Lezione numero 13 registrata il 16 dicembre 2024
Il potere degli dèi: ripensare l'autorità
nell'antropologia delle religioni
Perché pensiamo che ogni forma di potere sia
inevitabilmente oppressiva? Quando è iniziata questa nostra diffidenza nei
confronti dell’autorità? E soprattutto: siamo sicuri che questa visione
rispecchi l’esperienza storica dell’umanità?
La tredicesima lezione di antropologia delle religioni,
registrata il 16 dicembre 2024, ci
invita a seguire Marshall Sahlins in un viaggio radicale attraverso la
genealogia del potere. Con il suo libro The New Science of the Enchanted
Universe, Sahlins ci propone una tesi dirompente: per gran parte della storia
umana, il potere non è stato una prerogativa degli uomini, ma un dono – o un
furto – degli dèi, degli spiriti, degli antenati. Il potere, in altre parole, non
nasce con la politica, ma con la cosmologia.
Nel mondo incantato delle società immanentiste, il potere
non è dominio ma relazione. È una forza che circola tra umano e
non-umano, tra vivi e morti, tra la terra e l’aldilà. Ed è proprio questa
concezione sacrale e relazionale del potere ad essere stata cancellata – o
meglio, sfrattata – dalla modernità, che ha confinato il sacro altrove,
rendendo il mondo un luogo inerte e disincantato. Ma è davvero questa la realtà
in cui viviamo?
Questa lezione non è solo un’esegesi di un testo, ma una
provocazione filosofica: e se il potere non fosse sempre e solo dominio? E
se fosse anche cura, attenzione, responsabilità? E infine: possiamo davvero
parlare di “diritti umani” o di “valori universali” se prima non decidiamo se
il mondo abbia, o meno, un significato?
Il contesto teorico: svolta ontologica e relativismo
La lezione si apre con un richiamo alla “svolta
ontologica” in antropologia, sviluppatasi a partire dai primi anni 2000
grazie ai lavori di Eduardo Viveiros de Castro e Philippe Descola.
Questi autori sostengono che le cosmologie dei popoli studiati non vadano solo
interpretate come rappresentazioni del mondo, ma come ontologie alternative,
cioè come mondi effettivamente diversi.
La proposta, che flirta con un relativismo ontologico
radicale, viene tuttavia messa in discussione da Sahlins, il quale
pur riconoscendo la serietà delle visioni cosmologiche indigene, mantiene una
distinzione tra mondo reale condiviso e pluralità di prospettive culturali. La
sua è quindi una versione moderata della svolta ontologica: le
cosmologie sono visioni del mondo, non creazioni di mondi alternativi.
Potere e antropologia politica: critica al senso comune
delle scienze sociali
Sahlins attacca l’assunto dominante nelle scienze sociali
secondo cui il potere è un meccanismo auto-riproduttivo finalizzato al
controllo e al dominio. Tale visione, sostenuta tra gli altri da Noam
Chomsky, identifica il potere con l’oppressione e ne deduce la necessità
etica della resistenza. È una prospettiva che ha assunto i tratti di un dogma
epistemologico, diffondendo una concezione “cratofobica” (dal greco kratos
= potere, phobos = paura) per cui ogni esercizio di autorità è visto come
sospetto e intrinsecamente malvagio.
Sahlins, invece, propone una rivalutazione del potere
come cura, come forma di trasformazione positiva dell’altro, in una
relazione asimmetrica ma non necessariamente oppressiva. Una madre che allatta
esercita un potere, ma lo fa per nutrire e non per dominare. Questa concezione
“terapeutica” del potere è marginalizzata dall’epistemologia contemporanea,
che rifiuta qualsiasi visione positiva della gerarchia.
La genealogia sacrale del potere
Il cuore del ragionamento di Sahlins è una teoria storico-antropologica della genesi del potere, che ribalta la prospettiva materialista classica. Egli sostiene che gli esseri umani hanno sempre saputo di non avere un potere proprio, e di doverlo attingere da una sorgente meta-umana: spiriti, divinità, antenati, forze impersonali come il mana.
Il potere autentico non è umano, ma è donato,
sottratto, contrattato o rubato da questi powerful beings. È solo con il trasferimento
della sorgente del potere al trascendente, avvenuto con la cosiddetta età
assiale (secondo Karl Jaspers), che si crea l’illusione moderna di
una politica secolare, autonoma e autosufficiente.
Religione e potere: il mondo come società cosmica
Nelle cosmologie immanentiste pre-assiali, il mondo
stesso era sacro, e il potere permeava la materia. Ogni azione efficace
(una caccia, una guarigione, una nascita) era possibile grazie al consenso o
all’intervento di forze non umane.
