Lezione numero 09 registrata il 6 dicembre 2024
Ottava lezione – Religioni vissute e spazi della devozione: esplorazione etnografica a Torpignattara
Il quartiere come laboratorio di pluralismo religioso
L’ottava lezione del modulo B si è svolta sotto forma di uscita
didattica nel quartiere romano di Torpignattara, con l’obiettivo di
osservare e discutere sul campo le forme concrete di pluralismo religioso
che emergono in uno spazio urbano ad alta densità migratoria. L’attenzione è
stata posta non soltanto sulla molteplicità dei luoghi di culto, ma soprattutto sulle pratiche
devozionali ordinarie: rituali, segni, usi dello spazio pubblico, materiali
iconici e sonori che costruiscono e comunicano la presenza religiosa nello
spazio urbano.
Pluralismo diasporico e ricomposizioni del sacro
Attraverso la visita a diverse strutture religiose e alla
mappatura simbolica del quartiere, la lezione ha introdotto il concetto di religione
diasporica, intesa come ricomposizione di mondi simbolici lontani in un
nuovo contesto sociale e spaziale. In questo senso, si è insistito sull’idea
che la trasformazione urbana e la riorganizzazione religiosa
siano due fenomeni strettamente intrecciati. I riti non si trasferiscono
semplicemente, ma vengono riadattati, reinventati, sincretizzati secondo
logiche contestuali.
Lo spazio urbano come teatro del sacro
È stata discussa la nozione di “religione vissuta”
come chiave interpretativa per leggere le espressioni religiose che emergono
nei margini urbani: qui la religione non appare come istituzione astratta, ma
come insieme di pratiche incarnate, fatte di corpi, oggetti, tempi,
sonorità. Il sacro abita lo spazio urbano in forme ambigue: tra visibilità e
invisibilità, tra legalità e tolleranza, tra marginalità e centralità. Il
quartiere stesso diventa un dispositivo rituale diffuso, dove i confini
tra pubblico e privato, tra quotidiano e religioso, vengono continuamente
negoziati.
Nona lezione – Il sacro come contrasto al caos:
religione, senso e ritualità in Clifford Geertz
Conclusione del saggio: la religione come affermazione
simbolica del senso
La lezione del 6 dicembre 2024 è dedicata al
completamento dell’analisi del celebre saggio di Clifford Geertz, La
religione come sistema culturale. Si approfondisce in particolare la tesi
secondo cui la religione opera come un dispositivo simbolico atto a dare
senso all’esperienza, soprattutto nei momenti in cui il senso è minacciato
o in frantumi. In questa prospettiva, la religione non elimina il caos,
ma lo circoscrive, offrendo un contesto simbolico in cui anche ciò che
appare incomprensibile può essere narrato, localizzato e interpretato.
Trascendenza, ethos e cosmos: la struttura del religioso
Geertz afferma che ogni religione produce habitus
orientati a modelli morali, e lo fa non attraverso ragionamenti deduttivi o
dimostrazioni logiche, ma attraverso l’affermazione di un “ordine generale
dell’esistenza”. Tale ordine, o cosmos, diventa intelligibile nella
misura in cui la religione lo presenta come dato. Si tratta, scrive
Geertz, di una struttura apodittica: il mondo è così, e non
diversamente. Questo “dire cosmico” può privilegiare dimensioni razionali,
emotive o morali, ma ha sempre la funzione di contrastare il caos.
L’esperienza religiosa nasce proprio in quel punto in cui l’uomo incontra il
caos e tenta di affrontarlo simbolicamente.
Susanne Langer e Ernesto De Martino: la crisi della
presenza
![]() |
Susanne Langer |
Attraverso un’interessante connessione interdisciplinare, la lezione mette in relazione il pensiero di Susanne Langer e quello di Ernesto De Martino. Entrambi riflettono sul fatto che l’essere umano, come essere simbolico, è incapace di tollerare il caos puro, ovvero ciò che non può essere interpretato. La crisi della presenza, in De Martino, coincide con il rischio che il soggetto non riesca più a rimanere nel mondo, perché la struttura simbolica che lo sostiene crolla. La religione, in questo senso, svolge una funzione di stabilizzazione dell’esserci, ricollocando il soggetto in un universo di senso, anche se parziale o provvisorio.
William James, Daniel Kahneman e G.K. Chesterton: il
credere come bisogno umano
Geertz fa riferimento a William James, secondo cui
“crediamo a tutto ciò che possiamo, e crederemmo a ogni cosa se solo
potessimo”. L’essere umano ha bisogno di credere, e lo fa ancora prima di
razionalizzare, come dimostrano anche le teorie cognitive di Daniel Kahneman.
