Finis.

Le culture, insomma, si raccontano sempre più OMOGENEE internamente e più NETTAMENTE SEPARATE tra di loro di quanto non ci dimostri l'analisi empirica dell'etnografia. Abbiamo dimostrato questo punto centrale della riflessione antropologia con un piccolo racconto (49:40)
Il caso delle due signore a Venezia. Una signora è Veneziana "da sempre", e l'altra signora è invece una badante venuta una ventina d'anni da dall'Europa dell'Est. La signora veneziana ha inoltre un nipote (lei è la nonna, non la zia) che le vuole bene e la va a trovare. Ci siamo chiesti se sia possibile "misurare" le somiglianze e le differenze tra queste tre persone. Quale coppia si somiglia di più tra nonna-nipote e nonna-badante, per quanto riguarda pratiche di vita, immaginario, sistema di valori, gusti estetici eccetera? Nel raccontare la storia ho citato (senza nominarlo perché il nome mi sfuggiva) un antropologo che ha fatto una bella indagine sulle badanti: si chiama Francesco Vietti e il saggio si intitola Il paese delle badanti (Meltemi). Ci sono diversi studiosi che si occupano del lavoro domestico e del lavoro di cura nel mondo globalizzato e mi piace qui ricordare l'importante lavoro di ricerca coordinato dalla sociologa Sabrina Marchetti all'Università Ca' Foscari di Venezia.

Alla prova dei fatti, sappiamo che le culture sono MENO condivise all'interno e più condivise attraverso di quanto non pensiamo "istintivamente". Più o meno reddito, più o meno educazione, più o meno competenze ad hoc: chi ne sa di più tra gli elettricisti e gli idraulici? 
Nessuno possiede TUTTA e SOLA la propria cultura.

(1:06) IL TEMPO e LA VARIAZIONE CULTURALE (la creazione storica dei contesti tradizionali)
il Tè inglese delle cinque a questo video.
Un altro esempio di cui abbiamo parlato è quello della nduja Calabrese (1:12:38).
La pasta al pomodoro napoletana del Cuoco galante (1799) è un'altra impressionante dimostrazione della finzione del primordialismo: a inizio Ottocento la pasta al pomodoro ancora non c'era, non era rappresentata in un libro di ricette napoletano. 

QUINDI le culture non solo sono complicate al loro interno ora, ma LO SONO SEMPRE STATE
Abbiamo visto le Figure a pagina 8 della dispensa con gli ELEMENTI culturali e i CONFINI culturali
Questa ricostruzione post hoc di unità interna ci induce all'errore del PRIMORDIALISMO e dell'ANCESTRALITA', per cui una cosa è usata "da tempo immemore". In realtà una cosa diventa TRADIZIONALE non se è usata da sempre (nulla ha questa durata), né se è usata da tempo immemore (eh, trovarne cose così...) e neanche se quella cosa è stata "creata" da coloro che ora la usano orgogliosamente (il tè inglese, la nduja calabrese, non sono "ab ovo" né inglese né calabrese).
Le figure che vediamo (da 1:24:40) ci dimostrano un errore categoriale enorme, dato che l'illusione della condivisione omogenea e primigenia della cultura si può realizzare solo se poniamo "la nascita" delle culture in un momento "Prima del Tempo", prima del Divenire
Questo errore di FUORIUSCITA DAL TEMPO e di presunzione che le cose siano sempre state così è un altro esempio di accettazione subconscia del culturale, dato che a livello razionale siamo tutti e tutte perfettamente consapevoli che le cose, non sono "sempre" state così, e che  quel "si è sempre fatto così" è un giudizio fallace. 
Siamo quindi indotti da questo tipo di pregiudizi cognitivi a considerare inossidabili categorizzazioni che esistono solo in quanto prospettiche, prodotte da una certa posizione classificatoria (con certe scatole di cui non consideriamo la costruzione storica), che sicuramente esiste, ma non ha necessariamente la priorità rispetto a prospettive alternative che raggruppano le cose e le persone in classi assai diverse. Le persone, insomma, si possono raggruppare per categorie o appartenenze in modi veramente fantasmagoricamente diversi, eppure il mondo in cui viviamo ci induce a privilegiare alcune categorie e a sottovalutarne altre.
Il video della TV Danese (che non si vede in questa registrazione per ragioni di copyright) è un esempio molto ben congegnato di questo fatto della realtà sociale che spesso tendiamo a dimenticare: ciascuno di noi appartiene a moltissime categorie, classi o raggruppamenti, e molto spesso l'Altro secondo una certa categoria può essere un Noi secondo un'altra categoria:
VIDEO TV DANESE 

