Questo è un post lungo, perché riporto in traduzione un post di Ahmed Fouad Alkhatib che ho potuto leggere ripostato da Alexander Koensler, collega e amico fraterno (tra noi, vittime dell’oppressione accademico-antropologica, ormai ci si dà una mano 😂😁😅) (honi soit qui mal y pense)
Lo traduco per intero perché lo condivido
parola per parola, lettera per lettera, punto per punto. Perché dice quel che ho
detto tante volte malamente e tante volte in modo frammentario.
Non conoscevo Ahmed Fouad Alkhatib
e la sua biografia dice molto di quel che è diventato. Quello che traduco è un
documento importante perché rompe schemi consolidati.
L’autore non si presenta come vittima,
anche se racconta bombardamenti, perdite familiari e una lesione permanente. Il
suo discorso non resta imprigionato nel dolore: diventa un impegno
politico orientato al futuro. Non rinuncia mai a riconoscere l’umanità
dell’Altro, afferma il diritto di Israele a esistere, rifiuta
l’antisemitismo e invita persino ad ascoltare le ragioni ebraiche. Al tempo
stesso non è affatto sottomesso: parla con forza delle responsabilità
israeliane nell’occupazione della Cisgiordania e della disumanizzazione
quotidiana dei palestinesi.
Quello che colpisce è la sua capacità di
riconoscere la responsabilità anche della propria parte, di ammettere
gli errori e le retoriche incendiarie che hanno avuto conseguenze disastrose. È
un discorso che rifiuta massimalismo, fanatismo e moralismo,
e sceglie invece il terreno più difficile: quello del pragmatismo e
della coesistenza.
Io mi arruolo di tutto cuore in un movimento
pro-Palestina di questo tipo. Era lo sguardo dei tanti idealisti israeliani
massacrati il 7 ottobre, ed è lo sguardo che oggi manca di più. Mi arruolo in
un movimento che dia voce alla società civile palestinese, che la faccia
emergere dalla nebbia del fanatismo e del vittimismo, dell’odio e della sete di
vendetta. Solo quando questa società civile palestinese – in Palestina e nella
diaspora – riuscirà a consolidare il suo discorso, a trovare legittimità nel
sistema mediato e a stare nella sfera pubblica accanto alla società civile
israeliana che condivide gli stessi valori, allora sarà possibile fare
passi concreti verso la pace.
Cosa significa per me essere pro-Palestina
/ la mia piattaforma
Sono appassionatamente, inequivocabilmente
e senza esitazione un sostenitore delle giuste e urgenti aspirazioni del popolo
palestinese all’autodete rminazione,
alla liberazione, alla sovranità e alla sicurezza. Sono cresciuto a Gaza, dove
ho vissuto la violenza e i bombardamenti israeliani, incluso un episodio che ha
quasi ucciso me e mi ha lasciato una lesione permanente all’udito; la mia
famiglia vive ancora a Gaza e ha subito decine di morti durante quest’ultima
guerra; i miei nonni furono espulsi dalle loro terre ancestrali nel 1948 e si
rifugiarono nella Striscia di Gaza; e i miei genitori sono cresciuti in un
campo profughi a Rafah negli anni Cinquanta. Questo retroterra mi plasma e
spiega perché mi sta così a cuore la questione palestinese e perché mi
considero pro-Palestina. Sono mosso da un sincero desiderio di vedere il mio
popolo ottenere diritti legittimi e innegabili, che gli sono stati negati per
decenni.
Eppure io, e molti altri, soprattutto
coloro che tacciono o sono costretti al silenzio, fatichiamo a trovare una casa
politica nell’attuale movimento pro-Palestina. Sempre più spesso sembra che
l’attivismo pro-Palestina sia dominato da massimalisti (che rivendicano tutta
la Palestina storica e altre posizioni a somma zero), da voci e narrazioni
ridotte a slogan. Manca la capacità pragmatica e ideale di sostenere verità
multiple nello stesso tempo e di difendere posizioni sfumate, ricche di variazioni
cromatiche, che non siano ridotte a rappresentazioni e comprensioni in bianco e
nero del conflitto israelo-palestinese.
Ecco cosa, per me, comporta una
piattaforma pro-Palestina efficace e significativa:
- Sostenere
il diritto dei palestinesi a uno stato sovrano e indipendente che viva in
pace accanto a Israele.
- Condannare
le azioni, le politiche e le decisioni del governo israeliano che
uccidono, danneggiano, opprimono o minano il popolo palestinese.
- Criticare
e denunciare la condotta della guerra a Gaza, l’occupazione militare in
Cisgiordania e il disprezzo del governo israeliano per la vita dei civili
palestinesi, nonché la distruzione di proprietà e città.
- Rifiutare,
denunciare ed esporre il furto delle terre palestinesi in Cisgiordania,
l’espansione delle colonie e la violenza dei coloni.
- Sostenere
sanzioni mirate, specifiche ed efficaci contro individui, gruppi ed entità
che rendono possibile l’occupazione ingiusta e illegale della Cisgiordania
e danneggiano i civili palestinesi.
- Denunciare
e combattere la disumanizzazione del popolo palestinese o la negazione
della sua esistenza come popolo con il diritto di vivere sulla terra che
ha abitato per generazioni.