Con l’età assiale, invece, la divinità viene sfrattata
dalla realtà immanente e trasferita in un “altro mondo”, separato e
trascendente. L’uomo viene così lasciato solo, in un mondo disincantato,
a gestire rapporti di forza puramente umani. Questo passaggio segna la nascita
della concezione laica del potere, che diventerà centrale con la modernità
occidentale, da Machiavelli ad Adam Smith.
La seconda età assiale e l’individualismo moderno
Sahlins introduce poi la nozione di “seconda età
assiale”, che si apre tra Medioevo e Illuminismo, e in cui l’individuo
diventa autonomo rispetto alle forze cosmiche. Nasce così l’idea moderna
di soggetto, dotato di razionalità e volontà autonoma, libero di creare
istituzioni e cultura senza bisogno del divino. Si afferma il paradigma scientifico,
economico e culturale secolare, in cui il sacro è definitivamente
marginalizzato come sovrastruttura.
Hocart e la religione come fondamento del potere
Sahlins si appoggia alla figura di Arthur Maurice
Hocart, autore seminale ma poco noto, che aveva già indicato due tesi
fondamentali:
1.
Gli uomini hanno vissuto con gli dei prima che con i re, cioè la gerarchia
religiosa precede quella politica.
2.
Le istituzioni burocratiche moderne derivano dai riti
religiosi, che sono forme codificate di accesso al potere.
Questa eredità consente a Sahlins di rovesciare l’intero
schema materialista: non è la struttura economico-produttiva a determinare
il sistema simbolico-religioso, ma viceversa.
Immanentismo vs trascendenza: l’ontologia dell’azione
Il concetto di “società cosmica” è centrale per
Sahlins: una rete in cui umani e meta-umani agiscono insieme, producendo la
vita, la morte, il senso. La distinzione moderna tra materiale e spirituale è
una costruzione recente e culturalmente specifica. In molte società
tradizionali, la cultura non è il risultato di azioni umane, ma l’effetto di
interazioni con esseri potenti.
Importante in questo quadro è anche Alan Strathern,
che nel suo libro Unearthly Powers distingue tra culture immanentiste (in cui
il potere è distribuito nel mondo) e culture trascendentiste (in cui il potere
risiede in un’altra realtà). Nell’immanentismo, gli umani possono negoziare
o addirittura appropriarsi del potere, mentre nel trascendentismo non
possono far altro che sottomettersi.
L’opposizione tra islam e cristianesimo
Nel confronto tra religioni, emerge un’interessante
distinzione tra islam e cristianesimo. L’islam – come anche l’ebraismo
arcaico – propone una visione in cui Dio è totalmente altro, l’uomo non
può che sottomettersi (islām). Il cristianesimo,
invece, elabora una teologia dell’amore in cui Dio è sì trascendente, ma
sceglie di entrare in relazione con l’uomo.
Questo è possibile attraverso la figura di Gesù,
che rende Dio accessibile senza annullarne la trascendenza. Qui il concetto
agostiniano di persona diventa essenziale: ogni individuo è definito dal
suo rapporto personale con il divino, e da questa relazione trae valore,
dignità e potere. È un individualismo
relazionale, fondato sull’amore.
Critica alla secolarizzazione e alla cratofobia
Sahlins critica duramente le scienze sociali
contemporanee, che hanno accettato in pieno il modello laico e secolare del
potere. L’antropologia, secondo lui, ha trasferito la propria visione
secolarizzata sui popoli studiati, trattando i loro riti non come atti
efficaci, ma come simboli o compensazioni psicologiche (come in Malinowski).
Questa riduzione impedisce di cogliere la densità
ontologica delle pratiche rituali, che per molte culture sono strumenti
concreti di relazione con gli esseri potenti. L’antropologia ha dimenticato che
per la maggior parte dell’umanità, il mondo è ancora incantato.
Conclusione: un nuovo paradigma antropologico
Sahlins propone una nuova scienza dell’universo
incantato, che riconosca la presenza attiva di esseri meta-umani e rivaluti
la dimensione sacrale del potere. Solo così è possibile rimettere al centro
la questione del significato, recuperando la possibilità di una morale, di
un giudizio, di una scala del bene.
La lezione si chiude con una riflessione provocatoria: senza
una differenza qualitativa tra pratiche e valori, tra bene e male, non c’è
possibilità di difendere i diritti umani, la giustizia o la dignità. La scienza
sociale deve decidere: o il mondo ha un significato, oppure non ha alcun
valore. E, nel primo caso, bisogna riconoscere la presenza di Dio –
o almeno di una mente ordinante.