La parte finale della lezione è stata dedicata a un piccolo test di verifica su: la differenza tra cultura alta e cultura bassa; la nozione di tradizionale, quando un oggetto si possa considerare tradizionale; e in che senso la cultura è condivisa.

domenica 11 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 03 del 9 ottobre 2020: è la differenza che fa la differenza


Abbiamo iniziato confermando che per gli studenti e le studentesse che prendono iscrizione al corso per quest’anno o che comunque portano il programma di quest’anno, per il modulo A la MONOGRAFIA sarà Oltraggi della memoria, di Lorenzo D’Orsi, Meltemi 2020. Si tratta di una monografia sulla questione della memoria politica in Turchia, e diventerà un modo per gli studenti di antropologia culturale per riflettere sul significato sociale del passato. La storia non è una sequenza oggettiva di eventi ma è vissuta sempre nel presente come forma di collegamento ad alcune identità, modi di essere, sistemi di valori.

Per il modulo B, la professoressa Casentini ha spiegato come ci saranno due monografie tra cui scegliere, a seconda che si prediliga il tema della MIGRAZIONE o quello del GENERE. Nel primo caso si studierà Shahram Khosravi, Io sono confine, Eleuthera, 2019, mentre per il genere la monografia da studiare sarà Alessandra Chiricosta, Un altro genere di forza, Iacobelli Editore, 2019. TUTTE le informazioni per il Modulo della prof. Casentini sono ora incluse nella cartella online del Modulo B.

Nel corso della lezione siamo partiti (dal minuto 11:45) da dove avevamo finito, e cioè la varietà culturale. La varietà culturale quindi, essendo legata alla nostra disposizione simbolica, è veramente enormemente vasta: nessun essere umano, da solo, può immaginare tutto l'immaginabile, ma sicuramente gli esseri umani nel corso della storia, dentro la varietà culturale (le diverse "immaginazioni") che li caratterizza, hanno immaginato COME SPECIE ben oltre l'immaginabile individuale. E una cosa evidente è che queste immaginazioni possono essere in contrasto, opposte da posto a posto, o da tempo a tempo. Pensate a come la pensiamo noi anziani all'utilizzo del social e l'uso che mediamente ne fate voi. Noi abbiamo Facebook come se fosse un salotto di casa, voi usate Instagram come un razzo spaziale per andarvene in giro per il mondo. Pensate ad esempio alle differenze sui gusti estetici.

Per avere un esempio di come possono essere veramente divergenti i gusti e i giudizi culturali, abbiamo visto insieme un breve video che ci racconta quella che ho definito "l'inevitabile tristezza giapponese di Julia Roberts. Il video è un inglese ma l'ho tradotto in consecutiva:

Cosa diavolo è OCHOBO?

https://youtu.be/A5kTiP4wDQU

Apprezzare Julia Roberts per quelli della mia generazione, vi assicuro, ci sembrava una questione del tutto "naturale", ma il valore estetico di Ochobo ci dimostra che così NON è, e che se la povera Julia fosse stata adattata da una famiglia di Tokio sarebbe stata la racchia del quartiere...

Un punto centrale di questa forma complessiva umana della diversità è che istituisce una importante differenza con la diversità comportamentale entro le specie animali. Nessun essere umano pratica TUTTE le tradizioni culturali, ognuno di noi finisce per praticarne alcune, e molti sentono di praticarne una e una sola, ma la IDOSINCRATICITÀ (vale a dire l’unicità esclusiva) della pratica non è mai specificante, cioè NON fa di quei praticanti un gruppo biologicamente separato da coloro che hanno pratiche diverse, proprio perché il nostro sapere è principalmente acquisito e trasmesso per vie non-biologiche. Mentre le api che smettessero di raccogliere polline e iniziassero a nutrirsi di altri insetti sarebbero condannate, per sopravvivere, a diventare un’altra specie, gli esseri umani hanno DENTRO la loro specie una varietà di comportamenti e di pratiche che diventa l’oggetto della nostra riflessione. Sotto il comportamento delle api possiamo cercare il fondamento comune dell’essere ape: studio api in tutto il mondo, guardo come si comportano e induttivamente cerco di ricavare cosa costituisca dal punto di vista comportamentale l’essenza dell’ape, l’apismo o l’apità dell’ape, per usare un lessico aristotelico. Ma con gli esseri umani NON possiamo lavorare allo stesso modo, dato che la loro umanità va vista all’inverso dell’apità, non come comunanza di pratiche (che non c’è) ma come forma della costruzione locale della conoscenza attraverso la comparazione delle differenze. Il video sull’Ochobo ci dice che non ci sono comportamenti prefissati per quanto riguarda l’attrazione dei maschi umani verso la forma delle labbra femminili, dato che in Giappone vige un canone che sembra opposto a quello dell’Occidente Euroamericano. Come minimo, Ochobo ci dice che per gli umani i modelli prefissati di azione (FIXED ACTION PATTERNS) vengono attivati in forme molto, molto più peculiari a seconda dei contesti, ed è quella peculiarità che esige attenzione e il nostro sforzo interpretativo per spiegarla. Invece, i criteri estetici grazie a cui la femmina dell’uccello del paradiso trova e seleziona il partner sono specie specifici (vale a dire unici per quella specie e totalmente uniformi all’interno della specie) e molto, molto rigidi, e questo vale per qualunque specie animale, tranne la nostra: mentre un leone africano e uno asiatico avranno gli stessi “gusti” (dettati proprio dall’interazione tra la dotazione genetica e l’ambiente in cui quel patrimonio genetico si trova ad attivarsi). L’antropologia culturale studia non tanto quel che c’è “sotto la diffenza” ma PROPRIO la DIFFERENZA. Come dice Clifford Geertz: è la differenza che fa la differenza.

