Mercoledì 21 marzo, alle ore 14:00, nell'aula P5 della facoltà di Economia di Roma "Tor Vergata", via Columbia 2, Thomas Hylland Eriksen parlerà di Overheating and cooling down: responses to a world out of control. Siete tutti e tutte inviati/e.
Ho letto per la prima volta Thomas Hylland Eriksen nel 1994, uscito da poco il suo Ethnicity and nationalism. Noi che ci occupavamo di Antropologia politica, di nazionalismo e di etnicità dovevamo fare i conti con la povertà teorica del nostro armamentario. La riflessione si stava appena aprendo agli approcci "costruttivisti" e anche se Ethnic groups and boundaries era uscito nel 1968, ho il sospetto che pochi ne avessero colto il valore. Gellner aveva scritto il suo testo su Nazioni e nazionalismo nel 1983, come Benedict Anderson il suo prezioso Comunità immaginate, ma in Italia il dibattito su questi temi era veramente arretrato (Anderson fu tradotto solo nel 1996, per dire, Ugo Fabietti scrisse il suo importantissimo Identità etnica nel 1995) e lo sguardo "marxista" di molti studiosi continuava la critica modernista al localismo identitario (tanto più se naturalizzante come l'etnicità), considerando quelle forme di appartenenza strutturazioni retrograde e destinate a dissolversi. La guerra in Ruanda e, soprattutto, il collasso jugoslavo ci portarono a ripensare tutto, soprattutto le fallacie del nostro modernismo, e il libro di Eriksen, con il suo tono di "naturalismo identitario" o (per replicare un'altra accusa che girava spesso allora verso chi provava a prendere sul serio le identità etniche) "primordialismo", mi aiutò tantissimo a capire che non potevo ridurre l'appartenenza a un sistema razionale di massimizzazione delle risorse, e dovevo scavare più a fondo nei meandri simbolici che creano amici e avversari.
Poi ci fu Small Places, Large Issues, un libro semplice ma efficace, utile per impostare la disciplina con i neofiti, in in cui Hylland Eriksen portava allo scoperto quella che sarebbe diventata la battaglia di una vita, vale a dire quella per la RILEVANZA dell'antropologia culturale nella comprensione del sistema mondo. Lungi dall'essere una disciplina vocata al residuale, al caduco e al minore, secondo l'autore la disciplina dell'Antropologia culturale consente una prospettiva assolutamente unica, che si sforza di tenere assieme il micro e il macro in un comune quadro di senso.
Ora con il progetto Overheating, di cui ci parlerà, quella rilevanza è giunta a compimento. Vale la pena si sentire quel che ha da dirci in proposito.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.