- Riconoscere
la tragedia dei centinaia di migliaia di palestinesi sfollati nel 1948 e
garantire a loro e ai loro discendenti il diritto di tornare nelle terre
di un futuro stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
- Comprendere
gli errori passati e presenti che hanno fatto arretrare i palestinesi di
decenni e li hanno resi pedine di ideologie e agende geopolitiche.
- Sviluppare
un quadro pragmatico e realistico per riconoscere l’esistenza di Israele,
il suo diritto a esistere e l’inevitabilità della sua permanenza, elementi
che devono orientare il modo in cui si cerca una soluzione.
- Abbandonare
gli elementi illusori e distruttivi della narrazione palestinese e
riconoscere che non ci sarà una liberazione totale di tutta la Palestina,
non ci sarà un diritto al ritorno nell’attuale Israele continentale, e che
Israele non può né deve essere affrontato militarmente o con altre forme
di violenza.
- Promuovere
un cambiamento culturale lontano dalla retorica rivoluzionaria, dal
martirio e dalla resistenza armata, e invece rilanciare la coesistenza e
la pace come evoluzione coraggiosa e necessaria per preservare vite, terre
e patrimonio palestinesi e per formare una nuova generazione di
costruttori della nazione, concentrati sulla valorizzazione di ciò che i
palestinesi hanno e possono avere in Cisgiordania e a Gaza.
- Denunciare
e rifiutare l’antisemitismo, riconoscendo al tempo stesso che sionisti e
israeliani sono un gruppo eterogeneo e che i palestinesi devono
collaborare con tutte queste componenti per costruire una coesistenza e
una pace durature.
- Comprendere
come la retorica violenta o i discorsi d’odio e gli errori commessi diano
vigore alle forze di destra ed estremiste in Israele, contrarie ai diritti
palestinesi, e come questi errori e proclami incendiari erodano il
sostegno alla causa palestinese.
- Riconoscere
l’iniziativa, la responsabilità e l’accountability palestinese quando
vengono intraprese azioni con conseguenze negative, e ammettere che, pur
in un contesto di asimmetria dei rapporti di potere, leader, gruppi
politici e figure pubbliche palestinesi devono compiere scelte razionali e
responsabili per migliorare le prospettive future.
- Accettare
che anche con Gerusalemme Est come capitale di un futuro stato
palestinese, l’accesso ai luoghi sacri debba sempre essere condiviso e
aperto a tutti.
- Comprendere
come attori regionali nefasti, come la Repubblica Islamica dell’Iran e le
sue propaggini, non siano alleati sinceri né utili al popolo palestinese e
abbiano inflitto enormi danni all’intera regione e alla causa palestinese.
- Sviluppare
la capacità di ascoltare prospettive e rivendicazioni ebraiche, storiche e
contemporanee, per capire perché i sostenitori di Israele credono in ciò
che credono e perché Israele significa così tanto per molti, anche se non
si condividono tali opinioni.
- Comprendere
che Hamas ha messo sconsideratamente in pericolo vite palestinesi e ha
esposto la popolazione di Gaza a gravi rischi, basandosi sulla sofferenza
palestinese come parte di una strategia per delegittimare Israele a
livello globale, perpetuando il conflitto senza alcuna soluzione concreta.
- Registrare
i pericoli della retorica e dell’ideologia islamista, che mira a
islamizzare la società palestinese e a trasformare il progetto nazionale
palestinese in uno religioso, volto alla creazione di uno stato islamico
che, per definizione, sarebbe esclusivo e incapace di accogliere una
popolazione diversificata in un futuro stato palestinese.
Mi sento spinto a condividere quanto sopra
perché, per troppi, l’attivismo pro-Palestina si è ridotto a un linguaggio
incendiario che non riesce a cogliere la complessità di ciò che serve per far
avanzare le giuste e urgenti aspirazioni palestinesi di libertà e indipendenza.
Sebbene molti studenti, attivisti, accademici e analisti siano schierati, quanto
a sentimento, dalla parte giusta, spesso non riescono a presentare idee
praticabili e pragmatiche che vadano oltre le dichiarazioni retoriche e gli
slogan vuoti.
So bene che molti non sono d’accordo con
le mie opinioni, e va benissimo così. Ma altrettanti desiderano vedere una
ricalibratura dell’attivismo pro-Palestina per aiutare concretamente i
palestinesi a ottenere uno stato, invece di alimentare divisioni e ostilità
verso i sostenitori di Israele e la comunità ebraica. Molti in Palestina sono
consapevoli del bisogno di pragmatismo e non credono che proteste rabbiose,
BDS, antisemitismo, pistolotti accademici, attivismo sui social media o slogan
“consolatori” possano davvero cambiare le cose.
È tempo di un movimento pro-Palestina
rinnovato, che sia una grande casa capace di includere molteplici opinioni e
posizioni, di promuovere ampie alleanze, soprattutto con le comunità ebraiche e
israeliane mainstream, per lavorare insieme verso una soluzione giusta e
sostenibile del conflitto, una volta per tutte. Questo è del tutto
raggiungibile, con umiltà, civiltà, pazienza, compassione, gentilezza,
perseveranza, determinazione, disponibilità a compromessi e accomodamenti
ragionevoli, e, soprattutto, con il riconoscimento dell’innegabile e reciproca
umanità di entrambe le parti.