Questo certo non sta a significare che dobbiamo rinunciare alle generalizzazioni o che l’antropologia culturale sia solo una scienza descrittiva. Significa piuttosto che il nostro apporto come studiosi e studiose è quello di prestare attenzione al senso locale di quella specifica pratica, e vedere sullo sfondo di quadri più ampli se pratiche diverse indicano tendenze comuni, e quali. Le regole del comportamento umano si devono quindi contenere a generalizzazioni molto generali, del tipo: “le scelte del partner sono spesso associate a principi estetici che valgono anche in altri ambiti della vita sociale, oltre a quello dell’attrazione sessuale”, ma senza poter generalizzare sui contenuti di quei principi, che dipendono dalla cultura locale.

Conclusa questa prima parte sulla VARIETÀ del culturale umano, abbiamo ripreso la questione dell'APPRENDIMENTO.

FORMALE vs INFORMALE (l'elaborazione del GUSTO, cenni di Pierre Bourdieu). Per questo aspetto, abbiamo visto come “sappiamo” un sacco di cose, su quale sia un cantante veramente da adorare e quali invece facciano “schifo”, oppure se vediamo un gruppo di persone di un certo ceto sociale è relativamente facile individuare l’eccezione che proviene da un’altra classe, e questo grazie a “competenze” specifiche che abbiamo ovviamente appreso, anche se fatichiamo a dire come e dove e da chi.

Sul SAPERE CORPOREO e SAPERE LINGUISTICO abbiamo riflettuto un po’ frettolosamente, ma possiamo sintetizzare il fatto che il sapere corporeo, in particolare quello della mano, le tecniche dell’artigianato e dei mestieri (“rubare con gli occhi”), si pongono quasi consapevolmente in contrapposizione al sapere linguistico (e non abbiamo avuto tempo di riflettere quanto questa contrapposizione sia anche “ideologica”, vale a dire utilizzabile con intenti politici, opponendo la “concretezza” alla “teoria”, il “saper fare” al “parlare vuoto”).

Sul sapere del corpo abbiamo visto qualche secondo da questo, video, che parla di Paolo Brandolisio, un "remèr" o "forcolaio" veneziano: https://youtu.be/mOkxTjtUT1s?t=116

E questo invece è un video (che non abbiamo fatto in tempo a vedere) sul "più veloce parlatore del mondo", come esempio esasperato di sapere linguistico (anche se in questo caso specifico diventa quasi corporeo...):

https://youtu.be/ExKCcndqK5c?t=41

Nell'ultima parte della lezione abbiamo toccato un'altra distinzione che gli antropologi NON fanno ma che considerano comunque essenziale dato che tutte le culture la fanno eccome: la GERARCHIA DEI SAPERI, la valutazione culturale di ciò che si sa in una scala gerarchica, e per esemplificare un poco abbiamo parlato dei vostri fidanzati e delle vostre fidanzate, facendo un piccolo test che, nonostante le resistenze di qualcuno espresse nella chat durante la lezione, ha confermato il fatto che tutte le culture istituiscono GERARCHIE DI VALORI, attribuendo più prestigio ai portatori di certe competenze e non di altre.

Ci siamo lasciati dicendo che la prossima lezione si aprirà con una riflessione su una delle cose più conturbanti del sapere culturale, e cioè il suo essere molto spesso subconscio: ci sono test che dimostrano che abbiamo delle regole in testa e che le applichiamo con estremo rigore, eppure se non si è passato un processo di istruzione formale di istruzione non abbiamo la minima idea di avere quelle regole e di applicarle.