In questo quadro, la secolarizzazione moderna, lungi dall’eliminare il bisogno
di credere, ha solo dissolto le strutture simboliche forti, lasciando
l’individuo in balia di qualsiasi credenza, come suggeriva Chesterton:
“quando l’uomo smette di credere in Dio, non è che non crede più a nulla, ma
crede a qualsiasi cosa”.
L'efficacia
simbolica: dolore, disordine, malattia
Geertz insiste sul fatto che la religione opera lungo tre
assi di contrasto al caos: il caos cognitivo (ciò che non capiamo), il caos
emotivo (ciò che ci fa soffrire), e il caos morale (ciò che non
sappiamo giudicare). In ognuno di questi ambiti, la religione offre narrazioni,
rituali e concetti che permettono di reintegrare l’evento nel sistema
simbolico. Un esempio paradigmatico è quello dei canti di guarigione Navajo,
che accompagnano il rito con frasi augurali, trasformando la malattia in un
evento narrabile, condiviso, trattabile. L’efficacia simbolica agisce
come membrana tra umano e divino, neutralizzando il caos attraverso la
forma rituale.
Antropologia come disciplina di cura
In chiusura di questa parte, il docente propone una
riflessione epistemologica: l’antropologia, come la psicologia, dovrebbe
rivendicare la propria funzione terapeutica, capace di ricostruire
connessioni simboliche e sociali nei momenti di crisi. Le strutture
psicologiche, sottolinea, non sono puramente individuali, ma derivano
dall’assorbimento di schemi culturali collettivi. L’antropologo, in quanto esperto
di senso, potrebbe così diventare agente di guarigione simbolica,
soprattutto in contesti di trauma sociale come la pandemia.
Il rituale come “cittadella del realmente reale”
Si giunge così a una parte centrale del saggio: il rituale.
In opposizione alla prospettiva del senso comune, della scienza e
dell’estetica, la religione costruisce una “cittadella fortificata del
realmente reale”, dove simboli, pratiche e credenze si rinforzano a
vicenda. I modelli di (mappe della realtà) e i modelli per
(manuali di comportamento) si intrecciano. Il rito diventa il luogo in
cui il mondo vissuto e il mondo immaginato coincidono. Le
credenze diventano ovvie, le pratiche naturali. Questo è il cuore
dell’esperienza religiosa.
Il rituale balinese di Rangda e Barong: presenza e trance
A questo punto, viene introdotto il rituale balinese
di Rangda-Barong, come esempio paradigmatico di costruzione simbolica della
realtà. Rangda, figura mostruosa e minacciosa, incarna il caos e la
paura, mentre Barong, figura buffa e decorata, rappresenta la giocosità,
la leggerezza e la speranza. Il loro scontro rituale non si conclude mai
con una vittoria definitiva: è una performance senza catarsi, che
rappresenta l’equilibrio instabile tra forze opposte.
Nel corso del rituale, gli spettatori stessi cadono in
trance, alcuni impugnano coltelli e cercano di colpire Rangda, altri
svenuti vengono assistiti da guardiani. Questo coinvolgimento mostra che il
rituale non è una rappresentazione, ma una presenza. L’accesso
alla realtà rituale non è estetico, ma esistenziale e trasformativo. Non
si tratta di “far finta”, ma di vivere realmente un altro ordine di
realtà, dove simbolo e vissuto coincidono.
I riti di passaggio: strutturare la transizione
Il docente introduce anche i riti di passaggio (da
Arnold van Gennep) come chiave per comprendere il ruolo del rituale
nelle società umane. Ogni passaggio di status (nascita, pubertà, matrimonio,
morte) richiede una ritualizzazione che garantisca la trasformazione
ordinata dell’individuo. Tre le fasi principali: separazione, fase
liminare (trasformativa, spesso simbolicamente violenta o magica) e reintegrazione.
Questo schema è applicabile anche a società contemporanee, dove i riti sono
solo più opachi ma non scomparsi.
Religione come snodo tra mondi: Alfred Schutz e la teoria
delle “province di significato”
![]() |
Province del significato |
Infine, si introduce il pensiero di Alfred Schutz, secondo cui la realtà è composta da province di significato tra loro distinte ma comunicanti. La religione è sia una provincia autonoma, sia uno snodo di mondi. Dopo il rituale, il senso comune è trasformato: il mondo quotidiano riceve una luce “lunare”, riflessa dall’esperienza intensa del sacro. Al tempo stesso, la religione si banalizza nell’ordinario, diventando parte integrante del vivere quotidiano. L’esperienza religiosa, così intesa, non nega la realtà, ma la ricarica di senso.