Perché siamo religiosi: potere, gratitudine e la fine della trascendenza
La lezione finale e la struttura del testo di Sahlins
La quattordicesima e ultima lezione del Modulo B si è
concentrata sulla lettura e discussione dei primi due capitoli del libro di Marshall
Sahlins, The New Science of the Enchanted Universe. Dopo aver
chiarito la struttura quadripartita del libro — finitudine umana, immanenza,
metapersonhood, e sistema politico cosmico — la lezione ha
affrontato in modo dettagliato i primi due nuclei, partendo dal presupposto che
l’uomo non è autosufficiente e che la sua esistenza è sempre interrelata
a poteri metaumani.
La finitudine umana come base del religioso
Nel primo capitolo, Sahlins sostiene che l’essere umano
si riconosce come essere finito, incapace di controllare pienamente il
proprio destino. In questo senso, la religione emerge non solo come risposta
alla paura e all’incertezza, ma anche come forma di gratitudine. Non è
solo la sventura a suscitare il ricorso agli spiriti o agli dei, ma anche — e
forse soprattutto — il successo. In questa chiave, Sahlins rovescia
l’idea che la religione sia un semplice palliativo per l’angoscia, proponendo
invece un'antropologia della riconoscenza.
Il complesso di Caino e la dimensione politica
dell’invidia
Gli ex voto: tra bisogno e ringraziamento
Collegandosi alla prossima uscita sul campo, si introduce
il tema degli ex voto. Due le motivazioni principali che spingono a
offrire un ex voto: la richiesta di aiuto in situazioni di crisi e la
gratitudine per un beneficio ricevuto. L’economia del dono religiosa si
muove tra queste due polarità, rafforzando l’idea che il divino sia coinvolto
tanto nei fallimenti quanto nei successi. In questo senso, la religione si
configura come un meccanismo relazionale e non solo simbolico.
L’immanenza come visione ontologica alternativa
Nel secondo capitolo, il concetto di immanenza
diventa centrale. In molte culture tradizionali, gli spiriti, gli antenati,
le divinità non abitano un “al di là”, ma sono presenze concrete
nel mondo. Non esiste una netta distinzione tra naturale e soprannaturale, tra
umano e divino. Tutto ciò che esiste è persona, e l’animismo è una
teoria ontologica che riconosce volizione, carattere e agency a ogni
essere.
Contro l’antropologia simbolista: oltre “credenza” e
“mito”
Sahlins critica l’uso delle categorie occidentali di
“credenza” e “mito”, che distorcono la comprensione delle religioni
immanentiste. Secondo lui, parlare di "simbolismo" o di
"finzione" per descrivere le pratiche religiose altrui è un errore
metodologico. Piuttosto, queste pratiche devono essere comprese come esperienze
concrete, analoghe al “pensiero veloce” di Daniel Kahneman:
immediate, intuitive, non filtrate da una riflessione razionalistica, salvo che
non si verifichino dissonanze cognitive.
Una scienza sociale che generalizza: il richiamo di
Edmund Leach
Ritornando a Edmund Leach, Sahlins invoca
un’antropologia capace di formulare enunciati generali, contro la deriva
descrittiva “tra gli X, gli Y, gli Z”. La comparazione, se ben condotta,
permette di cogliere regolarità strutturali — come il fatto che ogni sistema di
parentela prevede relazioni di incorporazione (che costruiscono un
“noi”) e relazioni di alleanza (che mettono in relazione più gruppi). Le
prime sono legate alla sostanza condivisa, le seconde all’influenza
mistica. È un invito a superare la “sindrome di Funes” che paralizza
l’antropologia contemporanea.
Il rituale come invocazione di agency
Un punto teorico centrale è il ribaltamento del
concetto di agency: nel mondo immanentista, non è l’umano a causare,
ma sono i poteri spirituali a trasformare l’umano da potenza ad atto. Il
rituale, dunque, è una strategia per coinvolgere i metaumani, e la
“magia” è la tecnica operativa del mondo immanente. In questo quadro, non
c’è distinzione tra tecnica e magia, tra politica e religione.
Vico contro Durkheim: due visioni della religione
Sahlins mette a confronto Vico e Durkheim:
per il primo, Dio è un potere esterno assorbito nella società; per il secondo,
Dio è la società stessa proiettata nell’oltremondo. Sahlins li considera
due modelli ontologici: uno immanentista, l’altro trascendentalista.
Il suo invito è a non confondere il secondo con la religione tout court. In
questo senso, Geertz ha tentato una strada interpretativa che guarda
alla religione come forza interna al mondo sociale, avvicinandosi alla
posizione di Vico.
Secolarismo metodologico e deriva post-strutturalista
La lezione si conclude con una riflessione
epistemologica. La cosiddetta “svolta linguistica” avrebbe potuto condurre
l’antropologia verso una scienza abductiva, capace di formulare ipotesi
generali. Invece, l’influenza di Foucault e del post-strutturalismo
francese ha spinto verso la decostruzione del potere e l’abbandono
dell’analisi della religione come forma concreta di conoscenza del mondo.
L’antropologia ha così proiettato su altri popoli il suo secolarismo
metodologico, fraintendendone profondamente l’ontologia religiosa.
Conclusione: la religione come forza nelle faccende
quotidiane
Sahlins invita a considerare la religione non come
ideologia, né come compensazione simbolica, ma come forza essenziale nelle
faccende quotidiane. Le divinità sono presenti, non credute;
i riti non sono drammaturgie ma strategie operative; il sacro non
è oltre ma dentro il mondo. In questo senso, il suo progetto si
avvicina alla cosiddetta svolta ontologica, pur rimanendo saldamente
ancorato alla ragione. Riconoscere l’immanenza come forma di realtà e
non come superstizione è, per Sahlins, la condizione necessaria per restituire
dignità conoscitiva al religioso.