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lunedì 12 maggio 2025

Il potere degli dèi: ripensare l'autorità - Lezione #13 di Antropologia del Modulo B di Antropologia culturale per Tor Vergata - Pietro Vereni 16 dicembre 2024

 

Lezione numero 13 registrata il 16 dicembre 2024

    

Il potere degli dèi: ripensare l'autorità nell'antropologia delle religioni

Perché pensiamo che ogni forma di potere sia inevitabilmente oppressiva? Quando è iniziata questa nostra diffidenza nei confronti dell’autorità? E soprattutto: siamo sicuri che questa visione rispecchi l’esperienza storica dell’umanità?

La tredicesima lezione di antropologia delle religioni, registrata il 16 dicembre  2024, ci invita a seguire Marshall Sahlins in un viaggio radicale attraverso la genealogia del potere. Con il suo libro The New Science of the Enchanted Universe, Sahlins ci propone una tesi dirompente: per gran parte della storia umana, il potere non è stato una prerogativa degli uomini, ma un dono – o un furto – degli dèi, degli spiriti, degli antenati. Il potere, in altre parole, non nasce con la politica, ma con la cosmologia.

Nel mondo incantato delle società immanentiste, il potere non è dominio ma relazione. È una forza che circola tra umano e non-umano, tra vivi e morti, tra la terra e l’aldilà. Ed è proprio questa concezione sacrale e relazionale del potere ad essere stata cancellata – o meglio, sfrattata – dalla modernità, che ha confinato il sacro altrove, rendendo il mondo un luogo inerte e disincantato. Ma è davvero questa la realtà in cui viviamo?

Questa lezione non è solo un’esegesi di un testo, ma una provocazione filosofica: e se il potere non fosse sempre e solo dominio? E se fosse anche cura, attenzione, responsabilità? E infine: possiamo davvero parlare di “diritti umani” o di “valori universali” se prima non decidiamo se il mondo abbia, o meno, un significato?

 


Il contesto teorico: svolta ontologica e relativismo

La lezione si apre con un richiamo alla “svolta ontologica” in antropologia, sviluppatasi a partire dai primi anni 2000 grazie ai lavori di Eduardo Viveiros de Castro e Philippe Descola. Questi autori sostengono che le cosmologie dei popoli studiati non vadano solo interpretate come rappresentazioni del mondo, ma come ontologie alternative, cioè come mondi effettivamente diversi.

La proposta, che flirta con un relativismo ontologico radicale, viene tuttavia messa in discussione da Sahlins, il quale pur riconoscendo la serietà delle visioni cosmologiche indigene, mantiene una distinzione tra mondo reale condiviso e pluralità di prospettive culturali. La sua è quindi una versione moderata della svolta ontologica: le cosmologie sono visioni del mondo, non creazioni di mondi alternativi.


Potere e antropologia politica: critica al senso comune delle scienze sociali

Sahlins attacca l’assunto dominante nelle scienze sociali secondo cui il potere è un meccanismo auto-riproduttivo finalizzato al controllo e al dominio. Tale visione, sostenuta tra gli altri da Noam Chomsky, identifica il potere con l’oppressione e ne deduce la necessità etica della resistenza. È una prospettiva che ha assunto i tratti di un dogma epistemologico, diffondendo una concezione “cratofobica” (dal greco kratos = potere, phobos = paura) per cui ogni esercizio di autorità è visto come sospetto e intrinsecamente malvagio.

Sahlins, invece, propone una rivalutazione del potere come cura, come forma di trasformazione positiva dell’altro, in una relazione asimmetrica ma non necessariamente oppressiva. Una madre che allatta esercita un potere, ma lo fa per nutrire e non per dominare. Questa concezione “terapeutica” del potere è marginalizzata dall’epistemologia contemporanea, che rifiuta qualsiasi visione positiva della gerarchia.


La genealogia sacrale del potere

Il cuore del ragionamento di Sahlins è una teoria storico-antropologica della genesi del potere, che ribalta la prospettiva materialista classica. Egli sostiene che gli esseri umani hanno sempre saputo di non avere un potere proprio, e di doverlo attingere da una sorgente meta-umana: spiriti, divinità, antenati, forze impersonali come il mana.


Il potere autentico non è umano, ma è donato, sottratto, contrattato o rubato da questi powerful beings. È solo con il trasferimento della sorgente del potere al trascendente, avvenuto con la cosiddetta età assiale (secondo Karl Jaspers), che si crea l’illusione moderna di una politica secolare, autonoma e autosufficiente.


