Noi, loro e la pizza: perché la cultura non è mai dove crediamo che sia


Antropologia culturale Modulo A Lezione 04 registrata l'8 ottobre 2025


C’è un momento, in ogni corso di antropologia, in cui si comincia a capire che la parola cultura non significa quello che pensiamo. Di solito accade quando ti accorgi che gli inglesi non hanno mai avuto piantagioni di nello Yorkshire, che la ‘nduja calabrese parla francese, e che la pizza, fino agli anni Settanta, a Mestre era un cibo esotico come oggi un taco coreano.

Il paradosso è questo: chi dice “noi italiani”, “noi europei”, “noi occidentali” si immagina un’unità culturale compatta, coerente, quasi naturale. Ma quell’idea di noi è sempre una finzione utile: serve a creare fiducia, appartenenza, identità politica. Biologicamente, abbiamo bisogno di sapere chi sono i “nostri” per decidere a chi credere, da chi imparare, con chi cooperare. Politicamente, poi, l’abbiamo trasformata in nazioni, confini, passaporti.


In realtà, la cultura è un campo di forze che cambia senza sosta. Ogni innovazione, se dura abbastanza, diventa tradizione. E ogni tradizione, se la si guarda bene, è un’invenzione riuscita. Come la lingua italiana, che fino a cent’anni fa non parlava quasi nessuno, ma che oggi chiamiamo “nostra”.

In fondo, ogni “noi” è un racconto. Ma raccontarlo è l’unico modo che abbiamo per credere, almeno per un po’, che quel “noi” esista davvero.