Religione e potere: il mondo come società cosmica

Nelle cosmologie immanentiste pre-assiali, il mondo stesso era sacro, e il potere permeava la materia. Ogni azione efficace (una caccia, una guarigione, una nascita) era possibile grazie al consenso o all’intervento di forze non umane.

Con l’età assiale, invece, la divinità viene sfrattata dalla realtà immanente e trasferita in un “altro mondo”, separato e trascendente. L’uomo viene così lasciato solo, in un mondo disincantato, a gestire rapporti di forza puramente umani. Questo passaggio segna la nascita della concezione laica del potere, che diventerà centrale con la modernità occidentale, da Machiavelli ad Adam Smith.


La seconda età assiale e l’individualismo moderno

Sahlins introduce poi la nozione di “seconda età assiale”, che si apre tra Medioevo e Illuminismo, e in cui l’individuo diventa autonomo rispetto alle forze cosmiche. Nasce così l’idea moderna di soggetto, dotato di razionalità e volontà autonoma, libero di creare istituzioni e cultura senza bisogno del divino. Si afferma il paradigma scientifico, economico e culturale secolare, in cui il sacro è definitivamente marginalizzato come sovrastruttura.


Hocart e la religione come fondamento del potere

Sahlins si appoggia alla figura di Arthur Maurice Hocart, autore seminale ma poco noto, che aveva già indicato due tesi fondamentali:

1.   Gli uomini hanno vissuto con gli dei prima che con i re, cioè la gerarchia religiosa precede quella politica.

2.   Le istituzioni burocratiche moderne derivano dai riti religiosi, che sono forme codificate di accesso al potere.

Questa eredità consente a Sahlins di rovesciare l’intero schema materialista: non è la struttura economico-produttiva a determinare il sistema simbolico-religioso, ma viceversa.


Immanentismo vs trascendenza: l’ontologia dell’azione

Il concetto di “società cosmica” è centrale per Sahlins: una rete in cui umani e meta-umani agiscono insieme, producendo la vita, la morte, il senso. La distinzione moderna tra materiale e spirituale è una costruzione recente e culturalmente specifica. In molte società tradizionali, la cultura non è il risultato di azioni umane, ma l’effetto di interazioni con esseri potenti.

Importante in questo quadro è anche Alan Strathern, che nel suo libro Unearthly Powers distingue tra culture immanentiste (in cui il potere è distribuito nel mondo) e culture trascendentiste (in cui il potere risiede in un’altra realtà). Nell’immanentismo, gli umani possono negoziare o addirittura appropriarsi del potere, mentre nel trascendentismo non possono far altro che sottomettersi.


L’opposizione tra islam e cristianesimo

Nel confronto tra religioni, emerge un’interessante distinzione tra islam e cristianesimo. L’islam – come anche l’ebraismo arcaico – propone una visione in cui Dio è totalmente altro, l’uomo non può che sottomettersi (islām). Il cristianesimo, invece, elabora una teologia dell’amore in cui Dio è sì trascendente, ma sceglie di entrare in relazione con l’uomo.

Questo è possibile attraverso la figura di Gesù, che rende Dio accessibile senza annullarne la trascendenza. Qui il concetto agostiniano di persona diventa essenziale: ogni individuo è definito dal suo rapporto personale con il divino, e da questa relazione trae valore, dignità e potere. È un individualismo relazionale, fondato sull’amore.


Critica alla secolarizzazione e alla cratofobia

Sahlins critica duramente le scienze sociali contemporanee, che hanno accettato in pieno il modello laico e secolare del potere. L’antropologia, secondo lui, ha trasferito la propria visione secolarizzata sui popoli studiati, trattando i loro riti non come atti efficaci, ma come simboli o compensazioni psicologiche (come in Malinowski).

Questa riduzione impedisce di cogliere la densità ontologica delle pratiche rituali, che per molte culture sono strumenti concreti di relazione con gli esseri potenti. L’antropologia ha dimenticato che per la maggior parte dell’umanità, il mondo è ancora incantato.


Conclusione: un nuovo paradigma antropologico

Sahlins propone una nuova scienza dell’universo incantato, che riconosca la presenza attiva di esseri meta-umani e rivaluti la dimensione sacrale del potere. Solo così è possibile rimettere al centro la questione del significato, recuperando la possibilità di una morale, di un giudizio, di una scala del bene.

La lezione si chiude con una riflessione provocatoria: senza una differenza qualitativa tra pratiche e valori, tra bene e male, non c’è possibilità di difendere i diritti umani, la giustizia o la dignità. La scienza sociale deve decidere: o il mondo ha un significato, oppure non ha alcun valore. E, nel primo caso, bisogna riconoscere la presenza di Dio – o almeno di una mente ordinante.